I rotiferi sono organismi a simmetria bilaterale, triblastici, pseudocelomati, protostomi ed eutelici; comprendono circa 1800 specie di animali per lo più dolciacquicoli (stagni e laghi), con alcune forme anche marine. La maggior parte dei rotiferi si muove attivamente sul substrato o nella colonna d’acqua, mentre altri si sono evoluti come organismi sessili. Il nome deriva dal latino rota, “ruota” e fero, “portare”.
Anatomia e fisiologia
I rotiferi presentano esternamente un epidermide sinciziale (le cellule si presentano fuse tra loro e, di conseguenza, i nuclei si trovano immersi tutti in un’unica massa citoplasmatica) al cui interno vengono prodotte delle placche proteiche deputate al sostegno meccanico del corpo (scheletro dermico). Anteriormente al corpo sporge una evidente corona di ciglia che, funzionando nel movimento e nell’alimentazione, appare costantemente in rotazione; al centro di questa si apre la cavità orale connessa ad un faringe dal’aspetto mascelliforme denominato mastax (o ventriglio).
Le abitudini alimentari dei rotiferi sono delle più diverse, da specie sospensivore a specie attivamente predatrici, e la morfologia della corona di ciglia e del mastax riflette questi diversi stili di vita, assumendo spesso anche un’importanza tassonomica. Il tubo digerente è generalmente completo e può terminare nell’estremità posteriore del corpo con un ano che spesso, insieme ai dotti escretori e riproduttivi, confluisce in una cloaca.
La circolazione è a carico del liquido pseudocelomatico e la respirazione avviene per diffusione attraverso gli strati della pelle. Il sistema nervoso dei rotiferi presenta un ganglio sopraesofageo che si collega ai nervi ventrali attraverso un anello nervoso che circonda l’esofago.
I rotiferi conducenti vita sedentaria sono generalmente dotati di un piede posteriore che, grazie a degli adesivi prodotti da ghiandole pedali, permette l’ancoraggio dell’animale al substrato.
Riproduzione e cicli biologici
I rotiferi si riproducono esclusivamente per via sessuata attraverso la normale fecondazione e attivazione delle cellule uovo (gameti femminile) da parte degli spermatozoi (gameti maschili). Alcune forme però si sono adattate alla vita in ambienti altamente perturbati (come uno stagno d’acqua che stagionalmente si prosciuga) e hanno sviluppato pertanto forme di resistenza in grado di sopravvivere ai periodi più avversi. In particolare essi hanno evoluto una variante di riproduzione sessuata in cui le cellule uovo producono individui maturi (femmine) senza però dover essere fecondate da spermatozoi.
La partenogenesi
L’utilità di questa strategia riproduttiva emerge particolarmente nel ciclo biologico dei Monogononti. Durante i periodi favorevoli, tali popolazioni sono costituite esclusivamente da femmine cosiddette amittiche (ossia non in grado di essere fecondate) che producono mitoticamente cellule uovo (2n) capaci di generare per partenogenesi altre femmine amittiche.
Nel momento in cui si approssimano condizioni avverse, però, dalle uova diploidi si sviluppano femmine mittiche in grado di produrre per meiosi cellule uovo aploidi (n); da queste si sviluppano maschi aploidi capaci di generare spermatozoi (n) che andranno a fecondare le cellule uovo della generazione mittica parentale.
Le uova così fecondate sviluppano esternamente un guscio protettivo ed entrano in uno stato dormiente che conferisce resistenza alle basse temperature e alla disidratazione; lo stato latente permane fintantoché non ritornano le condizioni favorevoli, che inducono la schiusa delle uova e il loro sviluppo in femmine amittiche.
Questo complesso ciclo biologico permette alle popolazioni interessate di crescere molto rapidamente, quasi in maniera esplosiva, durante i periodi più favorevoli in quanto non è necessario l’intervento di individui maschi per attivare le uova. D’altra parte, esso garantisce anche una certa ricombinazione genica nel momento in cui l’ambiente diventa ostio, così da generare una prole con più probabilità di sopravvivere alle avversità.
La scoperta della partenogenesi e in particolare dell’etorogonia (ossia dell’alternanza di generazioni partenogenetiche a generazioni puramente sessuali, come quella osservata nel ciclo biologico dei monogononti) ha sollevato negli anni numerose questioni in ambito zoologico ed evolutivo, alcune tutt’ora aperte.
Quali sono ad esempio i fattori che inducono il passaggio dalla partenogenesi alla riproduzione sessuale?
Poi, sono essi puramente ambientali oppure intervengono anche fattori genetici? In ogni caso, ciò che più ha turbato gli scienziati è stata la scoperta di popolazioni di rotiferi che sembravano ricorrere esclusivamente alla riproduzione partenogenetica, senza mai sviluppare individui maschi. Ma allora come avevano fatto tali popolazioni a sopravvivere per milioni di anni senza la ricombinazione genetica assicurata dalla riproduzione sessuata? Essa non è in teoria alla base dell’evoluzione e della sopravvivenza delle specie?
Lo “scandalo asessuale” dei rotiferi
Così venne definito in numerosi articoli e sembrava essere l’eccezione a tutte le teorie evolutive fino a quel momento formulate. La risposta è sopraggiunta solo nell’ultimo secolo grazie alla scoperta del trasferimento genico orizzontale nei metazoi (era noto che esso esistesse già tra i procarioti e i protisti), ossia del trasferimento di geni tra individui adulti e non solo tra generazione parentale e generazione figlia (trasferimento genico verticale).
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Fonti
- Mitchell et al., 2012, Zoologia, Zanichelli
- De Bernardi et al., 2016, Zoologia – Sistematica, Idelson-Gnocchi
- Wikipedia