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Voglia di cibi grassi? Tutta colpa del cervello

L’alimentazione non è sicuramente un argomento tabù nella nostra società. Tra programmi pomeridiani che consigliano diete fai da te e scaffali nelle librerie pieni di qualsiasi nuovo programma dietetico (scritto anche da improvvisati nutrizionisti) da proporre a chi deve perdere anche quel chiletto di troppo, è come se ciascuno di noi fosse immerso in una bolla in cui è impossibile non riflettere almeno un attimo su questa tematica.
La diffusione di ristoranti di varia natura in associazione alla vita frenetica comporta ormai un grande uso e abuso di modalità di pranzo e cena fuori casa, con scelte nutrizionali spesso non totalmente corrette. Ma tali preferenze sono del tutto consapevoli oppure anche il nostro cervello può prendersi la colpa di qualche decisione non proprio salubre?

Responsabilità cerebrali nella nostra alimentazione?

Secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, i quali hanno fatto confluire le proprie ipotesi in un articolo su “Nature Communications”, parte della responsabilità delle nostre scelte alimentari sbagliate può essere imputata proprio al nostro sistema nervoso. In particolare sembra che esista una determinata base genetica coinvolta in questo processo.

Sembra infatti che chi presenta un recettore difettoso per l’ormone melacortina abbia una spiccata preferenza per cibi grassi e, di contro, ridotta attrattiva per quelli ricchi di zucchero.
Già studi pregressi svolti sui ratti avevano permesso di scoprire che alterazioni legate al recettore per l’ormone melanocortina-4 (MC4R) sono responsabili della preferenza per cibi grassi. Tali scoperte però non potevano ancora considerarsi estendibili all’uomo.

Cibi grassi e preferenze alimentari

Dal ratto all’uomo: la scoperta di Cambridge

La ricerca svolta a Cambridge si è perciò concentrata sul confronto delle preferenze alimentari di quattordici soggetti con rare alterazioni del recettore e altri partecipanti considerati “di controllo”, sia magri che grassi. Dopo la proposta di tre varianti di pollo al curry (con basso, medio e alto contenuto lipidico) presentate con consistenza e gusto totalmente uguali, i soggetti avevano il compito di assaggiare le tre possibili pietanze e poi servirsi di una tra loro.

Come ipotizzato, i portatori di gene difettoso hanno scelto il piatto più grasso il 95% in più rispetto ai soggetti magri del gruppo di controllo e e il 65% in più rispetto a quelli obesi.
Il test è ripetuto anche con dolci di tre possibili variabili, ovvero ad alto, medio e basso contenuto di zucchero ma, come nel precedente esperimento, indistinguibili.

Se il gruppo di controllo ha apprezzato maggiormente il dessert con elevato valore di zucchero, i soggetti con recettore difettoso non hanno affatto apprezzato tali pietanze.

Questa innovativa scoperta biologica che coinvolge un’ampia popolazione di obesi (circa uno su cento), non è in realtà panacea per i sensi di colpa correlati a un pasto scorretto, ma segnale allarmante per una patologia rischiosa. L’obesità, infatti, se indotta anche da questi elementi, fa sì che l’individuo non si renda per nulla conto delle sue preferenze, perché indotte da qualcosa di più potente e inconsapevole.

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