Continua l’affannosa ricerca di un vaccino che possa debellare il virus Zika, al centro di un’epidemia iniziata in Brasile nel 2015 e di cui si è molto parlato durante le olimpiadi di Rio de Janeiro a causa del possibile rischio di infezione a carico degli atleti. Mentre la medicina di base continua a studiare la struttura del virus come uno dei passi fondamentali per scoprire un vaccino, in parallelo c’è chi si porta avanti col lavoro sperimentando possibili soluzioni. Per esempio il cosiddetto vaccino a mRNA continua a dare buoni risultati nei topi di laboratorio e fa ben sperare in una possibile sperimentazione umana. Proprio il 17 febbraio un ricerca pubblicata su Cell ha dimostrato che i topi di laboratorio trattati con mRNA virale possono diventare immuni all’infezione con il virus Zika.
L’mRNA è la molecola dalla quale i virus producono le proteine necessarie alla loro moltiplicazione.
Iniettando nei topi l’mRNA senza il virus, si darebbe al sistema immunitario la possibilità di sviluppare una difesa senza alcun rischio per l’animale, con la speranza che questo possa accadere anche nell’uomo. «Abbiamo misurato i livelli di virus nel sangue, nel cervello, nella milza e nell’utero delle femmine di topo, e in uno dei gruppi a cui abbiamo somministrato il vaccino la replicazione virale si è arrestata nel 95% dei casi», ha spiegato Michael Diamond, co-autore della ricerca ed esperto di malattie infettive alla Washington University School of Medicine di St. Louis.
Un vaccino più facile si potrebbe ottenere iniettando un virus integro ma in versione depotenziata, quindi incapace di sviluppare un’infezione.
Di sicuro sarebbe più comodo, ma non risolverebbe tutti i problemi perché anche il virus Zika indebolito può diffondersi nel cervello e provocare danni piuttosto gravi. Invece il vaccino a mRNA non può in alcun modo arrivare al cervello, anche per il fatto che la molecola viene rapidamente assorbita dalle cellule. L’mRNA, inoltre, può essere modificato a piacimento in modo da dare ai ricercatori la possibilità di sviluppare la molecola migliore per il sistema immunitario del paziente.
Il virus Zika appartiene al gruppo dei flavivirus, unico genere della famiglia dei Flaviviridae, del quale fanno parte anche i virus della febbre gialla, della dengue, dell’epatite C e dell’encefalite di St. Louis.
Questi virus provocano nell’uomo infezioni trasmesse generalmente con le punture di zanzare, che in un ciclo continuo fanno scorta di virus succhiando il sangue di altri animali infetti che, in gergo scientifico, si comportano da serbatoio.
All’interno dei flavivirus, la grande somiglianza tra Zika e il virus della dengue potrebbe fare in modo che il vaccino contro il primo renda l’organismo cieco contro il secondo. Compito del vaccino è “insegnare” al sistema immunitario come riconoscere un agente virale e produrre anticorpi contro di esso.
Se, però, due virus sono estremamente simili, quasi uguali, è molto probabile che si verifichi il seguente scenario: il vaccino contro uno dei virus riconosce e uccide quel virus, ma riconosce senza uccidere l’altro virus che diventerebbe, di fatto, un cavallo di troia, individuato e combattuto come Zika quando di fatto è il virus della dengue. Il vaccino a mRNA risolverebbe anche questo problema grazie alla possibilità di personalizzare la molecola in laboratorio nella forma più idonea per evitare controindicazioni.
Secondo gli autori della ricerca pubblicata su Cell il prossimo passò sarà la sperimentazione umana.
Allo stesso tempo bisognerà continuare la ricerca sui topi per verificare se il vaccino possa bloccare la trasmissione da madre a figlio durante la gravidanza, alla base di alcune malattie a carico dei nascituri. Per esempio, il figlio nato da una madre infetta dal virus potrebbe sviluppare la microcefalia, una malattia dello sviluppo caratterizzata da un cranio di dimensioni inferiori al normale e quindi associata a un profondo ritardo mentale. Il rapporto tra Zika e microcefalia è un fatto accertato e, per la prima volta, il 16 febbraio una ricerca pubblicata su Stem cell Reports ha fatto luce sul meccanismo col quale il virus provoca la malattia.