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Vipere italiane: come riconoscerle e quali sono

Le vipere italiane sono animali schivi, elusivi e decisamente poco aggressivi: non sono certo così pericolosi come molti credono, ma sono anzi serpenti bellissimi ed affascinanti che meritano di essere conosciuti e rispettati.

I serpenti sono probabilmente alcuni degli animali meno conosciuti ed apprezzati e tra questi, almeno in Italia, il primato spetta sicuramente alle vipere. La Vipera, spesso dipinta come un demonio strisciante pronto a sterminare chiunque incontri per strada, uccidere il bestiame e mettere a repentaglio l’incolumità dei nostri animali da compagnia.  Ma cosa c’è di vero in tutto questo? Semplice, nulla!

Anche la pericolosità del veleno di questi animali è relativa. È vero infatti che il morso ha rilevanza medica, ma allo stesso tempo la letalità delle specie nostrane non arriva neanche all’1%; infatti, le vipere italiane non sono considerate mortali per una persona adulta ed in buona salute, mentre più a rischio sono bambini, anziani, persone con altre patologie pregresse ed eventuali soggetti allergici (ma questo è vero anche in molte altre situazioni).

Proviamo quindi a fare un po’ di chiarezza su questi splendidi animali, auspicando che la conoscenza sia un’ottima alleata nella lotta alla paura.

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Morfologia delle vipere italiane

Le vipere italiane presentano una morfologia di base comune a tutte le specie: sono generalmente piuttosto corte e tozze (quasi mai oltre gli 80 cm), con squame dorsali carenate (ovvero con un rilievo longitudinale mediano).

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La coda è più corta, in proporzione, rispetto a quella delle altre famiglie di serpenti presenti nel nostro Paese (vedremo in seguito che questo è un carattere da prendere con le molle).

Al contrario, la testa è ben distinta dal corpo e ricoperta da molte squame di piccole dimensioni. Gli occhi hanno la tipica pupilla verticale, che, assieme alla posizione e alla forma delle squame sopraoculari, conferisce a questi animali un’aria minacciosa ma al tempo stesso affascinante.

Come tutti sanno, le vipere sono serpenti velenosi, con denti specializzati per inoculare efficacemente il veleno. Infatti, sulla mascella superiore, questi serpenti hanno una coppia di denti mobili che può essere ripiegata verso il palato quando la bocca è chiusa. Questi denti sono inoltre canicolati, ossia presentano un canale centrale per tutta la loro lunghezza (un po’ come se fossero l’ago di una siringa), e sono connessi alle ghiandole velenifere. Questa peculiare struttura dell’apparato dentario, detta solenoglifa, forma un perfetto sistema di iniezione al momento del morso ed è caratteristica di vipere e crotali.

Differenze tra maschi e femmine

In questi rettili, il dimorfismo sessuale (cioè le differenze morfologiche esistenti tra maschi e femmine) può variare tra le diverse specie, ma esistono alcune caratteristiche comuni che contraddistinguono gli individui di sesso maschile da quelli di sesso femminile: nello specifico, si fa riferimento a colorazione e morfologia del corpo e lunghezza della coda.

La colorazione del corpo è solitamente più spenta nelle femmine, che presentano anche pattern meno contrastati rispetto ai maschi; questi, al contrario, mostrano di norma tonalità più accese.

La coda è in genere più lunga nei maschi, probabilmente per poterla attorcigliare lungo quella delle femmine e facilitare così l’accoppiamento. Nei maschi, essa è anche più tozza (alla base), visto il rigonfiamento all’altezza della cloaca dovuto alla presenza degli organi riproduttivi (gli emipeni)[1].

Come riconoscere una vipera?

Riconoscere una vipera al primo sguardo può non essere semplicissimo, soprattutto per chi non è ferrato sull’argomento. Diversamente da ciò che si sente di solito, la forma della testa e della coda non sono caratteri affidabili per l’identificazione ad un occhio non esperto: il mantra testa a triangolo e coda corta è di fatto inattendibile. Non a caso, molte specie di serpenti non viperidi, quando si sentono minacciate, sono in grado di appiattire la testa, dandole la classica forma triangolare. Allo stesso modo, anche la conformazione e lunghezza della coda è un carattere difficilmente interpretabile per coloro che non hanno dimestichezza nel riconoscimento di questi rettili: sfido chiunque non se ne intenda ad indicare dove inizia la coda di un serpente, soprattutto in caso di incontro sul campo.

Per una corretta identificazione dei serpenti italiani, almeno a livello di famiglia, le altre caratteristiche citate precedentemente sono sicuramente più funzionali e sicure, oltre che decisamente più semplici da interpretare.

La presenza di un gran numero di piccole squame sul capo è una peculiarità che differenzia le vipere italiane dagli altri serpenti; questi, al contrario, hanno sulla testa poche placche di notevoli dimensioni (fa eccezione il boa delle sabbie, Eryx jaculus, la cui estrema localizzazione ed elusività, assieme ad un aspetto generale completamente diverso, rendono però improbabile un ipotetico refuso).

Allo stesso modo, risulta utile osservare la forma della pupilla (sebbene sarebbe lecita l’obiezione: e chi si avvicina per osservare la pupilla?): allungata in senso verticale nelle vipere italiane, è invece circolare nelle altre specie (anche qui, fa eccezione il boa delle sabbie, assieme al serpente gatto eurpeo, Telescopus fallax, per cui vale comunque quanto detto prima circa l’improbabilità di sbagliare).

Un altro tratto affidabile per la distinzione è la carenatura delle squame, caratteristica che le vipere condividono in Italia solamente con le natrici (Natrix spp., volgarmente note come bisce d’acqua) e con il cervone (Elaphe quatuorlineata); in questo caso, le marcate differenze a livello di morfologia e dimensioni dovrebbero bastare per evitare qualsiasi fraintendimento.

vipere italiane colubridi
Confronto tra vipere e colubridi, valido solo per le specie italiane. (immagine gentilmente concessa da Matteo Di Nicola; tutti i diritti riservati)

Morso delle vipere italiane

Per prima cosa è importante sottolineare che il morso (e con esso il veleno) per le vipere ha principalmente una funzione predatoria, visto che è con esso che si procurano il cibo.

Fatta questa premessa, si può affermare che le vipere non attaccano mai l’uomo. Le vipere italiane sono infatti serpenti di indole schiva e non aggressiva, che ricorrono al morso come meccanismo difensivo solo se messe alle strette. Per sfuggire ai predatori questi serpenti sfruttano soprattutto il loro mimetismo, restando immobili per passare inosservati. Qualora un disturbatore (umano o meno) si avvicinasse troppo, la vipera cerca di scappare e nascondersi, sfruttando il rifugio più vicino. Se però tutte le vie di fuga fossero bloccate la vipera ricorrerà all’assunzione di atteggiamenti intimidatori (come l’emissione di un sibilo, il rigonfiamento del corpo e la postura difensiva), che se ignorati possono sfociare in un morso.

Pertanto, tranne nei casi rarissimi in cui le vipere sono calpestate o toccate involontariamente, le persone che vengono morse sono totalmente colpevoli dell’accaduto. Esempi classici sono fotografi imprudenti che si avvicinano troppo o incoscienti che provano a maneggiare impropriamente questi animali (ricordando che maneggiare l’erpetofauna autoctona senza autorizzazioni è vietato in Italia).

Per quanto riguarda gli effetti che possono essere causati da un morso di vipera è impossibile tracciare una descrizione precisa ed esauriente. Sono infatti troppe le variabili che concorrono in queste situazioni: tra i fattori che determinano le conseguenze di un morso ci sono ad esempio età, peso e condizioni fisiologiche del serpente; senza dimenticare che le vipere sono in grado di calibrare la quantità di veleno inoculato, talvolta ricorrendo anche a morsi a secco (cioè in cui non viene iniettato veleno), e possono anche usare soltanto uno dei due denti connessi alle ghiandole del veleno. A questi fattori che riguardano le vipere vanno accostati anche gli analoghi umani, quindi: età, peso, eventuali patologie pregresse o allergie.

Va inoltre precisato che i veleni dei serpenti combinano diverse associazioni enzimatiche ed è quindi impossibile fare un discorso generale su di essi. Infatti, esiste una notevole variabilità nella composizione chimica del veleno non solo tra le diverse specie, ma anche tra le popolazioni di una stessa specie e addirittura all’interno delle popolazioni stesse: basti pensare che gli individui giovani che si cibano per lo più di lucertole hanno un veleno differente dagli adulti che si nutrono principalmente di piccoli mammiferi[1].

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Cosa fare in caso di morso?

Ricordiamo che le informazioni contenute in questo paragrafo sono prettamente descrittive e non sostituiscono la figura del medico.

È innanzitutto importante e necessario sfatare alcune credenze popolari. È assolutamente sconsigliabile applicare lacci emostatici, in quanto si tratta di un’azione rischiosa che, se fatta male, può addirittura aggravare la situazione. Non bisogna poi praticare incisioni: anche in questo caso si tratta di un’operazione pericolosa che necessita di esperienza e strumenti adeguati. Analogamente è sconsigliabile provare a succhiare (d’altronde un essere umano non è mica un’idrovora) o aspirare il veleno (esistono dei kit appositi, che si sono dimostrati inutili o anche nocivi). Non ricorrere mai a medicinali senza controllo medico: il famigerato siero non è più acquistabile da anni ormai (quindi se qualcuno lo avesse in frigo farebbe bene a smaltirlo in maniera adeguata) e può dare reazioni peggiori di quelle causate da un morso delle specie di vipera italiane; non a caso, l’antidoto viene somministrato solo in ambito ospedaliero e in casi gravi, previa un’accurata analisi della situazione da parte del personale medico.

Cosa fare quindi qualora si venisse morsi da una vipera? La prima cosa da fare sempre è avvisare i soccorsi e, intanto, cercare di mantenere la calma evitando di muoversi troppo, aspettando di essere trasportati in ospedale. Sarebbe bene anche togliere eventuali anelli, bracciali o simili, visto che i morsi interessano per lo più gli arti, che si gonfiano notevolmente. Sarebbe bene applicare un bendaggio compressivo alla zona colpita, nel tentativo di rallentare o bloccare la circolazione linfatica, senza fermare quella sanguigna. Inoltre, da alcuni anni, si trovano in commercio dei dispositivi che emettono impulsi elettrici con lo scopo di degradare alcuni enzimi presenti nel veleno: questi apparecchi sono stato concepiti proprio come primo rimedio in caso di morso di serpenti velenosi o punture di imenotteri e vanno quindi usati immediatamente dopo un eventuale morso.

Riproduzione delle vipere italiane

Gli accoppiamenti delle vipere italiane avvengono successivamente al periodo di latenza invernale, con i maschi che danno vita a combattimenti ritualizzati per garantirsi l’accesso al partner.

Il costo energetico della riproduzione, unito all’impossibilità di alimentarsi nella fase finale dell’incubazione degli embrioni, fa sì che le femmine possano riprodursi in media ogni due anni[1], anche se questo numero può subire delle fluttuazioni a seconda delle specie e delle condizioni ambientali. Per onor di cronaca, è bene specificare come anche il ciclo riproduttivo dei maschi paia essere biennale, sebbene esso sia ancora poco conosciuto[1].

Una prerogativa delle vipere è l’ovoviviparità, una modalità riproduttiva che prevede l’incubazione delle uova all’interno del corpo della madre e la nascita di piccoli già completamente formati. L’ovoviviparità è un efficiente adattamento ad ambienti montani, dove è spesso complicato trovare siti idonei per la deposizione delle uova, la quale richiede precisi requisiti di umidità e temperatura. In Italia, ci sono solo altri due serpenti ovovivipari, Coronella austriaca ed Eryx jaculus.

La durata della gestazione può variare in funzione di fattori climatici, che possono condizionare la velocità di sviluppo degli embrioni. In linea di massima, il periodo di incubazione dura circa tre mesi, anche se, in caso di condizioni climatiche sfavorevoli, le femmine possono entrare in latenza invernale senza aver partorito i piccoli, che nasceranno a cavallo tra la primavera e l’estate successiva[1].

Quali sono le vipere italiane?

Note tassonomiche

La famiglia Viperidae comprende una quarantina di generi, tra cui Vipera, al cui interno ricadono tutte le specie di vipere italiane. Recentemente, alcuni autori hanno proposto la suddivisione di questo genere in due sottogeneri: Pelias (che dovrebbe includere i gruppi berus, kaznakovi e ursinii) e Vipera (che dovrebbe invece includere i gruppi ammodytes, aspis e latastei)[1]. Tuttavia, da questo punto di vista, la situazione è ancora in divenire e abbastanza intricata, con altri studiosi che suggeriscono invece l’introduzione di un altro sottogenere, Acridophaga, per le popolazioni di Vipera ursinii[1].

Fatta questa brevissima introduzione alla tassonomia e alla sistematica, è possibile passare in rassegna le vipere italiane. Ad oggi, nel nostro Paese, abbiamo cinque (o quattro, secondo alcune revisioni tassonomiche) specie di vipere:

  • Vipera ammodytes, o vipera dal corno;
  • Vipera aspis, o vipera comune;
  • Vipera berus, o marasso;
  • Vipera ursinii, o vipera dell’Orsini;
  • Vipera walser, o vipera dei Walser

Va specificato che la vipera dei Walser è stata descritta nel 2016 e alcuni esperti non la riconoscono come specie valida.

Vipera ammodytes, o vipera dal corno

Vipera ammodytes, detta vipera dal corno, è un serpente robusto, con testa grossa e ben distinta dal corpo. Tra le vipere italiane, è quella di maggiori dimensioni, visto che può raggiungere lunghezze intorno ai 90 cm.

La caratteristica che rende inconfondibile questa specie è la presenza di una protuberanza carnosa all’estremità del muso (il corno, per l’appunto). Questo cornetto può arrivare a misurare 5 mm ed è ricoperto da cinque fino a venti squame[1].

La colorazione di fondo è piuttosto variabile: dorsalmente è comunemente grigia chiara, ma esistono individui bruni, così come aranciati o rossastri; il ventre è solitamente grigiastro, ma anche qui esiste una certa variabilità che oscilla fino a tinte bruno-giallastre.

Lungo il dorso, questa specie presenta un pattern costituito da un disegno a zig-zag più scuro rispetto alla colorazione di fondo, che spesso forma una serie di chiazze romboidali unite tra loro. Il contrasto tra la colorazione di fondo e il motivo a rombi è decisamente più accentuato nei maschi, di solito anche più lunghi delle femmine (le quali sono però più massicce)[3].

In Italia, la vipera dal corno è presente solamente in Friuli-Venezia Giulia, in alcune zone montane del bellunese e in una limitata area della provincia di Bolzano. Tutte le popolazioni italiane sono ascritte alla sottospecie nominale (Vipera ammodytes ammodytes), sebbene fosse stata proposta una diversa sottospecie per le popolazioni altoatesine (Vipera ammodytes ruffoi, fondata su basi morfologiche e geografiche), invalidata però dai più recenti studi molecolari[4].

Vipera ammodytes predilige habitat secchi, aridi e rocciosi, come muretti a secco, pietraie e macereti, che in Italia ospitano questo serpente dalle quote planiziali (quasi al livello del mare) fino a più di 1500 m di altitudine. Una nota interessante è come la colorazione (livrea) sia fortemente legata agli ambienti occupati degli individui di questa specie: le vipere dal corno che vivono in ambienti dominati da rocce calcaree sono per lo più grigio chiare, con il tipico pattern dorsale scuro, così da rendersi difficilmente visibili sulle pietre illuminate dal sole; al contrario, gli individui bruno-rossicci sono solitamente associati ad ambienti caratterizzati da una maggiore copertura arborea, dove riescono a confondersi perfettamente con le foglie secche e gli altri residui vegetali[1]. Questi esempi evidenziano come la livrea di questi animali sia un carattere modellato dalle pressioni selettive a cui sono sottoposte le popolazioni.

Attualmente, lo stato di conservazione delle popolazioni italiane di Vipera ammodytes è molto eterogeneo. Infatti, la specie risulta essere piuttosto diffusa e comune nelle zone di presenza in Friuli-Venezia Giulia, mentre in Alto Adige è fortemente minacciata per via dell’areale ridotto, l’alterazione degli habitat e i reiterati prelievi a scopo terraristico[3].

Vipera aspis, o vipera comune

Vipera aspis (vipera comune) è un serpente dalla corporatura robusta, che può raggiungere e superare gli 80 cm. La testa è chiaramente differenziata dal corpo, con l’apice del muso rivolto verso l’alto.

In generale, i maschi sono più slanciati delle femmine e presentano un maggiore contrasto cromatico tra l’ornamentazione dorsale e la colorazione di fondo, con quest’ultima compresa entro una notevole gamma di tonalità: dal grigio chiaro fino a tinte molto scure, passando attraverso diverse sfumature brune, rossicce o color sabbia. Tuttavia, la colorazione ed il pattern (così come la folidosi, cioè numero, forma e disposizione delle squame) sono estremamente variabili, sia tra le diverse sottospecie che all’interno di esse.

La tassonomia della vipera comune è molto complicata e ancora oggetto di dibattiti tra gli studiosi. In Italia sono presenti tre sottospecie di Vipera aspis:

  • Vipera aspis francisciredi, o vipera di Redi;
  • Vipera aspis hugyi, o vipera del Meridione;
  • Vipera aspis aspis.

Vipera aspis francisciredi (vipera di Redi) è presente nel nord-est, in Lombardia, limitate aree di Piemonte e Liguria e nel resto dell’Italia peninsulare fino alle porzioni settentrionali di Puglia, Basilicata e Campania. In genere, ha un disegno dorsale costituito da piccole barre o triangoli.

Vipera aspis hugyi (vipera del Meridione) è un endemismo italiano diffuso in Sicilia, Calabria, in quasi totalità di Puglia e Basilicata e buona parte della Campania. Presenta un pattern con forme smussate, ellittiche o tondeggianti, disposte a zig-zag.

Vipera aspis aspis occupa le regioni del nord-ovest ed è caratterizzata solitamente da due serie di barre orizzontali, allineate o alternate rispetto all’asse mediano del corpo, che possono anche essere fuse disegnando una linea sinuosa. Quest’ultima sottospecie è tutt’ora argomento di discussione tra gli esperti, con alcuni autori che propongono di ascrivere le popolazioni alpine e italiane ad un’altra sottospecie, Vipera aspis atra, viste le differenze a livello di etologia e livrea rispetto alle popolazioni francesi e del Giura svizzero della sottospecie nominale. Tuttavia, alcune indagini a livello molecolare non sostengono la validità di questa proposta[5, 6].

Una curiosità affascinante sulla livrea delle tre sottospecie italiane è che sono segnalate osservazioni di individui melanici (completamente neri) o melanotici (quasi completamente neri) per ognuna di esse. Il melanismo risulta essere comune soprattutto nelle popolazioni montane di Vipera aspis aspis; queste presentano raramente anche individui concolor, ossia caratterizzati dall’assenza totale di pattern dorsale.

La vipera comune colonizza un’elevata varietà di ambienti, come zone costiere di macchia mediterranea, pianure incolte, limiti e radure delle foreste, ma anche pietraie, aree paludose e pascoli d’alta quota (fino a 2800 m in Piemonte e Val d’Aosta con la sottospecie nominale). In ogni caso, si può affermare che l’habitat ideale di questa specie prevede una buona esposizione ai raggi solari e al contempo un buon numero di possibili rifugi dove trovare riparo.

La distribuzione ampia e le notevoli capacità di adattamento fanno sì che le popolazioni di Vipera aspis siano ancora piuttosto consistenti, con le maggiori minacce che sono rappresentate dalla perdita di habitat e dalla persecuzione diretta da parte dell’uomo[3].

Vipera berus, o marasso

Vipera berus (marasso) è un serpente abbastanza tozzo, con testa ben distinta dal corpo e di forma subovale e con l’estremità piuttosto arrotondata. Sulla testa inoltre sono solitamente presenti, nella zona centrale, tre squame di dimensioni nettamente maggiori rispetto a quelle circostanti. La lunghezza in media si aggira intorno ai 50 cm.

La livrea del marasso è molto variabile, con una colorazione di fondo che può essere bruna, grigia o rossastra, su cui si staglia un motivo a zig-zag più scuro (detto grecale), abitualmente nero o marrone, più raramente rossiccio. Inoltre, lungo i fianchi sono comunemente presenti delle macchie scure in corrispondenza di ogni curva del motivo dorsale.

Va sottolineato che non è raro imbattersi in individui melanici o melanotici di questa specie, soprattutto in alcune popolazioni dove questi fenotipi risultano essere particolarmente abbondanti. Una curiosità sulla livrea di Vipera berus è che, in questi animali, è semplice osservare l’influenza di fattori ormonali sul fenotipo. Questo fenomeno è comune in tutte le specie di vipera, ma è molto evidente nei marassi maschi, che prima degli accoppiamenti sfoggiano una livrea spiccatamente brillante. Analogamente, le femmine durante la gestazione hanno tendenzialmente una colorazione più sbiadita[1].

In questi animali è lampante il dimorfismo sessuale, con gli individui di sesso maschile che solitamente presentano una livrea più contrastata (fondo più chiaro e ornamentazione più scura) rispetto a quelli di sesso femminile, che raggiungono dimensioni maggiori. Tra i due sessi esistono anche delle differenze nella folidosi (numero, forma e disposizione delle squame)[3].

Passando alla tassonomia, in Italia è presente esclusivamente la sottospecie nominale (Vipera berus berus), anche se alcune ricerche hanno mostrato come le popolazioni italiane (assieme a quelle dell’Austria e di parte di Slovenia e Svizzera) siano differenziate rispetto alle altre e meriterebbero quindi un proprio rango sottospecifico[7]. Inoltre, analisi molecolari recenti hanno rivelato che le popolazioni del Piemonte nord-orientale presentano differenze genetiche importanti rispetto a quelle del resto delle Alpi, per cui sono state elevate a livello di specie, con l’istituzione di Vipera walser[8].

In Italia, il marasso si trova nelle regioni alpine centro-orientali, dalla Lombardia fino al Friuli-Venezia Giulia, dove occupa ambienti idonei tra i 1000 e i 2500 m sul livello del mare. Nella fattispecie, questa vipera italiana colonizza principalmente praterie, pascoli e arbusteti montani, ma anche pietraie, torbiere e zone paludose.

A livello di conservazione, Vipera berus è di norma considerata comune nelle zone dove è presente. C’è da dire però che è una specie decisamente sensibile all’alterazione degli habitat e tende a scomparire dalle località soggette ad attività umane. Un altro elemento interessante in questo senso è legato ai cambiamenti climatici, con il surriscaldamento globale che sta verosimilmente rendendo accessibili alla vipera comune habitat a quote più elevate, solitamente abitati dal marasso, con conseguente disturbo degli equilibri ecologici e aumento della pressione competitiva cui si trovano sottoposte alcune popolazioni di Vipera berus[1].

Vipera ursinii, o vipera dell’Orsini

Vipera ursinii (vipera dell’Orsini) è la più piccola tra la vipere italiane ed europee, con una lunghezza media intorno ai 40 cm. Il capo è subovale e poco distinto dal tronco, con anche la punta del muso piuttosto arrotondata. La colorazione di fondo varia tra grigio, beige e bruno-rossastro e sopra di essa è presente un pattern a zig-zag marrone o nerastro. Lungo i fianchi si trova una serie di chiazze scure poco definite, in corrispondenza di ogni vertice dell’ornamentazione dorsale.

Per quanto riguarda il dimorfismo sessuale, i maschi solitamente mostrano colorazioni più contrastate rispetto alle femmine, con queste ultime che raggiungono dimensioni maggiori e possono avere un numero minore di squame sottocaudali[3].

Dalle quattro sottospecie di Vipera ursinii, in Italia si trova soltanto la nominale (Vipera ursinii ursinii), presente esclusivamente su alcuni rilievi appenninici di Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria, dov’è legata ad ambienti aperti ed erbosi, con substrato terroso o roccioso, dominati dal ginepro nano (Juniperus nana), a quote comprese tra i 1300 ed i 2400 m.

Visto l’areale ridotto e l’alto livello di isolamento tra le popolazioni (che presentano anche una bassa densità di individui), a livello nazionale, la vipera dell’Orsini è una specie a notevole rischio di estinzione, tenendo anche conto di fattori di disturbo antropici come l’eccesivo carico dei pascoli, le uccisioni volontarie e la distruzione dell’habitat con la costruzione di infrastrutture[1, 3].

Vipera walser, o vipera dei Walser

Vipera walser, chiamata vipera dei Walser (dal nome delle popolazioni germaniche che vivono nelle località in cui si trova questo serpente) è morfologicamente molto simile a Vipera berus, sia dal punto di vista dell’aspetto generale che a livello di dimensioni. Proprio a causa di questa somiglianza, Vipera walser è stata a lungo non riconosciuta, fino alla recente descrizione del 2016[8]. È bene precisare che tutt’ora il dibattito sulla validità di questa specie resta aperto, visto che non tutti gli studiosi sono concordi sulla questione[9].

Esistono però, tra queste due specie, alcune piccole differenze nella struttura della testa, che risulta mediamente più larga alla base e più corta nella vipera dei Walser. In particolare, in questa specie, la lunghezza del segmento che congiunge l’occhio con l’apice del muso è leggermente inferiore rispetto a quanto si riscontra nel marasso[3].

Anche dal punto di vista cromatico, Vipera walser è pressoché indistinguibile da Vipera berus, con colorazioni di fondo che vanno dal grigio al bruno ed un motivo a zig-zag dorsale più scuro, solitamente più contrastato nei maschi, che raggiungono dimensioni minori rispetto alle femmine.

Alla luce di quanto detto, la distinzione tra le due specie sul campo è praticamente impossibile, visto che entrambe sono caratterizzate anche da un certo livello di variabilità sia per quanto concerne la livrea che la folidosi[1].

Per la distinzione tra queste due specie di vipere italiane si ricorre dunque all’areale di distribuzione, con la vipera dei Walser che è endemica di un’area molto ristretta (meno di 500 km2 di estensione!) delle Alpi piemontesi, dove vive tra i 1000 e i 3000 m di quota, in ambienti aperti come praterie montane con affioramenti rocciosi, o altri habitat molto simili a quelli che colonizza il marasso. Tuttavia, pare che le due specie abbiano necessità differenti per parametri quali umidità e temperatura[1].

La somiglianze tra Vipera berus e Vipera walser non si limitano quindi a caratteri morfologici, ma anche ad aspetti eco-etologici. La peculiarità di Vipera walser risiede nel fatto che mostra una notevole affinità genetica con altre specie di vipera decisamente lontane dal punto di vista geografico, come Vipera kaznakovi  e Vipera darevski, entrambe caucasiche.

Questa caratteristica ha una certa rilevanza dal punto di vista paleobiogeografico e della filogenesi, per cui la vipera dei Walser potrebbe essere considerata una specie relitta. Infatti, nel corso dei periodi glaciali, gli antenati delle attuali specie avrebbero trovato rifugio in diverse zone europee, mentre nei periodi interglaciali, col mutamento degli equilibri climatici, alcuni si espansero nuovamente, mentre altri restarono isolati nei rifugi delle ere glaciali. In un’ottica di questo tipo, vista la sua estrema localizzazione, Vipera walser potrebbe essere un relitto di età pleistocenica (il Pleistocene fu un periodo freddo caratterizzato da diverse fasi glaciali) che avrebbe trovato rifugio in alcune aree diverse da quelle occupate dal marasso. Quest’ipotesi troverebbe un indizio nella capacità di Vipera walser di tollerare temperature più calde (così come Vipera kaznakovi) rispetto a Vipera berus, che escluderebbe la competizione tra le due, vista la suddivisione degli habitat[1].

A proposito di conservazione, è facile capire come l’areale distributivo incredibilmente ristretto ponga la vipera dei Walser in pericolo di estinzione; a questo fattore, va unita l’elevata frammentazione delle popolazioni. È stata quindi proposta la categoria “EN” (endangered, in pericolo) per Vipera walser. Nonostante questo, la specie non è ancora stata inserita nelle Liste Rosse IUCN, vista anche la sua recente descrizione e il fatto che non ci sia ancora un riconoscimento unanime sulla validità del rango specifico per questo animale[3].

vipere italiane specie
Immagini documentative di tutte le vipere italiane con rispettivo areale di distribuzione. (gentilmente concessa da Matteo di Nicola; tutti i diritti riservati)

Conservazione e tutela delle vipere italiane

Come molti altri rettili del nostro Paese, anche le vipere stanno andando incontro ad un inesorabile declino e possono essere considerate animali vulnerabili/minacciati[1].

Tra i fattori che hanno contribuito a questa condizione, il più scabroso è sicuramente l’uccisione diretta di questi animali, spesso determinata da paura e ignoranza, che in determinate situazioni ha avuto (e continua ad avere) un impatto non trascurabile sulle popolazioni di serpenti.

In parallelo a questo fenomeno, anche il prelievo di individui per scopi commerciali concorre alla rarefazione di queste specie: il mercato della terraristica muove infatti una mole non indifferente di denaro, con individui di particolare pregio per rarità o colorazione che possono avere un ragguardevole valore economico[3].

Tuttavia, nonostante questi fenomeni, bisogna specificare che il motivo principale della scomparsa delle vipere italiane è sicuramente la distruzione, alterazione e frammentazione degli habitat. In Italia, infatti, l’inesorabile processo di urbanizzazione e l’agricoltura intensiva rappresentano senza dubbio le principali minacce per l’erpetofauna.

La perdita di habitat è ad esempio alla base dell’estinzione di molte popolazioni planiziali di Vipera aspis, i cui ambienti sono stati spesso bonificati per fare spazio a terreni agricoli, zone industriali o strade, con queste ultime che espongono anche gli animali al rischio di investimento[1]. Una situazione simile è anche vissuta dalle popolazioni altoatesine di Vipera ammodytes, che sono a serio rischio per lo sfruttamento dei loro habitat a scopi economici, come per l’estrazione di porfido e la conversione dei terreni in frutteti[3]. In ambiente montano, risulta essere particolarmente problematico l’abbandono dei pascoli, che porta ad una espansione delle zone boscate e alla scomparsa di prati e fasce ecotonali[10].

Queste sono solo le più eclatanti tra le concause che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza delle vipere nel nostro Paese: è bene ammettere che meriterebbero un approfondimento anche l’introduzione di specie aliene e l’impatto dei cambiamenti climatici[3].

Alla luce di queste minacce e in un ideale di tutela, occorre ricordare che le vipere (come tutta l’erpetofauna autoctona) sono animali protetti dalla Convenzione di Berna (o Convenzione sulla Conservazione della Vita Selvatica e dell’Ambiente Naturale in Europa), datata 1979, ratificata in Italia nel 1981 ed entrata effettivamente in vigore sul nostro territorio nel 1982. La Convenzione di Berna è uno strumento giuridico internazionale nel campo della conservazione della natura ed ha principalmente l’obiettivo di proteggere la flora e la fauna selvatiche, assieme ai loro habitat naturali.

Vipera ammodytes e Vipera ursinii, oltre che nella Convenzione di Berna, sono inserite anche nella Direttiva Habitat (relativa alla tutela degli habitat naturali e seminaturali e della flora e la fauna selvatiche), approvata nel 1992 dalla Commissione Europea e recepita dall’Italia nel 1997.

In Italia, non esiste ancora una legge nazionale sulla tutela della cosiddetta fauna minore (con cui si fa riferimento agli animali eterotermi, ossia quelli a sangue freddo), ma fortunatamente quasi tutte le regioni (fanno eccezione Basilicata, Campania, Marche, Puglia e Umbria) e le province autonome di Trento e Bolzano hanno emanato delle apposite leggi locali.

In virtù di quanto riportato è palese che uccidere una vipera sia quindi un’azione illegale, oltre che incivile e profondamente errata.

Conclusioni

Nel nostro Paese, le vipere sono gli unici serpenti dotati di un morso davvero rilevante dal punto di vista medico, ma la pessima fama di cui godono è quanto mai immeritata. Le vipere italiane (che tra l’altro sono solamente una manciata specie) sono infatti animali schivi, elusivi e decisamente poco aggressivi. Si può quindi affermare con certezza che non sono certo così pericolosi come molti credono (occhio però a non cadere nell’estremo opposto): sono anzi serpenti bellissimi ed affascinanti, che meritano di essere conosciuti e rispettati, visto anche lo stato di pericolo in cui si trovano moltissime popolazioni.

Referenze

  1.  Grano, M., Meier, G., Cattaneo, C. (2017). Vipere italiane. Gli ultimi studi sulla sistematica, l’ecologia e la storia naturale. Castel Negrino, Aicruzio (MB);
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  3. Di Nicola, M. R., et al. (2019). Anfibi e rettili d’Italia. Edizioni Belvedere, Latina, Le scienze (31);
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  9. Speybroeck, J., et al. (2020). Species list of the European herpetofauna–2020 update by the Taxonomic Committee of the Societas Europaea Herpetologica. Amphibia-Reptilia, 1(aop), 1-51;
  10. Caldonazzi, M., Pedrini, P., Zanghellini, S. (2002). Atlante degli anfibi e dei rettili della Provincia di Trento. Trento: Museo tridentino di scienze naturali.

Immagine di copertina gentilmente concessa da Matteo di Nicola (tutti i diritti riservati).

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