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Vermocane (Hermodice carunculata)

Un verme di fuoco alla conquista del Mediterraneo

I vermi di fuoco sono un gruppo di organismi marini così chiamati per la forte sensazione di bruciore che causano a seguito del contatto con la pelle[1]. Riconoscere un verme di fuoco è piuttosto semplice, essendo essi dei policheti (parenti marini dei lombrichi) caratterizzati da lunghe chete calcaree ben visibili che sporgono dal corpo: sono proprio queste le strutture a renderli urticanti! Esistono circa 200 specie di vermi di fuoco, divise in 25 generi[2]. Di queste, una delle specie più note nel Mediterraneo è il vermocane (Hermodice carunculata).

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Morfologia generale del vermocane

Hermodice carunculata (vermocane o verme cane) è un verme di fuoco della famiglia Amphinomidae[3]. È anche detto verme di fuoco barbuto proprio per la presenza delle chete calcaree che, sporgendo dal corpo, assomigliano ad una barba che circonda l’animale.

Il vermocane non è tra i giganti del nostro Mare, ma ha dimensioni davvero considerevoli per essere un verme marino: può arrivare fino a 50 cm di lunghezza[4]! Tra l’altro, è stato notato di recente un aumento nella taglia media di questa specie fino a 50-77 cm, in particolare lungo le coste del Tirreno[5].

Come altri policheti, i vermi di fuoco differiscono per morfologia e colore. Il vermocane varia ad esempio dall’arancio al rosso scuro, dal viola al verde profondo[1] con ciuffi di chete bianche ben visibili[6].

L’epiteto della specie (carunculata) è dovuto ad una precisa parte anatomica, la caruncula. Essa è presente solo in alcuni policheti e si trova nella parte posteriore del prostomio (il segmento corrispondente al capo dell’animale) e ha funzione sensoriale.

vermocane capo
Fig. 1 –  Dettaglio del prostomio del vermocane in cui si osserva la caruncula (la struttura arancione ramificata presente a sinistra nella foto);+. Le altre strutture con morfologia simile presenti lungo il corpo sono invece le branchie. Le strutture bianche, infine, sono i ciuffi di chete calcaree.

Riproduzione del vermocane

La riproduzione di questo verme marino è sia sessuale che asessuale. Nel primo caso, la riproduzione avviene tramite l’unione di gameti maschili (spermatozoi) e gameti femminili (cellule uovo). Dall’uovo si sviluppa una larva (detta trocofora) a cui fa seguito la formazione di un individuo.

La riproduzione asessuata invece avviene per frammentazione e rigenerazione. Ciò significa che quando il vermocane viene tagliato in due parti, ciascuna di queste è in grado di ricostruire i segmenti mancanti. Anche se questo tipo di riproduzione non sostituisce quella sessuale, è promotrice dell’aumento del numero di individui. Per riconoscere se un vermocane ha subito un processo di frammentazione e rigenerazione si può osservare il colore: spesso la parte rigenerata manca di pigmenti[7].

Predazione e ruolo ecologico

Le chete del vermocane sono una doppia arma: servono sia come meccanismo di difesa antipredatorio, sia per immobilizzare e ferire le prede[4]. Il vermocane è non a caso un consumatore opportunista e vorace[6]. È in grado di nutrirsi di organismi appartenenti ai gruppi più disparati e, di fatti, nella sua dieta rientrano: coralli, anemoni, spugne, ricci e stelle di mare[4]. Di recente, alcuni studi hanno addirittura evidenziato che il vermocane può nutrirsi anche di meduse e cetrioli di mare[5]!

Il vermocane è un predatore vorace quanto distruttivo perché quando attacca organismi sessili (cioè fissi al substrato come i coralli, appunto), dopo la predazione lascia il fondale completamente brullo. Non solo preda tanti organismi diversi, ma è in grado di predare anche quelli meno appetibili. Può infatti nutrirsi anche di specie che presentano difese chimiche contro la predazione senza però esserne danneggiato[4].

Il vermocane è anche in grado di cambiare dieta in funzione delle condizioni ambientali: quando le prede scarseggiano può diventare letteralmente uno spazzino (scavenger in inglese), nutrendosi dei detriti organici del fondale e anche di organismi morti (saprofagia)[4, 5]. In condizioni estreme è stato dimostrato che può nutrirsi anche di conspecifici feriti o morti[4]!

La versatilità alimentare del vermocane lascia intendere che abbia un ruolo ecologico decisivo. Esso è infatti in grado di influenzare le popolazioni delle sue prede, riducendone il numero di individui, e modificando così la struttura di tutta la comunità marina dei fondali (comunità bentonica).

Distribuzione e invasività del vermocane

Il vermocane è una specie che viene definita a distribuzione anfiatlantica: vale a dire che il suo range nativo include i Caraibi, il Golfo del Messico e il Mar Mediterraneo[4]. Data la sua originaria presenza nel Mediterraneo, il vermocane non può essere definito una specie aliena, ma piuttosto un invasore nativo. Viene definito invasore poiché sta colonizzando in maniera massiccia le coste del Mediterraneo, con importanti ripercussioni sulle dinamiche delle comunità marine. In altre parole, il vermocane è da tempo presente nei nostri mari, ma il numero di individui è cambiato molto nel corso del tempo.

Le prime tracce storiche della presenza del vermocane nel Mediterraneo risalgono al XIX secolo, quando fu segnalato nel mare di Levante, mar Egeo e lungo la costa est della Sicilia. Alla fine del XIX secolo, due esemplari furono segnalati anche nel Golfo di Napoli (e conservati nel Museo della Stazione Zoologica Anton Dohrn), restando però gli unici due avvistamenti in quel contesto geo-storico[5].

Ad oggi, i numeri riguardanti questa specie sono decisamente più elevati, così come le aree che ha colonizzato. Il potenziale invasivo della specie è dovuto a diverse caratteristiche, tra le quali primeggiano:

  • la grande capacità di dispersione delle larve;
  • l’abbondanza di prede e la versatilità alimentare;
  • la mancanza o scarsità di predatori.

Ad oggi, infatti, sono note pochissime specie che si nutrono del vermocane. Inoltre, esse sono rappresentate da pesci ossei tipici dell’Atlantico, come Haemulon plumierii e Malacanthus plumieri. Ne consegue che, in Mediterraneo, il vermocane può colonizzare quasi indisturbato i fondali che lo aggradano, aiutato dal fatto che i suoi predatori non sono presenti o vengono sovrapescati[8].

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Invasione e cambiamento climatico

Il vermocane è una specie con areale subtropicale/tropicale che si sta espandendo verso i poli[4]. Di fatti, mentre in passato il vermocane era segnalato prevalentemente nella parte sud del Mediterraneo, attualmente si sta espandendo anche a nord, tanto è vero che ha raggiunto le coste dell’Adriatico, dove ormai è registrato come specie comune[6]. In generale, Hermodice carunculata è considerata una specie comune dei fondali rocciosi dell’infralitorale del Mediterraneo, soprattutto tra 2 e 20 m di profondità[5].

L’espansione del vermocane è legata soprattutto al riscaldamento delle acque e quindi al cambiamento climatico. Questa specie, che preferisce le acque calde, può oggi colonizzare anche le coste che in passato erano inaccessibili a causa delle temperature troppo basse. Il vermocane è dunque una specie termofila, ossia che vive a temperature subtropicali; infatti, al di sotto dei 19°C, gli individui sospendono gran parte delle loro attività biologiche, pur rimanendo vitali[6].

A causa dell’aumento della temperatura delle acque, specie termofile come il vermocane, troveranno con più probabilità posti nuovi con le condizioni favorevoli alla loro sopravvivenza. Continuando ad espandersi, tali specie andranno a determinare svariati cambiamenti ambientali, con ripercussioni sulla composizione della comunità e (potenzialmente) anche sulla biodiversità[6].

vermocane distribuzione
Distribuzione attuale del vermocane in Italia. Le linee bianche definiscono i sotto-bacini del Mediterraneo, mentre l’estensione dei cerchi gialli è proporzionale al numero di individui registrati per ogni punto. (da [5])

Il vermocane è velenoso o tossico?

In caso di contatto, le chete calcaree del vermocane penetrano nella pelle generando una forte sensazione di bruciore, reazione infiammatoria e anche edema[5]. La reazione infiammatoria è dovuta al contatto con le tossine annesse alle chete.

Il meccanismo di trasporto delle tossine non è ancora chiaro, quindi risulta difficile definire se la specie sia velenosa o tossica. Infatti, un animale si definisce velenoso (corrispondente all’inglese venomous) quando è in grado di iniettare il veleno tramite morso o puntura; il termine tossico (poisonous) si applica invece ad animali e piante in cui l’effetto avverso alla tossina si ha per solo contatto o in seguito ad ingestione.

È stato a lungo ipotizzato che il vermocane fosse un organismo velenoso, ossia in grado di iniettare il veleno grazie alle chete. In realtà ci sono evidenze contrastanti. Alcuni ricercatori sostengono che le chete siano ripiene di un fluido che contiene sostanze urticanti, il che lo classificherebbe come velenoso. Altri scienziati non hanno invece evidenziato alcun tipo di tessuto ghiandolare alla base delle chete in grado di produrre queste molecole[2].

A complicare la comprensione della pericolosità del vermocane ci sono le incognite sulla sostanza in questione. Mentre per alcune specie di vermi di fuoco è stata identificata la tossina (come la complanina in Eurythoe complanata)[2], nel vermocane non è ancora chiara la natura chimica della tossina che causa l’irritazione[4, 6]. Studi recenti suggeriscono che questa non sia unica, ma che il vermocane sia piuttosto in grado di produrre un cocktail di tossine, appartenenti a ben 24 classi diverse[2].

Cosa fare in caso di contatto?

Ricordiamo che le informazioni contenute in questo paragrafo sono prettamente descrittive e non sostituiscono la figura del medico.

Nonostante il trasporto delle tossine sia ancora dibattuto, è ben chiaro che il contatto con questo animale non generi sensazioni piacevoli. Il bruciore piuttosto intenso si prolunga quando le chete dell’animale restano conficcate nella pelle e pertanto è necessario rimuoverle. Per farlo ci sono diversi metodi. Alcuni suggeriscono l’uso di pinzette, altri preferiscono l’estrazione con carte di credito o nastro adesivo. Quest’ultimo va applicato sulla pelle e fatto aderire il più possibile e deve poi essere staccato lentamente in modo che le chete restino attaccate. Sicuramente, però, questa operazione non fa cessare il dolore. È quindi consigliata l’applicazione di una pomata o di alcol per lenire il dolore. Un controllo in guardia medica o al pronto soccorso è sempre fondamentale per prevenire eventuali infezioni (magari causate da chete non rimosse).

Conclusioni

Pur essendo un soggetto stupendo per le fotografie subacquee il vermocane è un organismo da cui stare alla larga, anche se dotati di protezioni come i guanti. Se questa specie scoraggia l’uomo dal contatto, possiamo pensare a quanto temibile sia per altri organismi marini. L’aumento della taglia media e del numero di individui rappresentano quindi un grosso problema per le comunità dei fondali marini. Questo non è altro che lo specchio dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo negli ecosistemi marini.

Referenze

  1. Yáñez-Rivera, B., & Salazar-Vallejo, S. I. (2011). Revision of Hermodice Kinberg, 1857 (Polychaeta: Amphinomidae). Scientia Marina, 75(2), 251-262;
  2. Verdes, A., Simpson, D., & Holford, M. (2018). Are fireworms venomous? Evidence for the convergent evolution of toxin homologs in three species of fireworms (Annelida, Amphinomidae). Genome biology and evolution, 10(1), 249-268;
  3. WoRMS (World Register of Marine Species) –Hermodice carunculata;
  4. Simonini, R., et al. (2018). Laboratory observations on predator–prey interactions between the bearded fireworm (Hermodice carunculata) and Mediterranean benthic invertebrates. Marine and freshwater behaviour and physiology, 51(3), 145-158;
  5. Righi, S., Prevedelli, D., & Simonini, R. (2020). Ecology, distribution and expansion of a Mediterranean native invader, the fireworm Hermodice carunculata (Annelida). Mediterranean Marine Science, 21(3), 558-574;
  6. Toso, A., et al. (2020). First description of early developmental stages of the native invasive fireworm Hermodice carunculata (Annelida, Amphinomidae): a cue to the warming of the Mediterranean Sea. Mediterranean Marine Science, 21(2), 442-447;
  7. Ahrens, J. B., et al. (2014). Regeneration of posterior segments and terminal structures in the bearded fireworm, Hermodice carunculata (Annelida: Amphinomidae). Journal of morphology, 275(10), 1103-1112;
  8. Ladd, M. C., & Shantz, A. A. (2016). Novel enemies–previously unknown predators of the bearded fireworm. Frontiers in Ecology and the Environment, 14(6), 342-343.
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