La Community italiana per le Scienze della Vita

Tubercolosi: cause, sintomi e trattamento

La tubercolosi è una malattia infettiva e contagiosa[1,2], causata dal microrganismo Mycobacterium tuberculosis (M. tuberculosis). Questo si trasmette per via aerea e nonostante possa interessare altre parti del corpo (tubercolosi extrapolmonare), nella maggior parte dei casi coinvolge i polmoni (tubercolosi polmonare). Se non trattata adeguatamente, la tubercolosi può portare alla morte[1].

Agente eziologico

Il Mycobacterium tuberculosis, detto anche “bacillo di Koch[1] (dal nome dello scienziato che lo scoprì nel 1882), è un batterio Gram-positivo, aerobio, di forma bastoncellare[2].

La sua velocità di proliferazione è piuttosto bassa. Infatti, si divide in media ogni 16-20 ore, circa 18 volte più lentamente rispetto alla maggior parte degli altri batteri[2].

Il Mycobacterium tuberculosis possiede una parete cellulare composta in prevalenza da lipidi (~ 60%) e acido micolico. Tuttavia, non possiede una seconda membrana esterna[2].

Si tratta di un microrganismo piuttosto resistente: è invulnerabile ad alcuni disinfettanti e patisce poco la disidratazione. Ciononostante, può sopravvivere soltanto all’interno di una cellula ospite[2].

Leggi anche: Colorazione di Gram: identificare batteri Gram positivi e negativi

Epidemiologia

Il M. tuberculosis è stato uno dei patogeni che ha creato maggior devastazione nella storia dell’umanità. Si stima che 2 miliardi di persone, ovvero un quarto della popolazione mondiale, ne siano infette. Questo patogeno produce quasi 9 milioni di nuove infezioni e 1,5 milioni di decessi ogni anno (un quarto dei quali sono decessi di pazienti affetti da tubercolosi co-infettati con il virus dell’immunodeficienza umana [HIV]). La tubercolosi rimane un enorme problema sanitario ed economico non solo nelle regioni in via di sviluppo ma anche nei paesi ad alto reddito a causa della co-infezione TB-HIV e dell’emergere di ceppi resistenti a più antibiotici[3].

Leggi anche: Qual è la differenza tra HIV e AIDS?

La malattia è presente in qualsiasi regione geografica, ma è radicata soprattutto in alcuni paesi del sudest asiatico, quali India e Cina, oppure nelle regioni a ovest del Pacifico, nonché in tutta l’Africa. In Italia, l’incidenza resta bassa (circa 4000 nuovi casi all’anno, valore considerato “a bassa endemia” stando ai criteri dell’OMS)[1].

Possiamo distinguerne 5 varietà a seconda dell’ospite che colonizzano e infettano:

  • umano;
  • bovino;
  • aviario;
  • murino;
  • degli animali a sangue freddo.

Tra tutti i micobatteri, le specie patogene sono il Mycobacterium microti, il Mycobacterium africanum e il Mycobacterium bovis. Gli ultimi due causano la patologia per lo più in individui immunodepressi[3]. Anche altre forme, talvolta, si rivelano patogene. Ad esempio, il Mycobacterium avium complex, il Mycobacterium kansasii e il Mycobacterium leprae. I primi due non causano tubercolosi bensì possono essere responsabili dell’insorgenza di altri disturbi polmonari analoghi[2].

Classificazione

NomenclaturaMycobacterium tuberculosis
Nome comuneBacillo di Koch
DominioProkaryota
RegnoBacteria
PhylumActinobacteria
OrdineActinomycetales
SottordineCorynebacterineae
FamigliaMycobacteriacee
GenereMycobacterium
SpecieM. tuberculosis
FormaBacillo
Dimensioni0,2-0,6 x 1-10 µm
MembranaGram +
Capsula
MobilitàNo, non presenta né ciglia né flagelli
RespirazioneAerobiosi
SporigenoNo
TossineTubercolina
Disponibilità di un vaccino

 

Modalità di trasmissione

Il patogeno si trasmette per via aerea, attraverso la secrezione di goccioline di saliva rilasciate  da colpi di tosse o starnuti, emessi dagli individui contagiosi, che rimangono sospese nell’aria attraverso le goccioline droplet[1].

Tuttavia, la trasmissione del Mycobacterium tuberculosis richiede alcune condizioni[1]:

  • è necessaria una carica batterica elevata;
  • il ricambio d’aria nell’ambiente deve essere scarso o assente, affinché resti la sospensione salivare del bacillo;
  • l’individuo contagioso deve essere affetto da tubercolosi in fase attiva (non latente)[1].

Fortunatamente, i dati statistici affermano che soltanto il 10-15% delle persone infettate sviluppano la malattia.

Formulare una diagnosi precoce può rivelarsi un’arma efficace nel ridurre la diffusione del batterio e consente di individuare per tempo una cura efficace per debellarlo.

Patogenesi e meccanismo d’azione

Tramite le vie aeree i microbi raggiungono gli alveoli polmonari e lì si depositano. Dopodiché, iniziano ad attaccare i macrofagi alveolari che lo fagocitano e al cui interno il batterio può replicarsi[2].

A livello dei polmoni, il sito primario di infezione è il cosiddetto “focolaio di Ghon”. Qui, i batteri vengono catturati dalle cellule dendritiche che ne impediscono la replicazione. Tuttavia, queste ultime possono trasportare i bacilli ai linfonodi. A quel punto, i patogeni possono penetrare gli epiteli ed entrare così nel circolo sanguigno per raggiungere anche i distretti più distanti, dove causeranno lesioni secondarie ad apparati quali reni, cervello e ossa. Ecco che l’infezione diventa sistemica e il numero di focolai aumenta[3].

Danni ai tessuti

Dal momento che la tubercolosi aggredisce le cellule del sistema immunitario, questa infezione rientra tra le condizioni infiammatorie granulomatose.

Le cellule più colpite sono:

Da queste si origina il granuloma composto da un perimetro di linfociti, attorno a una massa centrale di macrofagi infettati. In linea teorica, il granuloma dovrebbe non solo impedire la diffusione dell’infezione, bensì anche distruggere il patogeno. Dato che il Mycobacterium tuberculosis è un batterio catalasi positivo e, dunque, insensibile all’azione degli enzimi dei granulociti, è compito dei linfociti T (CD8+) uccidere le cellule infette[5], cioè i macrofagi che, infatti, lisano. Tale meccanismo induce una cronicizzazione dello stato infiammatorio[3].

I batteri, però, non sempre riescono a essere eliminati all’interno del granuloma. Possono, come vedremo più avanti, entrare in uno stato di dormienza (quiescenza) e sviluppare un’infezione latente.

In molti casi, la severità dell’infezione non mostra un andamento costante, bensì cresce e diminuisce continuamente. I tessuti alternano momenti di danneggiamento a fasi in cui tale necrosi è bilanciata da una parziale guarigione. È così che la matrice cicatriziale rimpiazza parte dei tessuti lacerati e le cavità si riempiono di materiale necrotico bianco, al punto che, sovente, quando la malattia si trova in fase avanzata, questo materiale necrotico si unisce all’aria che attraversa i bronchi. Pertanto, i malati di tubercolosi espellono, tramite colpi di tosse, anche ammassi di cellule necrotiche, le quali, contengono ancora batteri attivi. In questo modo il Mycobacterium tuberculosis aumenta le proprie possibilità di diffondersi[3].

Fattori di rischio

Le persone con elevato rischio di sviluppare la malattia in forma attiva comprendono[1]:

  • persone affette da particolari condizioni cliniche che indeboliscono il sistema immunitario[1], ad esempio, gli individui positivi all’HIV. Infatti, i malati di AIDS hanno una probabilità 20/30 volte maggiore di ammalarsi e la combinazione delle due infezioni si rivela letale, poiché l’una accelera il decorso dell’altra. Ecco perché, tra i malati di HIV, la tubercolosi è la principale causa di decesso[1].
  • persone in età avanzata[1].
  • neonati o bambini al di sotto dei 5 anni di età[1].
  • coloro che fanno uso di tabacco[1].
  • i tossicodipendenti[1].
  • persone con dipendenza dal consumo di alcol[1].
  • individui che soffrono di carenze nutrizionali[1].

Inoltre, la tubercolosi è una malattia che si relaziona fortemente con le condizioni di vita da cui dipende l’efficienza del sistema immunitario. Ecco perché le persone che vivono in condizioni igieniche scarse sono quelle maggiormente a rischio di sviluppare, non solo la tubercolosi, ma anche molte altre patologie severe[1].

Forma latente

Alcune persone, nonostante siano state infettate, non sviluppano la malattia[1]. Ciò significa che l’infezione resta asintomatica. Tale evento si spiega dal fatto che, in queste persone, il sistema immunitario è in grado di fronteggiare l’infezione e dunque, coloro che ne soffrono, non mostrano i sintomi e non sono contagiosi[1].

Infatti, M. tuberculosis può rimanere quiescente per svariati anni e in molti casi, alcuni individui non svilupperanno mai la malattia, mentre altri (5-15%) potranno ammalarsi nel corso della propria vita, in seguito a un occasionale abbassamento delle difese immunitarie. Tale condizione di quiescenza viene definita infezione tubercolare latente e, stando ai dati, sembrerebbe esserne affetto circa un quarto della popolazione mondiale[1].

Sintomi

La tubercolosi inizia a manifestarsi con:

  • malessere generale;
  • tosse persistente e stizzosa;
  • febbre;
  • brividi;
  • dolore alla zona toracica;
  • abbondante sudorazione, specialmente durante la notte[4].

Successivamente può verificarsi:

  • una perdita di peso anomala[4];
  • un perenne stato di stanchezza e debolezza;
  • comparsa di sangue nell’espettorato[1].

Nel caso della tubercolosi extrapolmonare, i sintomi possono essere diversificati, a seconda della sede coinvolta nell’infezione. Dal momento che durante i primi mesi i sintomi possono essere alquanto lievi, spesso la diagnosi è ritardata e ciò incrementa il rischio di trasmissione[1].

Diagnosi

La velocità nella formulazione della diagnosi è fondamentale per poter iniziare il prima possibile la terapia antibiotica, interrompendo così la catena di trasmissione dell’infezione[1].

Negli ultimi anni, i test molecolari per la diagnosi della tubercolosi hanno fatto molti progressi. Essi sono, infatti, in grado di identificare, entro poche ore dal contagio, la presenza del patogeno nell’espettorato dei pazienti affetti dalla forma polmonare[1].

La pratica più comune è quella che prevede l’esecuzione del test di Mantoux, vale a dire un esame il cui l’obiettivo è individuare la tubercolina: se la reazione dà esito positivo significa che il paziente è entrato in contatto con il Mycobacterium tuberculosis[5]. A questo punto si procede con ulteriori test di accertamento che comprendono:

  • l’analisi al microscopio dell’espettorato;
  • una radiografia toracica per verificare qualora vi sia un diretto coinvolgimento dei polmoni;
  • il test dell’interferone gamma;
  • la TAC e, in alcuni casi, anche una broncoscopia[5, 6, 7].

Se la radiografia toracica risulta positiva, la prassi prevede l’allestimento di un antibiogramma al fine di individuare gli antibiotici efficaci contro il ceppo batterico responsabile dell’infezione e scegliere così la terapia più adatta[4].

Le tecniche diagnostiche odierne per la rilevazione del Mycobacterium tuberculosis presentano, però, anche una serie di svantaggi[2]:

  • l’osservazione microscopica dell’espettorato è facile, veloce, ma poco specifica;
  • l’isolamento del batterio richiede livelli di biosicurezza molto alti;
  • il test cutaneo della tubercolina (TST) è altamente sensibile, ma ha un basso livello di specificità e non consente di distinguere l’infezione naturale dalla vaccinazione con il ceppo vivo avirulento noto come Bacillus Calmette-Guerin (BCG). Tuttavia, il genoma del Mycobacterium tuberculosis è caratterizzato dalla presenza di 16 regioni di differenza (RDs) che codificano per numerosi geni e alcune sono praticamente assenti nel ceppo vaccinico. Le proteine derivanti da tali regioni sono potenziali marcatori biologici, utili per differenziare l’infezione naturale dalla vaccinazione. Al momento, i marcatori identificati hanno bassa specificità per i pazienti negativi al test dello striscio polmonare (PTB-SN) e per i casi di tubercolosi extra-polmonare (EPTB).

Recenti ricerche sui marcatori della tubercolosi

In uno studio pubblicato recentemente su Microbial Biotechnology, i ricercatori hanno analizzato le reazioni tra i singoli marcatori (proteine sieroreattive) e il siero proveniente da gruppi di pazienti affetti da tubercolosi (PTB-SN, PTB-SP, EPTB) e da individui sani. Le proteine più specifiche sono state successivamente usate per stabilire un nuovo e più accurato test diagnostico[2].

Nell’indagine, tutti i geni delle 16 RDs del M. tuberculosis sono stati amplificati tramite PCR e clonati in Escherichia coli. Allineando le sequenze clonate con quelle già presenti nel genoma del batterio, 75 proteine riportavano il 100% di identità e 68 sono state espresse e purificate.

Le proteine ottenute sono state suddivise in 8 categorie a seconda delle funzioni. Alcune derivavano da corpi di inclusioni mentre altre si presentavano in forma solubile. Le proteine con più alta capacità diagnostica erano le seguenti: Rv0222 e Rv3403c nei pazienti PTB-SP; Rv3403c nei pazienti PTB-SN; Rv0222 nei pazienti EPTB. Inoltre, si è osservato che la combinazione delle due proteine Rv0222 e Rv3403c migliorava il test per i pazienti PTB-SN[2].

Nel modello murino con i topi, entrambe le proteine avevano scatenato una risposta immunitaria umorale caratterizzata dalla produzione di citochine ed immunoglobuline[2].

Decorso e profilassi

La profilassi contro la tubercolosi occupa tempi piuttosto lunghi. Essa dura, infatti, tra i 6 e i 34 mesi e si espleta tramite l’assunzione di farmaci.

Tuttavia, se sottoposti alla terapia TOD (Terapia Osservata Direttamente), che prevede un attento e costante controllo, da parte degli operatori sanitari, è possibile ridurre la durata del trattamento a 6-8 mesi e permette così di limitare l’insorgenza di resistenza agli antibiotici impiegati[4].

Per i casi più gravi o a rischio, con probabilità elevate di sviluppare complicanze serie, l’inizio della terapia prevede il ricovero in ospedale.

I medicinali maggiormente impiegati sono[4]:

  • isoniazide
  • rifampicina
  • rifabutina
  • streptomicina
  • pirazinamide
  • etambutolo.

Resistenza

Sfortunatamente, come spesso accade quando viene applicata una profilassi a base di antibiotici, i batteri che causano la tubercolosi possono sviluppare una resistenza agli antimicrobici. Ciò è dovuto principalmente alla diffusione incontrollata di trattamenti incompleti, non correttamente somministrati o inefficaci[4].

Col tempo, ad esempio, si è creato un ceppo resistente sia all’isoniazide sia alla rifampicina (i due farmaci più potenti). Si tratta del batterio che causa la patologia conosciuta come Tuberculosis Multidrug Resistant[5, 6]. Quest’ultima va trattata con estrema cura, attraverso farmaci di seconda linea (spesso, ancora piuttosto rari), altrimenti, si corre il rischio che possa tramutarsi in una forma di infezione ancora più difficile da trattare, nota come Extensively Drug-Resistant[1].

Ad ogni i modo, nella maggior parte dei casi, il trattamento si rivela efficace. Infatti, le stime affermano che solo negli ultimi 2 decenni è stato possibile salvare decine di milioni di vite, proprio grazie alle terapie adottate[1].

Curiosità

Sono state trovate tracce di microrganismi identificabili come Mt, nei resti dei cadaveri appartenenti a uomini primitivi. E si ipotizza che fossero abbondanti persino nel Giurassico[3].

Prevenzione

È possibile prevenire l’infezione da tubercolosi. Si tratta di un intervento importante, dal momento che gli individui che presentano l’infezione tubercolare latente costituiscono un temibile serbatoio umano del patogeno. Per costoro, esiste un trattamento preventivo, volto ad impedire l’eventuale attivazione futura della patologia. Esistono più modalità per trattare l’infezione latente, tra queste, la più diffusa è quella che prevede la somministrazione isoniazide (INH). L’aspetto positivo di tale profilassi è che per tutta la durata del trattamento è possibile continuare a condurre le normali attività quotidiane[1].

Vaccinazione

Nonostante siano ancora in corso numerose ricerche volte alla creazione di vaccini efficaci contro la tubercolosi, ne è già disponibile uno: esso contiene il microrganismo vivo attenuato, il BCG (bacillo di Calmette Guérin), efficace non solo per la tubercolosi ma anche per alcune forme di meningite[1].

Ad ogni modo, in paesi industrializzati come l’Italia, dove la tubercolosi è ormai una malattia rara, il vaccino viene somministrato soltanto ad alcune categorie di persone a rischio. Al contrario è più diffuso in quei paesi dove l’incidenza dell’infezione è ancora elevata[1], per lo più a causa di scorrette norme igienico-sanitarie o per le carenze alimentari.

Tuttavia, negli ultimi decenni, sono sorti motivi di allerta: si è verificato un innalzamento del rischio pandemico, anche nei paesi più industrializzati.

Le principali motivazioni sono:

  • l’incidenza di TBC nelle città metropolitane si rivela maggiore rispetto alla media nazionale;
  • i ceppi di Mycobacterium tuberculosis resistenti a più antibiotici sono in lento ma progressivo aumento;
  • si verificano più eventi epidemici in ambito scolastico rispetto al passato;
  • sovente chi inizia la profilassi antitubercolare, non la porta a completamento;
  • manca ancora un sistema di segnalazione dei casi di sospetta tubercolosi;
  • è necessario incrementare la rapidità dei test diagnostici, al fine di contrastare il prima possibile la patologia e ridurre così, le probabilità di contagio.

Per questo, l’alleanza globale “Stop Tuberculosis”, nata nel 2001, si è posta l’obiettivo di eliminare le epidemie di tubercolosi entro il 2030[1].

Referenze

  1. Tubercolosi – Istituto Superiore di Sanità (iss.it)
  2. Ningning Ren et al., 2018. Microbial Biotechnology 0, 1–12;
  3. Loiacono EA – Tubercolosi: cause e patogenesi della malattia – medicina online. 2017.
  4. Jagielski T et Al – Methodological and Clinical Aspects of the Molecular Epidemiology of Mycobacterium tuberculosis and Other Mycobacteria – Clin Microbiol Rev. 2016.
  5. Nardell EA – Tubercolosi – MSD. 2018.
  6. Rosso E – Tipi di tubercolosi – su oggi. 2020.
  7. Seung KJ et Al – Multidrug-Resistant Tuberculosis and Extensively Drug-Resistant Tuberculosis – Cold Spring Harb Perspect Med. 2015.
Articoli correlati
Commenta