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Triantha occidentalis: una nuova pianta carnivora?

Le piante carnivore sono tra i vegetali che più affascinano l’uomo. In genere pensiamo alla Dionaea muscipula, la venere acchiappamosche, le cui foglie, come fauci spietate, intrappolano le prede con uno scatto fulmineo. Ma il mondo delle piante carnivore è estremamente vario e comprende oltre 800 specie appartenenti a 13 famiglie e 20 generi diversi. Vi sono numerose strategie di carnivoria che prevedono trappole a caduta, pensiamo ai generi Sarracenia e Nepenthes, trappole collanti come in Drosera o trappole ancora più sofisticate come in Utricularia. Queste piante vivono in genere in ristagni d’acqua e predano principalmente microorganismi. Li catturano per aspirazione attraverso particolari trappole, chiamate utricoli, al cui interno si genera il vuoto.

Le piante carnivore, che già nel diciannovesimo secolo avevano suscitato l’interesse di Charles Darwin tanto da dedicargli il libro Insectivorous plants, non cessano ancora di stupirci. È infatti dell’estate scorsa una notizia che ha destato molto clamore nella comunità dei botanici e appassionati di questi vegetali. Si tratta della scoperta di una nuova pianta carnivora, la Triantha occidentalis (S. Watson) R. R. Gates, già nota da tempo, ma di cui si ignoravano le capacità insettivore. Erano anni che non si identificavano nuove specie carnivore ma se la scoperta fosse confermata si tratterebbe addirittura di una nuova famiglia.

Caratteristiche botaniche ed ecologiche

La Triantha occidentalis è una pianta monocotiledone appartenente alla famiglia delle Tofieldiaceae. Vive in aree paludose e sfagneti, poveri di nutrienti, sulla costa occidentale del Nord America, dalla California all’Alaska. Si trova spesso associata ad altre piante carnivore del genere Pinguicula e Drosera con cui condivide gli stessi ambienti, preferendo però le stazioni più soleggiate e asciutte.

La pianta ricorda i nostri asfodeli, presenta alla base una rosetta di 3-5 foglie lunghe fino a 50 cm e larghe 1. Quando è in fioritura, in genere tra luglio e settembre, produce uno scapo alto anche fino a 80 cm che termina con i fiori in gruppi di tre (da qui il nome). La carnivoria si manifesterebbe proprio a livello dello scapo fiorale. Questo presenta una serie di peli appiccicosi su cui rimangono intrappolati piccoli insetti, prevalentemente moscerini. Infine i frutti sono delle capsule contenenti semi rossastri, lunghi intorno a 1mm, racchiusi in una cuticola biancastra.

Ricerca

Materiali e Metodi

La scoperta delle capacità carnivore della Triantha occidentalis si deve ad un gruppo di ricerca guidato dal professore Sean W. Graham del Dipartimento di Botanica dell’ Università della Columbia Britannica (UBC) di Vancouver in associazione con l’Università del Wisconsin-Madison. Primo autore dell’articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS, è Qianshi Lin, dottorando della UBC.

La ricerca è nata dalla scoperta che nel genoma della Triantha occidentalis mancanza un gene coinvolto nella fase luce-dipendente della fotosintesi. Tratto riscontrato anche in altre piante carnivore del genere Utricularia. A quel punto, per dimostrare la carnivoria, il dott. Lin e collaboratori hanno escogitato due esperimenti, uno volto a verificare la capacità della pianta di assorbire azoto dagli insetti catturati sullo stelo fiorale e l’altro avente come fine la ricerca della fosfatasi, enzima digestivo tipico delle piante carnivore. Per poter infatti definire una pianta come carnivora è necessario dimostrare che non solo essa sia in grado di catturare prede ma anche di assimilarne i nutrienti attraverso l’azione di specifici enzimi da lei secreti. Se è vera solo la prima condizione, i botanici classificano la pianta come protocarnivora. Questo potrebbe però essere il primo passo, nel suo cammino evolutivo, per il successivo sviluppo di una piena carnivoria.

Per quanto riguarda il primo esperimento, i ricercatori hanno allevato 150 moscerini della frutta (Drosophila melanogaster) su terreno di coltura a base di amminoacidi marcati con isotopi dell’azoto (N-15), assimilandolo. In seguito gli studiosi hanno appiccicato i moscerini sullo stelo di dieci individui di Triantha per verificarne l’assorbimento anche da parte della pianta. Contemporaneamente, hanno condotto lo stesso esperimento su piante di controllo di Drosera rotundifolia (anch’essa carnivora) e Erigeron peregrinus ( non carnivora) vegetanti nello stesso habitat.

Nel secondo esperimento è stata invece ricercata l’attività della fosfatasi tra i succhi secreti dalle ghiandole pilifere presenti sullo scapo fiorale della Triantha, adoperando come controllo sempre la D. rotundifolia e la E. peregrinus. La fosfatasi è un enzima idrolitico prodotto dalle piante carnivore attraverso il quale è possibile la digestione dell’insetto catturato. La ricerca è stata possibile sfruttando metodologie sperimentali che evidenziano la presenza dell’enzima per fluorescenza.

Risultati

Entrambi gli esperimenti hanno dato esito positivo. Nei tessuti della Triantha, sia nelle foglie che in organi come radici e frutti, è stata infatti riscontrata la presenza dell’isotopo N-15 assimilato dai moscerini marcati adoperati come prede. Le quantità rilevate, pari anche al 64% dell’azoto totale nei tessuti fogliari, sono in linea con quelle registrate nella pianta carnivora Drosera rotundifolia.

Anche la presenza della fosfatasi è stata dimostrata dalla fluorescenza giallo-verde prodotta dai peli di Triantha riscontrata anche in Drosera rotundifolia ma non nell’altra pianta di controllo, l’Erigeron peregrinus, non essendo questa carnivora.

Conclusioni e considerazioni

Come spesso accade nella scienza, un’importante scoperta suscita nuove domande e apre nuovi filoni di ricerca. Come suggeriscono Lin e collaboratori al termine del loro articolo, sarà necessario indagare in futuro la possibile carnivoria di altre specie appartenenti al genere Triantha, in particolare la T. glutinosa e T. japonica le quali presentano un comportamento molto simile a Triantha occidentalis.

Un’ulteriore ricerca potrebbe essere volta a comprendere meglio come l’azoto assimilato dagli insetti venga immagazzinato in organi di riserva quali le radici o subito adoperato per la crescita dei tessuti fogliari. Infine c’è un’ulteriore domanda a cui rispondere, ovvero l’apparente conflitto tra carnivoria e impollinazione entomofila. La Triantha necessita infatti dell’azione di insetti impollinatori perché avvenga la fecondazione. La carnivoria a livello degli steli fiorali sembra pertanto essere uno svantaggio e andare contro il principio cardine della selezione naturale, secondo il quale solo caratteri favorevoli vengono generalmente conservati durante il processo evolutivo.

Sulla base di osservazioni in campo, Lin e collaboratori ritengono che i peli appiccicosi della Triantha sarebbero in grado di catturare esclusivamente piccole prede come moscerini, mentre impollinatori quali farfalle e api sarebbero troppo grandi per rimanere invischiati nelle secrezioni collose della pianta. Tuttavia, come suggeriscono gli autori, per fugare ogni dubbio sarebbe necessario svolgere esperimenti specifici in grado di testare il potere collante di queste secrezioni nei confronti di insetti più grandi.

Probabilmente è questo il punto più controverso della ricerca per cui ancora adesso, ad alcuni mesi dalla pubblicazione dell’articolo, la comunità scientifica mostra cautela nel confermare la carnivoria della Triantha occidentalis. Se però tale scoperta fosse suffragata da ulteriori prove sarebbe l’indizio che probabilmente ci sono ancora molte piante carnivore da descrivere e che magari, come la Triantha, vivono a pochi km dai centri abitati.

La natura ha ancora molte sorprese in serbo per noi!

Referenze

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