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Trapianto fecale

Ci eravamo lasciati con una riflessione sull’importanza di sviluppare nuove strategie per fronteggiare il problema dell’antibiotico-resistenza. E se una di queste soluzioni fosse il trapianto fecale? Dopo una prima e più che comprensibile sensazione di disgusto vi invito a leggere questo articolo per conoscerne le potenzialità confermate da recenti sperimentazioni.

Leggi anche: Antibiotico-resistenza: una minaccia per la sanità mondiale

Cos’è il trapianto fecale?

Come in ogni trapianto che si rispetti anche in questo caso vi è il trasferimento di “un qualcosa” da una persona ad un’altra. Solo che in questo caso non parliamo di cuore, fegato, rene bensì di feci che dopo essere state prelevate da un donatore sano vengono trapiantate nel tratto gastrointestinale di un paziente ricevente. Perché? Perché i batteri presenti nelle feci di una persona sana possono ristabilire le normali funzioni dell’intestino di un soggetto malato aiutandolo, quindi, a guarire. Per capire meglio il principio terapeutico del trapianto proviamo ad immergerci (si fa per dire) nelle feci per scoprire cosa nascondono di così salutare.

Cosa nascondono le nostre feci?

Secondo un’attenta analisi condotta da Rose C. e dai suoi colleghi, le feci umane hanno un pH pari a 6.64 e sono composte per il 74.6% da acqua. Il rimanente 25% è formato da una parte solida che comprende carboidrati non digeriti, fibre, proteine e grassi le cui quantità variano a seconda della dieta. La componente maggiore della frazione organica è la massa batterica la cui percentuale oscilla tra il 25 e il 54%. L’intestino dell’uomo è colonizzato da numerose specie batteriche che quotidianamente ci aiutano nei processi digestivi, facilitano la maturazione dell’epitelio intestinale e ci proteggono dall’attacco dei patogeni.

Ognuno di noi ha una propria flora batterica intestinale che si differenzia sulla base della dieta, dei fattori ambientali che ci influenzano, dei virus che ci attaccano e dei farmaci che assumiamo. Tutti questi elementi non solo caratterizzano le specie microbiche presenti nel nostro intestino, ma possono anche essere responsabili di specifiche alterazioni legate a veri e propri disturbi. Ne sono un esempio:

  • gastroenteriti
  • infezioni da Clostridium difficile
  • diabete, allergie, obesità
  • malattie infiammatorie croniche intestinali

Tra queste, le infezioni da Clostridium difficile sono ricorrenti e purtroppo dovute a ceppi antibiotico-resistenti per i quali il trattamento diventa sempre più complicato.

Infezioni da Clostridium difficile (CDI)

Clostridium difficile (foto dal sito del CDC)

Si tratta di un Gram positivo anaerobico (sopravvive in assenza di ossigeno), capace di formare spore (forme cellulari specializzate per la sopravvivenza) e di produrre tossine. Quest’ultime causano infiammazione del colon, degradano l’epitelio dell’intestino ed è proprio l’aumentata permeabilità intestinale che porta a episodi di diarrea. E’ presente nel 3% della popolazione sana ma circa il 20% degli ospedalizzati ne diventa colonizzato durante il ricovero. In ospedale, le infezioni da CDI sono la principale causa di diarrea infettiva tanto che negli ultimi anni sono state incluse nelle infezioni emergenti a livello mondiale.

La contaminazione avviene per via oro-fecale cioè gli agenti responsabili dell’infezione sono eliminati attraverso le feci e introdotti nell’organismo tramite il canale alimentare. Il trattamento antibiotico prevede somministrazione di antibiotici come metronidazolo o vancomicina. Tuttavia, il rischio che l’infezione si ripresenti dopo 20-30 giorni dal trattamento è pari al 20-30% e raggiunge il 50% dopo una seconda infezione. A complicare la situazione ci pensano quei ceppi che sviluppano resistenza agli antibiotici comunemente usati per il trattamento e che quindi diventano “inutili”. Ad oggi, il trapianto fecale si presenta come una terapia efficace per contrastare questo tipo di infezione con un tasso di successo dell’80%.

Il trapianto fecale da un punto di vista tecnico

Ad approvare l’utilizzo clinico del trapianto fecale è stata una conferenza di consenso europea. Un totale di 28 esperti provenienti da 10 Stati membri ha raccolto le evidenze di successo del trapianto al fine di redigere delle linee guida. Numerosi gli interrogativi a cui gli esperti hanno dato risposta. Di seguito ne approfondiamo i principali.

Tutti possono donare le proprie feci?

I donatori di feci seguono un processo di selezione che inizia con un questionario scritto attraverso cui vengono raccolti dati riguardanti la storia medica e lo stile di vita del donatore. Dalla raccolta di queste informazioni è possibile identificare quei fattori di rischio che non verrebbero fuori dalle analisi del sangue o delle stesse feci.

Non può donare le feci chi:

  • fa uso di droghe
  • è affetto da malattie sessualmente trasmissibili
  • ha già ricevuto o espiantato un organo
  • lavora o ha contatti con gli animali (per evitare il rischio di zoonosi)
  • è affetto da disordini neurologici, metabolici e gastrointestinali
  • fa uso di antibiotici che possono alterare la flora intestinale
  • negli ultimi 12 mesi ha ricevuto trasfusioni di sangue
  • negli ultimi 6 mesi ha fatto un piercing, un tatuaggio o agopuntura
  • risulta esposto a virus come HIV, sifilide, malaria, tubercolosi o forme di parassitosi

A quali analisi devono sottoporsi i donatori?

Le analisi del sangue e delle feci confermano i requisiti di idoneità del donatore. In generale con le analisi del sangue si valutano: emocromo, creatinina, albumina, elettroliti, bilirubina, fosfatasi alcalina e proteina C reattiva. In aggiunta alle normali analisi si va a confermare che il donatore non è mai entrato in contatto con forme di citomegalovirus, epatite A/E, sifilide, HIV, Epstein-Barr virus.

Le analisi delle feci, invece, sono finalizzate alla ricerca di Clostridium difficile, patogeni enterici (Salmonella spp, Shigella spp), Campylobacter spp, Escherichia coli, Staphylococcus aureus, norovirus, protozoi, elminti, rotavirus e sangue occulto.

Come si prepara il campione di feci da trapiantare?

Il campione di feci può essere usato sia fresco che congelato e per ognuno dei due casi sono state delineate delle specifiche per la preparazione del campione. L’utilizzo del campione congelato permette di creare una vera e propria banca di feci che non solo rappresenta un modo per standardizzare il trapianto ma permette persino di disporre all’occorrenza di feci già pronte.

Campione fresco:

  • le feci fresche devono essere usate entro 6 ore dalla defecazione
  • la preparazione deve essere il più veloce possibile per proteggere i batteri anaerobici
  • il campione deve essere conservato a temperatura ambiente (20-30°C)
  • disporre di almeno 30 g per il trapianto
  • il campione deve essere trattato manualmente con soluzione salina (l’utilizzo di siringhe o tubi potrebbe danneggiarlo)
  • usare guanti e maschere protettive durante la manipolazione del campione

Campione congelato:

  • disporre di almeno 30 g di feci e di 150 mL di soluzione salina
  • aggiungere glicerolo (10%) prima del congelamento (preserva i batteri a basse temperature)
  • congelare la sospensione finale a -80°C
  • il campione deve essere scongelato a 37°C e trapiantato entro 6 ore
  • evitare il continuo scongelamento e ricongelamento del campione

Quali sono le procedure per trasferire le feci nell’intestino del paziente?

Il paziente che riceve le feci viene trattato con antibiotici per almeno tre giorni fino a 12-48 ore prima del trapianto. Il trasferimento di feci può avvenire tramite colonscopia, attraverso il tratto gastrointestinale oppure tramite clistere. In ogni caso, l’intestino del ricevente viene lavato con opportune soluzioni di glicole polietilenico, un lassativo largamente usato nei casi di stipsi. Quando è possibile eseguire il trapianto tramite colonscopia, un’aliquota di 200-500 mL di campione fecale viene infusa nell’intestino tramite il canale colonscopico.

L’infusione tramite clistere è indicata con pazienti di età pediatrica o in condizioni critiche che non consentono altre vie di infusione. Ai pazienti si raccomanda di rimanere in posizione supina e di non defecare nei 30 minuti successivi al trapianto.

Infine, le feci (25-50 mL) possono essere introdotte nel tratto gastrointestinale tramite un tubo gastroscopico. Il paziente rimane in posizione verticale, formando un angolo di 45°C, per almeno 4 ore dall’infusione per prevenire l’aspirazione.

Come si procede dopo il trapianto?

Al trapianto segue un periodo di monitoraggio delle condizioni del paziente che sarà più o meno lungo a seconda delle complicanze registrate. Ad oggi, non sono previste specifiche tecniche ma in generale il paziente rimane in osservazione per almeno 8 settimane. Il trapianto ha successo se le condizioni cliniche di chi ha ricevuto le feci risultano nettamente migliorate, se la frequenza di defecazione del paziente si riduce, se la consistenza delle feci è visibilmente migliorata e se i parametri ricercati tramite diagnosi di laboratorio rientrano nel range di normalità.

Conclusioni

In conclusione, il trapianto di feci registra un buon livello di successo nel trattamento delle infezioni da Clostridium difficile soprattutto nei casi in cui si manifesta resistenza al trattamento antibiotico. Ad oggi, gli esperti raccomandano il trapianto delle feci nella cura di CDI ma non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda le malattie croniche intestinali. Per quest’ultime, al momento, non si dispone di un numero sufficiente di evidenze cliniche tale da confermare lo stesso successo riscontrato nel trattamento delle CDI. Per garantire la stessa efficacia sono necessari ulteriori conferme dagli studi clinici in atto che si spera arrivino in un futuro sempre più prossimo.

Fonti

  • Rose, A. Parker, B. Jefferson, E. Cartmell. The Characterization of Feces and Urine: A Review of the Literature to Inform Advanced Treatment Technology. Crit Rev Environ Sci Technol. 2015 Sep 2; 45(17): 1827–1879.
  • Cammarota, G. Ianiro, H. Tilg, M. Rajilić-Stojanović, P. Kump, R. Satokari, H. Sokol et al., 2017; European consensus conference on faecal microbiota transplantation in clinical practice 66:569–580.
  • Millan, H. Park, N. Hotte,  O. Mathieu,  P. Burguiere, T. A. Tompkins,  D. Kao,  K. L. Madsen, 2016. Fecal Microbial Transplants Reduce Antibiotic-resistant Genes in Patients With Recurrent Clostridium difficile Infection. Clinical Infectious Diseases 15;62(12):1479-1486.
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