L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la tossicodipendenza come «uno stato psichico, qualche volta fisico, risultante dall’interazione tra un organismo vivente e un farmaco, caratterizzato da comportamenti o reazioni che inducono l’uso compulsivo della sostanza, continuo o anche periodico, dovuto all’esperienza dei suoi effetti psichici e qualche volta dalla paura del malessere determinato dalla sua assenza» (OMS, 1992). Il rinforzo positivo, di cui parleremo più avanti, è uno degli elementi fondamentali affinché si sviluppi una dipendenza, sebbene da solo non sia sufficiente. Non è la periodicità a fare la dipendenza, ma la qualità dell’interazione tra organismo e oggetto d’abuso.
In altre parole, una dipendenza patologica è una forma morbosa determinata dall’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento. È un’abitudine incontrollabile e irrefrenabile che il soggetto non può allontanare da sé, una specifica esperienza, una condizione invasiva, caratterizzata da un sentimento di incoercibilità, dal bisogno coatto di essere ripetuta con delle modalità compulsive, da fenomeni come il craving (ricerca spasmodica [della sostanza]), l’assuefazione (tolleranza) e l’astinenza. Nonostante ci si renda conto del danno (biologico o sociale che sia), non si può fare a meno di mettere in atto il comportamento da cui si dipende. Parliamo di soggetti che generalmente (non sempre, non per forza) si rendono conto del male che provoca la loro dipendenza (squilibri metabolici, danni neurologici, isolamento sociale), ciononostante non riescono a distaccarvisi.
Addiction: il significato del termine
Il termine addictus in antichità indicava lo schiavo in grado di riacquistare la propria libertà solo in seguito al pagamento di un debito. Possiamo parlare di addiction nel caso di[1]:
- disturbi di abuso/dipendenza da sostanza;
- disturbi alimentari;
- gioco d’azzardo patologico;
- shopping compulsivo;
- uso eccessivo di internet e videogames;
- accumulo compulsivo di oggetti;
- lavoro eccessivo;
- iperattività sessuale;
- cleptomania, piromania, tricotillomania.
Si noti che alcuni di questi disturbi rientrano nella categoria DOC (disturbo ossessivo-compulsivo)[1], difatti sono molti gli aspetti condivisi. La base comune:
- somiglianza fenomenologica;
- dati epidemiologici circa l’elevata prevalenza di poli-dipendenze ed il rilievo frequente di cross-addiction (passaggio nella storia di vita di un individuo da una dipendenza ad un’altra);
- correlati neurofisiologici delle condotte di dipendenza: attivazione fisiologica (arousal), alterazioni dei sistemi dopaminergici e serotoninergici;
- efficacia di trattamenti simili.
Ricordiamo che il rinforzo positivo è uno degli elementi chiave della tossicodipendenza, ma ricompare anche nel DOC, dove vi è una disfunzione del sistema del reward[2]. Difatti, tali soggetti, sono portati a mettere in atto un comportamento rituale (compulsione) al fine di placare un pensiero ansiogeno, invasivo, che li perseguita (ossessione). Il fatto di mettere in atto il comportamento, placa l’ansia, quindi procura piacere al soggetto che in futuro è sempre più propenso a rimettere in atto quello stesso comportamento, nella consapevolezza del piacere che gli apporta (rinforzo positivo). Il craving, la ricerca della sostanza, funziona allo stesso modo. Il soggetto si ritrova in uno stato di tensione ansiosa che può placare solo grazie all’utilizzo della sostanza, pena l’aumento della sofferenza.
Dipendenze patologiche
Non è detto che l’utilizzo di una sostanza (o di un comportamento) porti sempre il soggetto a sviluppare una tossicodipendenza. Per alcune persone l’uso acquista modalità disfunzionali, per altre no. Per alcuni individui diventa problematico in una fase della vita, ma poi si estingue; per altri tende a reiterarsi e mantenere le caratteristiche di disfunzionalità e si traduce nello sviluppo di un disturbo.
Le dipendenze sono tanto antiche quanto è antico l’uomo, basti pensare all’alcol, che probabilmente è il più vecchio tra gli ansiolitici (e tutt’ora il più utilizzato). Non è raro che il paziente inizi a utilizzare la sostanza come rimedio, come auto-medicazione. Che siano la sofferenza e il dolore a spronare l’individuo a cercare qualcosa «per dimenticare», per anestetizzare? Per annebbiarsi, per non pensare, per calmarsi. Sono tanti i moventi che potrebbero essere alla base del disturbo. Di certo c’è anche chi ne fa uso per il solo piacere di «sballarsi», ma c’è da tenere conto che ognuno ha le sue battaglie da combattere. Non per tutti è facile, né scontato, trovarvi rimedio in modo funzionale.
Le sostanze d’abuso sono sempre esistite e probabilmente sempre esiteranno. Alcune persone le cercano attivamente, altre no. Per alcuni l’utilizzo diventa problematico, ma non per tutti. La tossicodipendenza è relativa anche le capacità di interrompere il consumo. A causa del probabile malessere fisico, psicologico e/o dell’esclusione sociale, è facile che il soggetto cerchi di eliminare l’abuso dalla propria vita. C’è chi ci riesce e chi no. Per definizione, i disturbi da uso di sostanze sono multifattoriali, dunque sono diverse le motivazioni alla base. C’è chi sviluppa una tossicodipendenza per necessità biologiche, chi per spinta sociale. Di conseguenza le ripercussioni possono essere tanto biologiche, quanto sociali o psicologiche, per questo parliamo di un disturbo biopsicosociale. In primis è la società che mette in contatto il soggetto con alcune sostanze piuttosto che con altre. Intervengono successivamente la struttura personologica del soggetto ed il suo assetto biologico.
Non basta una sola componente per fare la patologia. Banalmente non diventa dipendente il soggetto che non riesce ad entrare in contatto con la sostanza. Se la società non la offre, non può procurarsela. È sufficiente che una sola componente sia nulla affinché l’intera dipendenza si annulli. Immaginiamo che un soggetto ottenga della droga. È possibile che non presenti la struttura personologica adatta per lo sviluppo di una dipendenza perché in effetti vi sono soggetti maggiormente predisposti di altri[3]. Ci troviamo in una condizione dove è sufficiente annullare un elemento dell’interazione, affinché si annulli l’intera equazione.
50 x 10 x 30 x 0 = 0
L’esplosione si genera se nella stanza accendiamo un fiammifero in presenza di gas; se mancano il gas o l’innesco l’esplosione non si genera.
Elementi clinici comuni
Le dipendenze patologiche sono accomunate da svariati elementi caratterizzanti:
- discontrollo, inteso come incapacità (e rinuncia) ad esercitare il controllo su sé stessi;
- pericolosità. Sfida al rischio con accettazione del danno e superamento dei confini in nome del craving;
- circolarità forzata. Obbligo a muoversi incessantemente all’interno di un circuito già predisposto. L’unica evoluzione concessa è «sempre di più»;
- autolimitazione della libertà con incapacità di rimettere in discussione le premesse. Il soggetto con tossicodipendenza non sa cosa succeda, o teme il peggio, se la dipendenza viene eliminata. Di conseguenza preferisce non interrompere l’assunzione;
- impermeabilità. Riduzione del dialogo con sé stessi e con gli altri. «Stai assumendo droghe?»; «No…». Nessuno risponde in modo affermativo nella speranza di ricevere un aiuto, desidera continuare (oppure non lo desidera, ma deve continuare). La conoscenza stessa di sé stessi si riduce. Finché il soggetto non arriva a definirsi con il solo attributo «dipendente»;
- ripetitività e rigidità compulsive. «Devo farlo»;
- processo totalitario che segue le leggi del «tutto o nulla». Il paziente o sta bene, o sta malissimo;
- impedimento dell’altro. Gli altri, non accondiscendenti, diventano un problema per il paziente con tossicodipendenza.
Modelli della tossicodipendenza
Secondo il modello della protesi, la sostanza può aiutare alcuni soggetti a «funzionare meglio» (eliminare sintomi ansiosi, rimuginio, inibizioni…), ma in questo caso si parla di forme lievi di tossicodipendenza, di abitudini nell’assunzione più che di vere e proprie dipendenze. Nonostante siano comunque forme di dipendenza, seppur leggere (difatti possono portare tolleranza ed astinenza), hanno come fine l’auto-aiuto. La sostanza diventa un oggetto protesico, ma anche un tutore, se utilizzato continuamente, una volta rimosso genera astinenza. La muscolatura si indebolisce con il supporto continuo di uno strumento esterno, che se rimosso, la lascia crollare. Non è più possibile stare dritti senza di esso.
Tale modello può evolversi in una forma più grave, il modello della bacchetta magica, dove la dipendenza si basa sull’illusione (e sulla pretesa) di annullare le differenze tra ciò che si desidera e la situazione per come è realmente. «Vorrei avere meno preoccupazioni nelle situazioni sociali». «Ne ho tante, ma il magico tutore mi può aiutare. Non ne posso più fare a meno». Maggiore è la vulnerabilità, maggiore è la probabilità che la sostanza acquisti il potere della bacchetta magica. Detto ciò, possiamo vedere la tossicodipendenza come una conseguenza [di tanti possibili moventi].
In linea con il principio dell’automedicazione, non si tratta di un’entità psicopatologica in sé, bensì del prodotto di condizioni di vita svantaggiose, sofferenze psichiche, traumi ed educazione inadeguata (specialmente nel caso dipendenza come vizio, dove l’addiction assume la forma di debolezza morale, dovuta all’incapacità di etichettarla interamente come «sbagliata»).
Classificazione delle sostanze
Quando si parla di sostanze si intendono quei beni di consumo che agiscono sull’attività psichica modificando l’umore, i processi cognitivi, la percezione e il comportamento (sostanze psicoattive).
Sono classificabili sulla base:
- della legalità;
- della pericolosità (leggere: derivati della canapa indiana, nicotina, caffeina; pesanti: oppiacei, cocaina, amfetamine, allucinogeni, barbiturici, alcol etilico);
- dei i criteri di preparazione (naturali, semi-sintetiche, sintetiche).
Una quarta classificazione distingue le sostanze secondo i criteri farmacologici:
- oppioidi: morfina, eroina, metadone;
- psicostimolanti: cocaina, amfetamine, caffeina;
- alcol etilico;
- deprimenti del SNC: barbiturici, benzodiazepine;
- entactogeni: MDMA (ecstasy), MDA;
- cannabinoidi;
- arilcicloesamine: fenilciclidina (PCP), ketamina;
- allucinogeni: LSD, mescalina, psilocibina;
- inalanti: solventi, etere, popper.
L’azione di una sostanza psicoattiva può essere spiegata con in suoi effetti su uno o più specifici sistemi neurotrasmettitoriali:
- dopamina. Il neurotrasmettitore del piacere e della gratificazione. Virtualmente tutte le droghe inducono direttamente o indirettamente un’attivazione del sistema dopaminergico. Più di tutte la cocaina, l’amfetamina e la metafetamina;
- serotonina. Modula l’umore, il sonno, il desiderio sessuale e l’appetito;
- noradrenalina. Modula i processi sensoriali, i movimenti, il sonno, l’umore, l’ansia e le funzioni mnestiche;
- oppioidi endogeni (endorfine, encefaline). Modulano l’analgesia, la sedazione, le funzioni corporee e l’umore;
- acetilcolina. Modula la memoria, l’arousal, l’attenzione e l’umore;
- cannabinoidi endogeni (anandamide). Modulano il movimento, la cognizione e la memoria;
- glutammato. Incrementa l’attività neuronale, modula l’apprendimento e la cognizione;
- acido gamma-amino-butirrico (GABA). Decrementa l’attività neuronale, modula l’ansia, la memoria e l’anestesia.
Relatività nella tossicodipendenza
Una sostanza psicoattiva può produrre una varietà di effetti comportamentali. A dosi diverse possono predominare effetti diversi, si pensi all’alcol dove si passa dalla disinibizione, al sonno, alle vertigini, al coma. Dall’essere un euforizzante, diventa un deprimente del SNC (Sistema Nervoso Centrale).
Possiamo vedere la tossicodipendenza come una forma di apprendimento per come lo intendevano Pavlov e Skinner nel secolo scorso. Il tempo che intercorre tra uno stimolo (S) ed una risposta (R), soprattutto se la risposta è piacevole, è un fattore estremamente importante per la formazione delle memorie. Quanto più S ed R sono prossimi, tanto più l’apprendimento è forte. Anche la dipendenza fisica da una sostanza (adattamento/tolleranza ed astinenza) è relativa.
Non dipende dalle caratteristiche intrinseche della sostanza, ma dall’interazione tra di esse e l’adattamento dell’individuo alla ricerca di un nuovo equilibrio omeostatico. Paroloni per dire che i sistemi sotto l’effetto di una sostanza si squilibrano, dunque necessitano un nuovo equilibrio. Quando la sostanza non viene somministrata, i sistemi permangono in questa condizione di squilibrio, da cui dipende lo stress che causa la sindrome di astinenza. In generale, ogni condizione che genera stress è sintomo di uno squilibrio fisiologico interno, senza il quale il soggetto non sarebbe spinto all’azione (che si tratti della ricerca di una sostanza, o della semplice ricerca di cibo. Potremmo dire che anche la sola fame è uno stress, come gli altri bisogni). Non tutti i soggetti rispondono allo stesso modo agli stressor; la risposta è sempre moderata da fattori biologici e psicologici individuali[4].
Fattori biologici
Con fattori biologici si intende innanzitutto il genere dell’individuo: per fare un esempio, tendenzialmente le donne presentano meno metaboliti per le sostanze psicoattive, motivo per cui è facile che si ubriachino prima[5]. Essendo più vulnerabili agli effetti di intossicazione, meno frequentemente tendono a diventare dipendenti. Inoltre, in funzione della fase di vita, si può essere maggiormente vulnerabili ad una sostanza piuttosto che ad un’altra (frequente è il passaggio dall’alcol/nicotina alla cocaina/ansiolitici).
Anche le etnie rientrano nei fattori biologici: vecchie ricerche mostrano come gli individui orientali sembrano essere più vulnerabili agli effetti tossici degli alcolici rispetto agli occidentali[6]. Ciascuno di noi nasce con una precisa costituzione genetica da cui dipende la vulnerabilità alle sostanze e quindi la vulnerabilità alla tossicodipendenza. In alcuni soggetti prevalgono le risposte gratificanti, in altri quelle sgradevoli. I primi saranno più a rischio, gli altri tenderanno a prendere le distanze dalla sostanza, anche in funzione di eventuali insegnamenti sociali e norme psicologiche imposte ed autoimposte.
La dipendenza inizia con la fase preparatoria (di avvicinamento) dove hanno una grande importanza i fattori cognitivi e motivazionali come i significati che possono venire attribuiti ad una sostanza (ancor prima di entrare in contatto con la sostanza stessa). L’immagine che una persona ha di essa e degli effetti che può produrre non sono il risultato di processi unicamente intraindividuali; rappresentano il frutto di un’elaborazione che avviene nell’ambito delle relazioni con il proprio ambiente di vita (genitori alcolisti vs. genitori che bevono liberamente vs. genitori astemi vs. genitori che «hanno paura» dell’alcol). Quando l’ansiolitico/l’alcol è la soluzione al problema, il bambino lo assimila nelle sue strategie di coping (gestione) automatiche, senza neanche passare attraverso la fase di ricerca creativa di una soluzione.
A proposito di creatività, si pensi agli allucinogeni, agli oppiacei e alle aspettative tramandate culturalmente che portano all’avvicinamento e al contatto. Se la sostanza mi aiuta a lavorare, ma il lavoro ha un valore positivo, allora perché non assumerla se mi aiuta a fare qualcosa di positivo? Segue la fase di contatto, il cui esito dipende innanzitutto dalla piacevolezza della prima esperienza e successivamente dal rinforzo positivo o negativo delle esperienze successive. È frutto di una successione di esperienze psicologiche e sociali. Alle influenze interpersonali si aggiunge l’esperienza diretta e fisica. Segue l’eventuale consolidamento del consumo, che può tanto essere occasionale, tanto regolare, tanto abituale.
Adolescenza e sostanze
In adolescenza il rischio di sviluppare un abuso è maggiore. In termini evolutivi è il periodo entro il quale si acquisiscono competenze di autonomia attraverso l’esplorazione. Esplorando l’ambiente aumenta il rischio di entrare in contatto con sostanze dannose. Aumentano le interazioni sociali con i pari e con esse il desiderio di approvazione, la ricerca di novità, di sensazioni, di esperienze, di rischi, ma anche la necessità di sfuggire agli stati d’animo negativi che caratterizzano buona parte degli adolescenti. Il cervello dell’adolescente attraversa una fase di sviluppo fisiologica molto intensa. La neurobiologia tipica dell’adolescenza consiste in una reattività accentuata agli incentivi (le gratificazioni) mentre il controllo degli impulsi è ancora relativamente immaturo. Il sistema è sbilanciato sulla gratificazione immediata e manca della compensazione da parte del sistema del controllo. Il drive prevale sul controller, per così dire.
L’addiction è un processo di neuroadattamento. A causa della elevata e continua plasticità tipica del cervello adolescente, l’utilizzo di sostanze in questa fascia d’età porta ad una compromissione maggiore delle strutture cerebrali, una persistenza maggiore di eventuali danni, una più alta probabilità di sviluppare addiction in età adulta. Stando alla legge di Hebb secondo cui i circuiti utilizzati spesso tendono a fortificarsi, quanto più il sistema drive si sviluppa, tanto più verrà utilizzato anche in futuro. Quanto più il sistema controller non viene utilizzato, tanto più continuerà a non essere utilizzato. Dunque come ridurre al minimo il rischio? Quanto detto ci suggerisce che, al netto delle differenze individuali, più tardi si entra in contatto con sostanze stimolanti, più il cervello ha tempo per svilupparsi correttamente, più è difficile diventare soggetti ad una tossicodipendenza in età adulta.
Referenze
- American Psychiatric Association. (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5). Milano, Raffaello Cortina Editore.
- Figee, M., Vink, M., de Geus, F., Vulink, N., Veltman, D. J., Westenberg, H., & Denys, D. (2011). Dysfunctional reward circuitry in obsessive-compulsive disorder. Biological psychiatry, 69(9), 867-874.
- Norbury, A., & Husain, M. (2015). Sensation-seeking: Dopaminergic modulation and risk for psychopathology. Behavioural brain research, 288, 79-93.
- Tang, L. S., Goeritz, M. L., Caplan, J. S., Taylor, A. L., Fisek, M., & Marder, E. (2010). Precise temperature compensation of phase in a rhythmic motor pattern. PLoS biology, 8(8), e1000469.
- Rademaker, M. (2001). Do women have more adverse drug reactions?. American journal of clinical dermatology, 2(6), 349-351.
- Ewing, J. A., Rouse, B. A., & Pellizzari, E. D. (1974). Alcohol sensitivity and ethnic background. American Journal of Psychiatry, 131(2), 206-210.