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Teoria del foraggiamento ottimale

La teoria del foraggiamento ottimale è la tendenza degli animali a procurarsi il cibo in modo efficiente, selezionando le dimensioni o le porzioni del cibo che forniscono il massimo apporto in relazione all’energia spesa per ottenerlo. Elevati valori di fitness possono essere raggiunti se un organismo preleva un’elevata retta di energia netta. In sostanza fare la cosa giusta al momento giusto. La teoria del foraggiamento ottimale affronta queste decisioni in termini di costi e benefici. I costi possono essere misurati in termini di tempo ed energia spesi nell’atto di nutrirsi; i benefici in termini di fitness.

Si indica con E l’energia contenuta nel cibo, con “h” il tempo di maneggiamento del cibo e con S il tempo di ricerca del cibo.

  • Proficuità della dieta: E / (h+S)
  • Proficuità media della dieta: E / h; E / (S+h)

La strategia ottimale prevede che la proficuità della dieta sia maggiore o uguale alla sua proficuità media. Qual è il tempo ottimale per massimizzare il ricavo di energia? La velocità di estrazione di energia che dovrebbe essere massimizzata è data da: Energia estratta diviso il tempo. Cioè dalla pendenza di una retta condotta dall’origine degli assi alla curva.

Modello Lotka-Volterra: presuppone che il predatore assuma costantemente la preda nel tempo, ma in natura non è sempre così. Questo può però valere per la Dafnia che cattura cibo in proporzione alla sua densità sino ad un plateaux.

Risposta funzionale I: il predatore consuma la preda con frequenza costante. In questo tipo di risposta il numero di prede catturate dal predatore nell’unità di tempo aumenta in modo lineare con la dimensione della popolazione della preda fino a quando il predatore non è sazio; dopo di che il tasso di predazione resta costante. La mortalità della preda per effetto della predazione è costante e funzione dell’efficienza di predazione.

Risposta funzionale II: il predatore impiega del tempo a manipolare la preda. Il tasso pro capite di predazione aumenta in modo decrescente fino a un valore massimo, che si raggiunge a elevate densità di preda. Il motivo per cui il tasso di predazione tenda ad un asintoto è dovuto al tempo a disposizione del predatore. Quando la densità della preda diventa estremamente elevata, il tempo di ricerca si avvicina allo zero e il predatore può spendere tutto il suo tempo nel manipolare efficientemente le prede. Il risultato è un diminuito tasso di mortalità della preda in risposta al suo aumento di densità. Questo modello è il più frequentemente riscontrato nei predatori.

Risposta funzionale III: il predatore impara a mangiare la preda. A elevate densità della preda, questa risposta è simile a quella di tipo II. Tuttavia, il tasso al quale le prede vengono consumate è inizialmente basso e aumenta poi con un andamento sigmoidale fino a raggiungere un valore massimo. Se la densità del predatore è costante, solo una risposta funzionale III può regolare una popolazione preda. Se l’habitat fornisce solo un numero limitato di nascondigli, la protezione di buona parte della popolazione preda sarà efficace solo a basse densità e il rischio individuale aumenta al crescere della popolazione.

Fonte: Elementi di ecologia, di Thomas M. Smith e Robert L. Smith. Pearson editore.

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