Che lavori può fare un laureato in Biologia, Biotecnologie o Scienze Naturali in ambito ecotossicologico? Il nostro viaggio attraverso le professioni che si aprono ai laureati in Scienze della Vita, in questa tappa esplora proprio questo ambito. Intervistiamo Marco Guido Neotti, che ci parla della professione del tecnico ecotossicologo.
In che contesto opera il tecnico ecotossicologo?
In qualsiasi ramo dell’industria umana, utilizziamo sostanze chimiche di sintesi nei processi di produzione, lavorazione e trasformazione delle merci. Oppure le immettiamo in commercio come parte di prodotti di vario tipo: dalla cosmetica alla pulizia della casa, dall’igiene personale al trattamento delle colture, dai medicinali per gli umani ai farmaci veterinari e molto altro ancora.
Durante il loro utilizzo, tutte queste sostanze vengono a contatto con gli esseri umani, siano i consumatori che si applicano una crema o gli operatori che maneggiano un pesticida. Un ulteriore problema è, però, la loro dispersione nell’ambiente. Il rischio concreto è che inquinino diversi compartimenti ambientali e danneggino le comunità di organismi che li abitano. Potrebbero perfino percorrere le reti ecologiche e tornare a costituire un rischio per la salute umana.
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Ci interessa quindi studiare il destino ambientale delle sostanze chimiche di sintesi e la loro tossicità nell’ambiente. Questo sia dal punto di vista teorico, sia sottoponendo a rigidi controlli sperimentali ogni nuovo principio attivo o formulato che sviluppiamo per la sua immissione in commercio. Questi saggi, oltre a certificarne i profili di sicurezza o di rischio per la salute umana, descrivono le medesime caratteristiche rispetto ai compartimenti ambientali.
L’ambito in cui si inseriscono i saggi tossicologici ed ecotossicologici è definito “regolatorio”, dal momento che queste analisi sono necessarie affinché degli enti pubblici possano decidere se permettere la commercializzazione di ogni dato principio chimico di sintesi e a quali condizioni.
Le sostanze chimiche che richiedono controlli di questo tipo possono anche essere delle miscele e dei rifiuti di vario genere: le acque di scarico delle attività industriali, le ceneri di un inceneritore, i rifiuti solidi urbani o delle scorie di produzione.
I saggi ecotossicologici, quindi, hanno l’obiettivo di valutare l’effetto di una data sostanza o miscela sulla componente biotica dei compartimenti ambientali in cui se ne prevede il rilascio o l’accumulo. Per farlo, chi compie queste analisi la somministra a popolazioni di bioindicatori – organismi modello rappresentativi delle comunità minacciate – per misurare la loro risposta in termini di mortalità o inibizione alla proliferazione.
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Le linee guida internazionali dell’OECD richiedono, per esempio, di valutare per ogni specie chimica testata la concentrazione:
- massima che non mostra di dare alcun effetto sugli organismi testati (NOEC)
- minima che mostra di dare un qualche effetto sulla popolazione testata (LOEC)
- che causa un effetto letale sul 50% degli organismi (LC50)
I punti di riferimento principali che definiscono nel dettaglio l’iter richiesto per giungere all’approvazione della messa in commercio di un prodotto chimico sono, in base alla categoria di appartenenza, il regolamento REACH, il regolamento CLP e il Regolamento UE sui prodotti Fitosanitari.
La scelta degli organismi da testare avviene in base al loro habitat e alla loro posizione nella rete trofica. Una scelta oculata permette, quindi, di valutare potenziali effetti di biomagnificazione o di bioaccumulo di un inquinante.
Qualora chi produce la sostanza richieda analisi relative all’ambiente di acque dolci, ad esempio, possono essere utilizzati pesci, alghe e piccoli crostacei come le dafnie.
Oltre al compartimento acquatico viene spesso preso in considerazione il suolo. I bioindicatori più utilizzati per il suolo sono i lombrichi del genere Eisenia, come E. andrei ed E. fetida – noto anche come Verme Rosso Californiano – e la microflora, cioè la comunità di microorganismi che nel suo insieme possiede la capacità di trasformare composti del carbonio e dell’azoto.
Tra le caratteristiche di una sostanza o miscela che vengono studiate nella sua interazione con il suolo, c’è proprio quanto e come la microflora riesca a trasformarla. È a questo fine che vengono eseguiti anche test di biodegradabilità delle sostanze nel suolo.
La persona che, in un centro di saggio o nei laboratori di un’azienda produttrice, effettua nella pratica queste batterie di test è il tecnico ecotossicologo.
Cosa fa un tecnico ecotossicologo?
Buona parte del lavoro di un tecnico ecotossicologo, Marco la quantifica intorno al 70%, consiste nell’accudimento delle popolazioni di animali utilizzati per i saggi.
La stabulazione dei pesci, sovente zebrafish (Danio rerio), avviene in acquari inseriti in appositi “scaffali” che garantiscono un ricircolo e una filtrazione dell’acqua di ciascun acquario, nonché la valutazione di parametri come il pH, la temperatura e la conduttività. Il tecnico ecotossicologo ha il compito di controllare routinariamente che questi parametri siano stabili, non fuoriuscendo da intervalli ottimali, che lo stato di salute dei pesci sia buono e provvede a fornir loro del mangime con regolarità. Anche l’illuminazione è importante, nell’ottica di assecondare i loro ritmi circadiani e di evitare loro stress e sofferenze.
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Il mantenimento di popolazioni di dafnie, oltre alla temperatura costante, prevede di ricreare il loro medium di crescita e fornir loro alghe come nutrimento.
Se allevati senza soluzione di continuità, i ceppi di organismi bioindicatori possono mostrare problemi di instabilità nella risposta ai test. Nei pesci, ad esempio, popolazioni inincrociate per lunghi periodi possono mostrare effetti di deriva genetica.
Per le dafnie un problema ulteriore è che solitamente si riproducono per via asessuata e sono tutte femmine, dei cloni. In condizioni di stress, dovute magari a una stabulazione non ottimale, nascono dei maschi e avviene la riproduzione. Da questo evento riproduttivo nascono quindi individui geneticamente differenti dalla generazione precedente, che possono reagire in modo diverso ai test.
Per ovviare a questi rischi, le popolazioni di alghe e di dafnie vengono spesso ritestate per verificare la sensibilità a determinate sostanze di riferimento stabilite dai disciplinari. Inoltre, tutti gli organismi vengono ciclicamente riacquistati ex novo, anche in un’ottica responsiva alle esigenze di mercato.
Oltre alla stabulazione, un tecnico ecotossicologo si occupa delle attività di laboratorio: le attività classiche di mantenimento giornaliero – per esempio tarature degli strumenti e smaltimento dei rifiuti speciali – e quelle caratterizzanti per un tecnico ecotossicologo, cioè i test sugli organismi bioindicatori.
Alcuni di questi, ad esempio quelli su Daphnia o sulle uova di pesce, durano 48-96 ore. Altri studi durano di più, fino a 56 giorni, per esempio quelli cronici sulla riproduzione dei vermi del suolo.
Al termine di ogni studio, o talvolta anche in itinere a seconda delle richieste, il tecnico ecotossicologo ne comunica l’andamento al cliente e provvede a redarre dei report.
Questo genere di studi avviene in genere seguendo regole dette GLP (Good Laboratories Practices). Le GLP sono di fatto accorgimenti per mantenere la tracciabilità del dato ed evitare falsificazioni. Questo consente a chiunque di poter controllare a posteriori il processo con cui il dato è stato ottenuto.
Chi può fare il tecnico ecotossicologo?
Esistono dei corsi di laurea specifici che preparano alla professione del tecnico ecotossicologo, come quello in Tossicologia dell’Ambiente. Molte persone che svolgono questa mansione sono però formate in altri ambiti delle scienze della vita, come in Biologia, in Scienze Naturali o in Scienze Ambientali.
Per avviarsi a questa carriera si procede per lo più con il classico metodo dell’invio del proprio curriculum vitae ai selezionatori. Un plus è spesso dato dallo svolgere uno stage curricolare in azienda.
Cosa aspettarsi?
L’ecotossicologia è un ambito ancora poco sviluppato in Italia e sono pochi i laboratori che se ne occupano.
Il tecnico ecotossicologo svolge un lavoro routinario, a meno che l’azienda non sia in fase di crescita. Come quella di Marco, che ha l’opportunità di imparare spesso nuovi metodi per nuovi progetti. A volte il ritmo di lavoro diviene pressante, ma saper far fronte a questa sfida porta a migliorare per mantenere gli standard richiesti. Come tutti i lavori che richiedono di stabulare popolazioni di animali, prevede dei turni a rotazione che richiedono talvolta di lavorare anche nei weekend.
Chi volesse intraprendere questa professione deve possedere capacità di adattamento e, banalmente, non provare senso di repulsione verso gli organismi utilizzati. È importante inoltre sapersi affidare all’esperienza dei colleghi e sapere quando è meglio chiedere consiglio, dal momento che con gli animali non si può improvvisare.