Sviluppato e commercializzato nella seconda metà del Novecento, il talidomide prometteva di essere un farmaco miracoloso ed estremamente sicuro per il trattamento di moltissime condizioni, tra cui la nausea gravidica. Ma proprio la sua somministrazione a donne incinte è stata responsabile tra gli anni ’50 e ’60 di un disastro medico di portata globale con conseguenze drammatiche per migliaia di famiglie in tutto il mondo. Il talidomide è oggi considerato uno dei principali agenti teratogeni, sostanza in grado di indurre alterazioni nel normale sviluppo fetale nelle prime fasi dell’embriogenesi.
A causa di una scarsa consapevolezza dei potenziali effetti tossici degli agenti chimici sul feto unita a una lacunosa sperimentazione farmaceutica, la teratogenicità del talidomide è stata però determinata solo dopo la sua immissione in commercio, una volta che i danni provocati dal farmaco erano ormai irreversibili.
La tragedia del talidomide, anche se poco nota, ci riguarda da vicino. Ogni farmaco che oggi troviamo sul mercato è il risultato di un processo di sviluppo estremamente regolamentato e controllato, di cui il mondo farmaceutico si è dotato proprio dopo lo scandalo del talidomide per evitare il ripetersi di simili tragedie.
Il contesto
La storia del Talidomide inizia negli anni Cinquanta in Germania Ovest, quando il farmaco viene sviluppato dalla tedesca Chemie-Grünenthal[1]. Inizialmente una piccola azienda farmaceutica fondata nel 1946 dai fratelli Wirtz come filiale della fabbrica familiare di profumi e saponi[1], la nascente industria ha legami molto forti con il partito nazista:. Non è un caso che scienziati aderenti al partito e condannati come criminali di guerra ricoprano alcune delle principali cariche nell’azienda. In particolare, a capo del dipartimento di ricerca durante lo sviluppo del talidomide vi è Heinrich Mückter[1].
Si tratta di un giovane medico accusato di aver condotto esperimenti spesso mortali sui prigionieri nei campi di concentramento per individuare un vaccino contro il tifo. Ed è proprio grazie a Mückter che la Chemie-Grünenthal riesce a portare sul mercato un prodotto apparentemente miracoloso, destinato a diventare in pochi anni uno dei farmaci più venduti in Germania, al pari dell’Aspirina.
Sviluppo del Talidomide
Il contesto farmaceutico di metà Novecento è molto diverso da quello attuale. I farmaci di sintesi chimica rappresentano una novità nel panorama farmaceutico e offrono l’opportunità di ingenti guadagni[1]. Mancano però protocolli standardizzati e stringenti per la sperimentazione dei farmaci, e molte delle agenzie regolatorie che oggi si occupano della supervisione e dell’approvazione dei medicinali non sono ancora nate.
La prima pubblicazione relativa all’attività farmacologica del talidomide risale al 1956. In studi su roditori, Muckter e colleghi hanno scoperto l’effetto tranquillizzante e sedativo della molecola, che dimostra alcuni pregi importanti soprattutto se confrontata con i sedativi allora disponibili[3]. Ma la qualità principale di questo composto è l’apparente sicurezza. Test condotti su diverse specie di roditori evidenziano infatti l’assenza di qualsiasi effetto tossico, anche a dosi elevate[3]. Per i ricercatori della Chemie-Grünenthal si tratta di una vera e propria vittoria: hanno a disposizione una molecola semplice, virtualmente non tossica e in grado di competere efficacemente con i sedativi allora disponibili sul mercato.
Queste conclusioni vengono confermate pochi mesi dopo dal report clinico che descrive l’effetto sedativo del talidomide su una coorte di 300 pazienti. Si tratta però di uno studio mal condotto e mal descritto. Il trial non prevede un gruppo di controllo trattato con placebo e nella pubblicazione non viene riportata la durata del trattamento, né dati numerici a supporto delle conclusioni[3].
Il Talidomide arriva sul mercato
Lo sviluppo del talidomide è estremamente rapido, anche per i canoni dell’epoca. È infatti il 1957 quando il Contergan fa la sua comparsa nelle farmacie tedesche come sedativo ipnotico in grado di indurre un sonno profondo senza il rischio di hangover o dipendenza[4]. Pubblicizzato come un farmaco miracoloso per il trattamento dell’insonnia, dell’ansia, del mal di testa e dell’influenza, il Contergan viene venduto in Germania senza prescrizione medica proprio in virtù della sua sicurezza[5].
Il talidomide è accessibile, a basso costo e ha un rapporto rischi/benefici estremamente positivo. In pochissimo tempo diventa un bestseller, con 14,6 tonnellate vendute nella sola Germania nel 1960[4]. Tale successo porta in breve tempo alla distribuzione del talidomide in 46 paesi, con diversi nomi commerciali, senza che sia condotto nessuno studio indipendente aggiuntivo[5]. Rivelatosi anche un efficace anti-emetico, il talidomide inizia a essere largamente prescritto alle donne nel primo trimestre di gravidanza per il trattamento della nausea gravidica, senza particolari remore vista la sua acclamata sicurezza[5].
La potenziale teratogenicità dei farmaci
Negli anni Cinquanta alcuni scienziati avevano raccolto le prime evidenze circa l’effetto tossico sullo sviluppo fetale degli agenti chimici, ma tali scoperte erano rimaste confinate all’ambiente accademico[1, 6]. Dottori e ginecologi prescrivevano quindi tranquillamente farmaci alle donne in gravidanza, ritenendo che la placenta proteggesse il feto da possibili effetti nocivi. Inoltre, anche le poche linee guida disponibili per lo sviluppo dei farmaci erano vaghe circa i test da eseguire. Gli studi di tossicità sulla riproduzione erano consigliati, anche se non si faceva cenno alla valutazione della teratogenicità , ma la loro conduzione era a discrezione delle aziende… e la Chemie-Grünenthal scelse di non testare il talidomide su animali gravidi prima della sua immissione in commercio[1].
Il primo caso di malformazione congenita causata da talidomide risale a prima dell’arrivo sul mercato del farmaco stesso. Il giorno di Natale del 1956 a Stolberg, la città della Chemie-Grünenthal, la moglie di un dipendente dell’azienda diede alla luce una bambina priva di orecchie[6]. La donna aveva assunto durante la gravidanza la nuova pillola, che veniva allora distribuita ai dipendenti dall’azienda. Il caso non destò preoccupazione circa la sicurezza del farmaco e la malformazione congenita non venne associata all’assunzione del talidomide. Dieci mesi dopo il farmaco era sul mercato, sostenuto da un’energica campagna pubblicitaria da parte dell’azienda che ne acclamava soprattutto la sicurezza.
La tragedia del Talidomide
Un anno dopo l’arrivo sul mercato del talidomide, pediatri e ginecologi di tutto il mondo iniziano a registrare i primi casi di quella che sarà una vera e propria epidemia di malformazioni congenite[3]. La frequenza di bambini che nascono con alterazioni anatomiche a carico degli arti, delle orecchie e/o di organi interni è in rapida crescita e supera notevolmente la frequenza attesa per delle malattie considerate rare. Ma i medici faticano a trovare una spiegazione plausibile a questo problema globale.
Bisogna aspettare il 1961 perché l’associazione tra l’assunzione del talidomide durante la gravidanza e le gravi alterazioni anatomiche riscontrate nei neonati diventi esplicita. È infatti grazie alle osservazioni indipendenti del pediatra tedesco Lenz e del ginecologo australiano McBride che la società diventa consapevole dell’effetto teratogeno del talidomide[4]. Report pubblicati nei mesi seguenti non possono che confermare il talidomide come causa del più grande disastro medico causato dall’uomo nella storia[3].
Si stima infatti che tra il 1957 e il 1962 il talidomide abbia causato gravissimi difetti congeniti in più di 10.000 bambini in tutto il mondo[4]. Si tratta però di un numero altamente sottostimato, se si considerano anche le morti perinatali e gli aborti. L’effetto teratogeno del talidomide si esplica quando il farmaco viene assunto 34-49 giorni dopo l’ultimo ciclo mestruale[4]. Le malformazioni causate dal farmaco sono molteplici: assenza totale o parziale di braccia e gambe, deformazioni di mani e piedi, anomalie dell’orecchio ma anche di organi interni come il tratto digestivo o il cuore[4]. Circa il 40% delle vittime del talidomide è morto entro il primo anno di vita e i sopravvissuti hanno convissuto e tuttora convivono con handicap importanti che rendono difficoltosa la vita di tutti i giorni[4, 5].
Il caso americano
La storia del Talidomide negli Stati Uniti segue un binario completamente diverso rispetto al resto del mondo, grazie alla capacità di valutazione della farmacologa Frances Oldham Kelsey e alla presenza negli USA di un sistema regolatorio più maturo per la sperimentazione e l’approvazione dei farmaci.
La dottoressa Kelsey viene assunta dall’FDA nel 1960 e il primo caso che le viene assegnato riguarda l’autorizzazione di un tranquillante a base di talidomide indicato soprattutto per il trattamento delle nausee mattutine in donne in gravidanza[4]. La procedura di autorizzazione dovrebbe essere semplice: si tratta di un farmaco già commercializzato in dozzine di altri paesi nel mondo e acclamato per la sua sicurezza. Ma la dott.ssa Kelsey rigetta l’approvazione e richiede ulteriori studi, esprimendosi molto criticamente nei confronti dei dati preclinici e clinici presentati dall’azienda[3, 4].
Le perplessità della farmacologa nascono non solo dalla superficialità degli studi presentati, ma anche da pubblicazioni che iniziano a evidenziare effetti tossici a carico del sistema nervoso legati all’assunzione del talidomide[5]. Inoltre, la dottoressa è preoccupata dai potenziali effetti che il farmaco potrebbe avere sul feto, dal momento che l’azienda farmaceutica non ha eseguito test su animali o donne gravide[5]. Nonostante le pressioni esercitate dalla casa farmaceutica, la dott.ssa Kelsey rimane ferma nelle sue decisioni, riuscendo a impedire l’arrivo sul mercato statunitense del talidomide e risparmiando così migliaia di potenziali vittime.
Ritiro dal mercato del talidomide e processo
A seguito della pubblicazione dei lavori di Lenz e McBride, la Chemie-Grünenthal è costretta a ritirare il farmaco dal commercio. Ma la casa farmaceutica è riluttante ad ammettere il fallimento del farmaco miracoloso e continua a negare la sua teratogenicità [1]. Il fatto poi che il talidomide abbia 51 diversi nomi commerciali non facilita il processo di ritiro dal mercato, che non è coordinato a livello globale. In Italia il talidomide continua a essere venduto per altri 10 mesi dopo il ritiro in Germania e Inghilterra, e anche in Brasile, Giappone e Canada il ritiro del farmaco non avviene prima del 1962[1]. La stampa è il motore principale non solo nel forzare le aziende riluttanti a ritirare il farmaco, ma anche nella comunicazione del pericolo alla popolazione. Fortunatamente, con la scomparsa del talidomide dalle farmacie, termina anche l’epidemia di malformazioni congenite che aveva investito il mondo intero[6].
Il processo alla Chemie-Grunenthal inizia solo nel 1968 e si conclude due anni più tardi[2]. Nove sono i responsabili dell’azienda accusati di lesioni personali e omicidio colposo[2]. Ma la sentenza della Corte Tedesca rappresenta un ulteriore scandalo in questa tragedia. Non solo i responsabili vengono assolti, ma viene loro concessa un’immunità che li protegge da ulteriori procedimenti penali futuri[2]. Alle famiglie devastate dai danni del talidomide non spetta che un misero risarcimento[5]. L’azienda riprenderà a produrre e commerciare farmaci, diventando una delle principali case farmaceutiche in Europa, continuando a negare le sue responsabilità nella tragedia del Talidomide. Le prime scuse alle vittime arrivano infatti solo nel 2012, 50 anni dopo la tragedia[5].
Buchi neri nello sviluppo del Talidomide
Ad oggi è difficile stabilire se il disastro del talidomide potesse essere prevenuto. La Chemie-Grünenthal è ritenuta responsabile di “aver immesso in commercio un farmaco con un livello di tossicità inaccettabile senza averlo testato appropriatamente. Ma negli anni ’50 non c’erano in Europa regolamenti ufficiali che stabilissero regole e modelli animali per lo sviluppo dei farmaci[1]. Gli studi preclinici e clinici condotti dalla Chemie-Grünenthal per lo sviluppo del talidomide risultano però superficiali, anche per gli standard del tempo. Il pediatra Widukind Lenz affermerà infatti:
Gli articoli pubblicati da Kunz et al. sugli esperimenti preclinici e da Jung sulle ricerche cliniche con la talidomide hanno così poco valore scientifico che secondo la mia opinione non dovevano nemmeno essere accettati per la pubblicazione[6].
La Chemie-Grünenthal si limita infatti a condurre uno studio di tossicità acuta e cronica, i cui risultati si rivelano negli anni successivi lacunosi e spesso errati[3]. Studi di farmacocinetica, che non erano stati condotti dall’azienda, dimostrano infatti l’infondatezza del claim della sicurezza del composto. L’atossicità del talidomide non è una sua qualità intrinseca, ma la conseguenza di una sua scarsa solubilità in acqua[3]. Inoltre l’azienda è colpevole di aver propagandizzato la somministrazione del farmaco alle donne in gravidanza senza aver mai testato la molecola su animali gravidi. Anche in questo caso la responsabilità dell’azienda è controversa dal momento che questo tipo di studio non era allora obbligatorio e che il talidomide si rivelerà teratogeno in conigli e primati, mentre i roditori, allora il modello sperimentale principale, risultano meno sensibili[1].
Sicuramente però la responsabilità dell’azienda nella tragedia risiede nel non aver risposto prontamente alle segnalazioni degli effetti collaterali del talidomide, quali neuriti periferiche e malformazioni congenite. Anzi, inizialmente i vertici della Chemie-Grünenthal cercheranno di nascondere tali informazioni per continuare a trarre profitto dal commercio di un farmaco di successo, rallentando quindi il processo di ritiro dal mercato[6].
Conseguenze della tragedia del talidomide
Lo scandalo del talidomide lascia il mondo sconvolto di fronte alla drammaticità delle conseguenze dovute all’assunzione di un farmaco acclamato come sicuro. Ma è proprio di fronte a tale tragedia che il mondo farmaceutico prende consapevolezza della necessità di regolamentare in modo stringente la sperimentazione e l’approvazione dei farmaci. Negli anni immediatamente successivi al ritiro dal mercato del farmaco nascono infatti molte commissioni di esperti preposte alla valutazione della sicurezza e dell’efficacia dei farmaci[1]. Inoltre, moltissimi stati si dotano di linee guida e regolamenti per la sperimentazione sistematica dei prodotti farmaceutici, con particolare attenzione alla valutazione della tossicità dello sviluppo[1].
Ma l’eredità del talidomide si estende anche alla presa di consapevolezza che nello studio dell’efficacia e della sicurezza di un farmaco è necessario considerare il principio di specie-specificità . Tenendo conto quindi che lo stesso farmaco può avere effetti diversi in specie animali diverse, diventa necessario condurre gli studi di tossicità generale e tossicità riproduttiva in 2 distinte specie animali, di cui una non roditore[3].
Con la tragedia del talidomide diventa centrale anche la disciplina della farmacovigilanza. Il monitoraggio delle reazioni avverse dei farmaci diventa sistematico, organizzato e regolamentato. Nel 1963 l’OMS organizza il Programma di Monitoraggio Internazionale dei Farmaci e dal 1968 inizia a creare centri pilota nazionali di monitoraggio dei farmaci in diversi paesi in Europa e America[3].
Il riscatto del Talidomide
Ma la storia del talidomide non si conclude con il suo ritiro dal commercio. Negli anni successivi il talidomide ha continuato a essere caratterizzato e studiato, individuando nuovi usi terapeutici. Nel 1965 è stata scoperta la sua attività immunomodulatoria in pazienti affetti da lebbra[4]. Questo ha aperto le porte all’uso del talidomide nel trattamento di altre condizioni dermatologiche e infiammatorie, nell’infezione da HIV e nelle malattie autoimmuni[5]. Nel 1994 si è inoltre scoperto che il talidomide contrasta il processo angiogenetico, fondamentale nello sviluppo tumorale. EMA e FDA hanno quindi approvato il talidomide per il trattamento del mieloma multiplo, e studi per indagarne l’efficacia in altri tipi tumorali sono in corso[4].
La prescrizione e la somministrazione del talidomide devono seguire un programma specifico messo in atto per prevenire l’esposizione al farmaco del feto[5]. Sfortunatamente in alcuni paesi come il Brasile, in cui la lebbra è endemica, si continuano a registrare casi di embriopatia dovuti all’assunzione del farmaco anche da parte di donne in gravidanza[5].
Referenze
- Ridings J.E. (2013) – The Thalidomide disaster: lessons from the past – Methods in Molecular Biology, 947, 575-586.
- Evans Harold (14 Novembre 2014) – Thalidomide: how men who blighted lives of thousands evaded justice – The Guardian.
- Botting J.H. (2015) – The History of Thalidomide – Animals and Medicine: The contribution of animal experiments to the control of disease, 183-198
- Rehman W, Arfons LM, Lazarus HM. (2011) – The rise, fall and subsequent triumph of thalidomide: lessons learned in drug development –Ther Adv Hematol., 2(5):291-308.
- Vargesson N. (2015) – Thalidomide-induced teratogenesis: history and mechanisms – Birth Defects Res C Embryo Today, 105(2):140-156
- Lenz W. (1988) – A short history of thalidomide embryopathy – Teratology, 38(3):203-215.