Oceanografa, ricercatrice ed esploratrice. Sylvia Earle è stata nominata Her Deepness dal New York Times, First Hero for the Planet dal Time e Living Legend dalla Biblioteca del Congresso di Washington. La sua vita è una vera e propria missione, dedicata alla conoscenza dell’oceano e alla sua divulgazione. Nasce nel 1935 in New Jersey, passa la sua infanzia in una piccola fattoria dove inizia a crescere la sua grande passione per la natura e per gli animali. Tutto inizia quando, a 16 anni, trasferitasi in Florida con la famiglia, prova per la prima volta ad immergersi con l’attrezzatura subacquea nelle acque del Golfo del Messico. E’ una folgorazione per lei, immediatamente capisce che quello che più la affascina è l’incredibile varietà di vita e colori che la circondano; l’acqua è il suo elemento, il suo ambiente di vita.
Decide quindi di indirizzare i suoi studi alla biologia marina e all’esplorazione degli abissi, si laurea nel 1955 in scienze alla Florida State University e continua con un dottorato di ricerca in botanica marina, realizzando la più completa raccolta di specie vegetali del Golfo del Messico. Per questo progetto Sylvia raccoglie oltre 20.000 campioni di alghe.
Le spedizioni
Nel 1964 partecipa a una spedizione internazionale oceanografica nell’Oceano Indiano, esplorando, per la prima volta, i fondali delle Seichelles, Aldabra e Zanzibar, unica donna in mezzo a 70 uomini. Le sue spedizioni sono molteplici, sicuramente la più nota al grande pubblico é il progetto Tekike II, nel 1970, in cui Sylvia guida un team di 4 ricercatrici, che passeranno due settimane in una struttura posta a 15 metri di profondità, studiando la biodiversità marina e sperimentando gli effetti della vita subacquea sul corpo umano.
I Record
Nel settembre del 1979 Sylvia Earle effettua un record di immersione arrivando, nelle acque dell’isola di Oahu nelle Hawaii, a 381 metri di profondità, senza l’ausilio di un sommergibile. In questa passeggiata subacquea Sylvia indossa una JIM suit, una particolare muta progettata per mantenere la pressione interna di una atmosfera, eliminando così la maggior parte dei problemi fisici correlati alle immersioni in profondità.
Sylvia raggiunge diversi record di immersione nella sua carriera, sperimentando nuove tecnologie e attrezzature, abbattendo i limiti e mostrando al mondo paesaggi inesplorati.
Divulgazione e sensibilizzazione
Nel 1990 diventa Direttore Scientifico della NOOA (National Oceanic and Atmospheric Administration), l’agenzia del governo per lo studio e il controllo degli oceani e dei fenomeni ambientali. In quegli anni si occupa di valutare l’impatto ambientale delle fuoriuscite di petrolio nel Golfo Persico, a causa della guerra del Golfo, in Texas e nel Golfo del Messico in seguito a fuoriuscite da piattaforme petrolifere. Studia inoltre l’impatto dell’overfishing di numerose specie ittiche e delle cause dei cambiamenti climatici in atto. Ben presto, Sylvia si rende conto che la sua posizione di direttore scientifico è in realtà una figura sottoposta a forti pressioni politiche e, non accettando di scendere a compromessi, si dimette.
Dal quel momento la sua vita è dedicata alla divulgazione e alla sensibilizzazione del grande pubblico, fonda Mission Blue, un’associazione con lo scopo di creare un network di aree marine protette, degli Hope Spot, che assicurino la salvaguardia del 20 % dell’oceano entro il 2020, ricordando la necessità di esplorare e tutelare al più presto l’oceano fuori dalle acque nazionali, quel mare aperto ben poco regolamentato che occupa metà del mondo.
Nel 2009 Sylvia Earle vince il Premio TED, il suo appello invita tutti noi a proteggere il cuore blu del pianeta, ci ricorda come l’oceano é il principale regolatore della temperatura e del trasferimento del calore, come tutto é connesso e i danni che stiamo infliggendo all’oceano influenzeranno il nostro futuro.
“No blue, no green…no water, no life“
diventa il suo motto. Sylvia dice:
“Niente oceano, niente supporto vitale, possiamo immaginare la terra senza acqua? Ogni goccia di acqua che beviamo, ogni respiro che facciamo ci collega all’oceano. Noi uomini abbiamo l’idea che la terra e l’oceano siano così vasti e resistenti, non importa quello che facciamo. Poteva essere cosi 10.000 o forse 1000 anni fa, ma negli ultimi 100-50 anni abbiamo prosciugato l’aria, l’acqua, la fauna che rendono possibili le nostre vite. Dobbiamo riconoscere di avere un problema. La conoscenza genera amore, e da questo amore nasce la speranza.”
il suo appello termina, infatti, con speranza:
“C’è ancora tempo, non molto, per invertire la nostra rotta”.
Fonti
- Wallace White, Her Deepness, The New Yorker, 3 luglio 1989
- Roger Rosenblatt, Sylvia Earle: Call of the Sea, Time Magazine, 5 ottobre 1998