Sia che osserviamo una piantina sul balcone di casa o che ci ritroviamo soli in mezzo ad una foresta, ogni forma di vita vegetale appare, agli occhi di noi esseri umani, continuativamente immobile. Ma… “eppur si muovono”! Se nell’articolo precedente abbiamo approfondito gli scenari ed i meccanismi che hanno permesso la colonizzazione e la conquista delle terre emerse da parte delle piante, in questa seconda parte il lettore verrà guidato alla scoperta delle vie e dei mezzi di diffusione propri del Regno vegetale.
Approfondiremo quelle che sono le principali strategie di dispersione adottate dalle piante per la diffusione del proprio patrimonio genetico e la sopravvivenza della specie, ed in che modo la loro conoscenza possa contribuire non solo alla salvaguardia dell’ambiente, ma anche al risanamento e al recupero di habitat fortemente a rischio.
Attraverso le onde: l’intuizione di Darwin e l’esempio del cotone
Fino alla metà del XIX secolo, e cioè prima che le teorie del celebre naturalista Charles Darwin cominciassero a circolare, per il mondo della scienza era difficile trovare risposte convincenti che spiegassero come le piante fossero potute arrivare in posti così lontani dai luoghi d’origine.
Ovviamente oggi sappiamo che le piante sono in grado di diffondersi a grandi distanze soprattutto grazie ai loro semi, ed uno dei primi sostenitori di questa idea fu proprio Darwin, che decise di mettere a punto alcuni curiosi, ed alquanto insoliti esperimenti, che riuscissero in qualche modo a confermare le sue teorie.
Darwin era convinto che uno dei mezzi di diffusione a lunga distanza adottato dalle piante fosse l’acqua di mare e così si procurò semi di alcune specie molto comuni come avena, broccoli e cavoli e li mise all’interno di bottigliette contenenti acqua salata. I risultati ottenuti furono buoni ma non del tutto entusiasmanti: se i semi venivano lasciati per periodi troppo lunghi nell’acqua le percentuali di germinazione diminuivano drasticamente.
Nonostante tutto si accorse che il seme secco dell’asparago, ad esempio, era in grado di galleggiare 86 giorni, rendendolo ipoteticamente in grado di viaggiare per oltre 2800 miglia.
Gli scienziati oggi sanno bene che le specie di piante “naviganti” sono relativamente molto poche: di tutte le 250.000 piante a fiore conosciute, all’incirca lo 0.1 % produce semi che possono resistere alla navigazione, e soltanto la metà di questi riesce a rimanere vitale per più di un mese nell’acqua.
Tra queste specie ne troviamo una che anche lo stesso Darwin aveva studiato nel corso del suo viaggio alle Galapagos a bordo dell’HMS Beagle, ossia il cotone. Gli scienziati ne chiamano una specie Gossypium darwinii , cotone di Darwin, e la storia di come ha raggiunto le isole Galapagos costituisce un buon esempio di quanto possono viaggiare lontano i semi.
Il cotone è originario dell’India e già gli eserciti di Alessandro Magno ne portarono i primi esemplari in tutto il Mediterraneo per poi diffonderlo verso sud, fino alla Penisola Arabica, tanto che oggi nelle regioni tropicali di tutto il mondo ne crescono oltre quaranta specie selvatiche. La stessa bambagia che rende il cotone particolarmente adatto al volo, lo aiuta anche a non andare a fondo nell’acqua, dal momento che le lunghe fibre di rivestimento intrappolano le bollicine d’aria e gli consentono così di restare a galla per oltre due mesi e mezzo. La densa peluria, inoltre, impedisce all’acqua di penetrare nel rivestimento del seme anche dopo che questo è affondato, permettendogli di rimanere vitale per oltre tre anni.
Oggi i dati genetici ci dicono che il cotone di Darwin e un antenato costiero sudamericano sono parenti, ed hanno chiarito che la pianta è riuscita a percorrere ben 926 chilometri dalla madrepatria fino a raggiungere l’arcipelago sospinta da un “evento meteorologico estremo”. Da lì il cotone si sarebbe poi diffuso verso l’interno attraverso il vento, oppure all’interno del becco di alcuni fringuelli endemici delle isole, soliti rivestire i loro nidi esclusivamente con semi piumati.
Secondo alcune ricerche, sarebbero infatti 36 le colonizzazioni sull’arcipelago da mettere in relazione con il trasporto via mare, e 134 quelle in relazione con il vento, ammettendo che in alcuni casi, come quello del cotone, si sia trattata di una combinazione dei due processi.
I semi come perfette “macchine volanti” per la conquista dei grandi habitat
Per capire meglio come funziona la dispersione da parte del vento, ci basta soffiare leggermente sui capolini di un dente di leone (o tarassaco) molto comune nei prati fioriti durante la primavera. Con un soffio leggero possono decollare immediatamente circa 200 semi in grado di ricadere facilmente anche ad una distanza di oltre 6 metri dalla pianta madre.
È infatti oramai ben noto che esistono in natura diverse specie di alberi e piante con semi dotati di un’architettura aerodinamica così perfetta da beneficiare a pieno delle potenzialità della dispersione ad opera del vento. In un recentissimo studio, al quale ha partecipato anche l’Italia con un team di ricercatori dell’Università di Pisa, è stato proprio lo studio dell’architettura del seme del tarassaco la fonte d’ispirazione per un modello matematico in grado di descrivere come si generano forze aerodinamiche stabili capaci di garantire voli a lunga traiettoria.
In realtà è opportuno precisare che, anche in questo caso, non tutte le specie di piante prediligono questo mezzo di diffusione; alcune specie si servono del vento per disperdere anche il loro polline, ma questo è un metodo che funziona bene ed è poco dispendioso per piante che vivono in grandi ambienti omogenei, come spesso avviene per le piante erbacee o gli alberi di pino.
La dispersione ad opera del vento può essere inaffidabile, e quindi viene spesso evitata, tra gli individui che vivono in ambienti non uniformi, sparpagliati o distribuiti a chiazze in un campo o in una foresta; di solito, in questi casi, il trasferimento dipende in larga misura da insetti, uccelli e pipistrelli.
Quando la diffusione dei semi è affidata alle correnti atmosferiche, i biologi anglofoni amano parlare di seed-shadow, letteralmente “ombra dei semi”, in riferimento all’area di distribuzione spaziale dei semi in relazione alla distanza tra la pianta madre da cui si sono originati e gli altri esemplari conspecifici. Arrivare a definire esattamente dove termina una seed shadow non è sempre facile, poiché le dispersioni su distanze molto lunghe sono eventi rari e finora poco studiati.
Uno dei pochi tentativi in merito riguarda lo studio dei movimenti di un’asteracea infestante nota come saeppola canadese. Usando un drone equipaggiato con trappole adesive per semi, i ricercatori hanno provato che i piumini risalivano fino a un’altezza di 120 metri, da dove potevano essere poi facilmente trasportati per decine o centinaia di chilometri di distanza dalle correnti ascensionali.
Sull’Himalaya semi trasportati dal vento e non ancora identificati sono stati trovati dentro alcuni crepacci tra le rocce a 6700 metri di altitudine, altezza alla quale le piante non possono più crescere. Tuttavia, ciò è bastato per dare inizio ad una nuova catena alimentare: i semi marcescenti sono infatti mangiati dai funghi, i collemboli mangiano i funghi ed i ragni vanno a caccia di collemboli. L’autore di questa ricerca ha perciò chiamato questo interessante ecosistema delle altitudini elevate “bioma eoliano” dipendente dal vento.
Infine, dalle ultime ricerche paleobotaniche, è emerso che i semi avevano già sviluppato le ali centinaia di milioni di anni fa, perfezionando nel corso del tempo la loro struttura ed ampliando la superficie dei tessuti preposti al volo nei loro discendenti. Ecco così che è possibile osservare una grande varietà di alette ed eliche nel rivestimento dei semi, dalle più familiari disamare alate dell’acero e del sicomoro simili a girandole, fin alle falde sovrapposte delle specie di Delphinium o speronella.
Concetti di seed effectiveness e dispersione secondaria in funzione delle modalità di rilascio dei semi
Quando si vogliono studiare i meccanismi e le caratteristiche della dispersione in una qualsiasi specie vegetale, è opportuno fare riferimento a quella che viene definita come “seed effectiveness”, ossia efficacia della dispersione. Con questo termine viene indicato qual è il contributo di ogni dispersore alla futura riproduzione della specie vegetale.
L’efficacia della dispersione è ovviamente diversa per ogni dispersore considerato e dipende dalla combinazione di molti fattori, sia qualitativi che quantitativi, come ad esempio dal numero di visite che l’animale compie alla pianta, dalla quantità di semi trasportati per visita, e dalla probabilità che il seme deposto possa giungere correttamente a germinazione.
Non solo, queste relazioni risultano ancora più complesse dal momento che, in alcuni casi, possono intervenire anche quelli che sono conosciuti come i dispersori secondari, cioè tutte quelle specie animali che operano una dispersione aggiuntiva a quella già effettuata dai dispersori primari, finendo così con l’ alterare la seed effectiveness; le formiche ne sono un classico esempio, in quanto trasportando i semi in un ambiente sufficientemente umido e fertile come quello del formicaio, possono contribuire sia ad un’ulteriore dispersione della pianta, sia alla sua futura germinazione in un luogo più adatto.
Non solo, per i ricercatori sono molto interessanti anche le modalità di rilascio del seme da parte di agenti degli animali e non solo; vi sono semi, ad esempio, che necessitano del calore o del fuoco per poter germinare, adattamenti vegetali particolarmente comuni nelle specie che caratterizzano steppe e macchie temperate, mentre altri ancora debbono attraversare l’apparato digerente di alcuni uccelli predatori: il rilascio di particolari enzimi contenuti nel succo gastrico permette infatti la rimozione di sostanze chimiche inibenti od ostacolanti il futuro sviluppo della plantula.
Il trasporto dei semi affidato agli animali: la dispersione vegetale come fenomeno chiave per la salvaguardia degli ecosistemi
Uccelli, mammiferi e piante con fiori sono stati i protagonisti del processo che i tassonomisti chiamano radiazione adattativa ( o evolutiva ), cioè di un rapido aumento nel numero di specie verificatosi immediatamente dopo l’estinzione dei dinosauri.
L’interazione tra frutti e loro disseminatori agisce sulle abitudini alimentari, sui modelli migratori ed anche sulla stagione riproduttiva di entrambe le parti coinvolte; gli elefanti africani, ad esempio, arrivano a percorrere chilometri per trovare le loro specie preferite, come Sacoglottis gabonensis, un albero nativo del Bacino del Congo produttore di frutti grandi come ciliegie e molto profumati. In una foresta, i ricercatori hanno rilevato una rete di piste di elefanti che collegavano tutti gli alberi adulti di Balanites , nonostante questa specie produca frutti soltanto ogni due-tre anni.
Tra le specie animali particolarmente studiate per la dispersione vi sono i frugivori, ossia coloro che si nutrono principalmente di frutti o semi. I frugivori sono fondamentali per la disseminazione e diffusione delle piante, ed ognuno di essi vi contribuisce in misura differente a seconda della specie.
Studi recenti sulla dispersione nel Ciliegio canino (Prunus mahaleb L.), condotti combinando l’osservazione diretta sul campo alle analisi geniche del rivestimento dei semi e dei frutti, hanno chiarito che tipologie differenti di frugivori trasportano semi a distanze diverse e in microhabitat differenti, influenzando così le dinamiche di popolazione a vari livelli. I risultati dello studio hanno confermato che i mammiferi come roditori e gli uccelli di grandi dimensioni trasportano quantità maggiori di semi su lunghe distanze (spesso grazie alla presenza di tasche guanciali preposte all’uso), connettendo in tal modo popolazioni altrimenti separate da ampi spazi aperti o habitat troppo estesi.
Viceversa, gli uccelli dalle piccole-medie dimensioni, sono soliti depositare i loro semi vicino alla pianta di origine, nonostante siano comunque in grado di disperdere i loro semi anche più lontano. Tra i mammiferi frugivori più importanti nel mantenimento del fine equilibrio dell’ecosistema troviamo anche i pipistrelli. Dal momento che il termine tecnico per indicare la dispersione dei frutti da parte degli animali è endozoocoria, dal greco “spostamento con gli animali”, in riferimento all’abitudine dei pipistrelli di spostare i semi diremo chirotterocoria, vale a dire “spostamento per mezzo di animali con ali”.
Ad esempio, il principale disseminatore su lunga distanza dei semi di almendro. Una pianta arborea nativa del Centro America, è il grande artibeo (Artibeus lituratus ); con un’apertura alare di 45 centimetri, l’animale ha ali abbastanza forti da riuscire a trasportare i semi fino a 800 metri di distanza o più. Appeso a testa in giù, in un luogo sicuro e distante dalla pianta alla quale ha sottratto il frutto, un pipistrello può staccare la polpa del suo guscio in pochi minuti e far cadere il seme intatto sul terreno circostante, favorendone così la probabilità di germinazione.
Poiché le foreste pluviali stanno scomparendo a velocità sempre più allarmanti, questo comportamento fa ben sperare i ricercatori sulla sopravvivenza dell’almendro e delle molte altre specie che da esso dipendono.
La scomparsa di habitat naturali a causa dell’attività antropica è una delle cause maggiori della perdita di biodiversità; la deforestazione e la frammentazione della foresta pluviale si traducono in un alto grado di disturbo con pesanti ripercussioni nella struttura vegetazionale e non solo.
La dispersione dei semi mediata dal vento e dagli animali è un processo chiave per il mantenimento della struttura e delle dinamiche delle popolazioni animali e vegetali che compongono l’ecosistema, nonché per la tutela degli ambienti a rischio.
Oltretutto è bene ricordare che, nella maggioranza dei casi, la dispersione e la diffusione di molte specie vegetali è quantitativamente dipendente da poche specie chiave animali, e che la tutela di quest’ultime è essenziale per il mantenimento della biodiversità vegetale. Infine, molti dei meccanismi alla base delle relazioni tra animali e piante non sono ancora del tutto chiariti, e vi è perciò auspicabile e necessario un ulteriore approfondimento in tal senso.
Conclusioni
In questo articolo abbiamo approfondito alcuni tra i migliaia di modi differenti escogitati dalle piante, circa un centinaio di milioni di anni fa, per convincere gli animali e non solo a trasportare loro e i loro geni.
Gli innumerevoli esempi proposti ci hanno permesso di guardare alle piante da una nuova ed alquanto affascinante prospettiva: l’immobilità, o, per essere precisi, l’ incapacità di spostarsi, non è stato affatto un limite allo sviluppo ed all’evoluzione degli organismi vegetali, che attraverso numerosi adattamenti ed eccellenti strategie comportamentali, hanno saputo instaurare profonde e complesse relazioni con gli altri esseri viventi.
Ma… non è finita qui! Nel cercare di scoprire il profondo significato che lega le piante al concetto ed al fenomeno della migrazione, non abbiamo ancora presentato l’altro grande protagonista della nostra storia: l’essere umano.
Nel prossimo ed ultimo articolo della serie approfondiremo infatti le dinamiche ed i complessi meccanismi evolutivi che hanno, e continuano tuttora a caratterizzare, le varie sfumature del rapporto uomo, natura e ambiente.
Scopriremo infine quali sono state , e quali potrebbero essere, le future conseguenze dovute alla minaccia ed all’alterazione nella stabilità di questo rapporto, in funzione delle risposte adattative messe in atto da entrambe le parti.
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