Le stelle da sempre ispirano poesie, canzoni e pitture. Il cielo ne è pieno, il mare anche… ma ogni stella deve stare nel suo ambiente naturale. Le stelle marine sono animali bellissimi, eleganti, con colori che vanno dal giallo al rosso, passando per arancione, viola, addirittura blu! Oltre all’affascinante aspetto, bisogna aggiungere che non rappresentano assolutamente un pericolo per l’essere umano, tanto che il prenderle in mano per osservarle meglio è un desiderio che sorge quasi spontaneo. Eppure non tutti sanno che un semplice gesto come può essere il maneggiarle può avere tragici risvolti per loro.
D’altronde ogni estate, foraggiato anche dalla cassa di risonanza dei social, si ripropone sempre lo stesso copione: gente che trova le stelle marine, le porta fuori dall’acqua e le fotografa sostenendo che ciò che non gli crei alcun problema, e, di contro, gente che inveisce asserendo che bastano pochi secondi per farle morire di embolia.
Chi ha ragione? Nessuna delle due categorie, come spesso accade la verità è nel mezzo. Non esiste infatti una regola assoluta circa la possibilità che l’aria atmosferica, penetrando nel complesso sistema acquifero delle stelle marine (struttura comune a tutti gli echinodermi, quindi anche ofiure, oloturie, ricci di mare e crinoidi), possa causare loro una fatale embolia nell’arco di pochi secondi, così come non c’è letteratura scientifica a supporto inoppugnabile di tale assunto. Ci sono infatti specie tipicamente infralitorali o intertidali, che possono essere soggette a brevi emersioni, e specie chiaramente più profonde, meno tolleranti all’ambiente subaereo. Cercare una regola assoluta per tutti gli asteroidei sarebbe un po’ come asserire che tutti i mammiferi resistono in apnea lo stesso periodo di tempo, mettendo nello stesso calderone umani, capodogli e pipistrelli.
Leggendo la testimonianza diretta di una persona che ha lavorato nell’acquario di Port Angeles, nello stato di Washington, risulta chiaro come ci siano specie adattate a sopravvivere per ore fuori dall’acqua, citando l’esempio di Pisaster ochraceus, stella marina tipicamente intertidale diffusa lungo le coste pacifiche, sopravvissuta all’aria per ben 28 ore!
Ciò significa che possiamo tranquillamente prendere le stelle marine e portarle fuori dall’acqua senza alcun rischio per loro? No, assolutamente. Sebbene l’embolia non sia la principale causa di morte, bisogna ricordare che tale (non necessario) comportamento causa loro un forte stress, soprattutto se ad essere portate fuori dall’acqua sono specie rinvenute a diversi metri di profondità.
Ma non solo: il rimuoverle forzatamente dal substrato su cui si trovano può comportare un danneggiamento dei pedicelli ambulacrali, quel sistema di “piccole ventose”, porzione terminale del sistema acquifero. che permette loro il movimento.
È lapalissiano aggiungere che il maneggiarle con scarsa cura può provocare dei danneggiamenti anche a strutture delicate come spine, aculei e pedicellarie.
Esattamente cos’è il sistema acquifero?
Si tratta di una complessa struttura dalle molteplici funzioni formata da numerosi canali, detti appunto canali acquiferi, che le permettono di svolgere le principali funzioni vitali, quali respirare, muoversi e cacciare. Quando questi meravigliosi invertebrati si trovano in mare, l’acqua entra dalla loro parte dorsale (detta anche aborale in quanto simmetricamente opposta alla parte orale, cioè dove è ubicata la bocca) attraverso una rigida piastra cosparsa di fori chiamata piastra madreporica.
L’acqua penetrata nel corpo della stella marina è per loro assolutamente fondamentale: questa viene spinta nei canali interni, a loro volta comunicanti con i pedicelli ambulacrali, sottili e mobili strutture che, come il nome lascia intendere, le permettono di muoversi. Questi pedicelli sono dotati di una ventosa terminale, così che nella forma ricordano tanti piccoli… sturalavandini. Il loro leggiadro movimento è causato proprio dall’acqua che, venendo spinta all’interno e all’esterno dei tubicini, li gonfia o li sgonfia come se fossero dei morbidi palloncini, permettendo così alla stella di attaccarsi o meno sulla superficie su cui si sta muovendo.
Una sola stella marina ne può possedere centinaia, così come i ricci di mare, i loro più comuni “cugini” in quanto appartenenti al medesimo raggruppamento zoologico: il phylum Echinodermata.
Per quanto riguarda l’impatto che l’ambiente subaereo ha su questi organismi, chiaramente è necessario fare un distinguo importante tra le varie specie, considerando la profondità a cui solitamente vivono. Mettere sullo stesso piano specie superficiali e specie di grande profondità è una generalizzazione totalmente errata. Insomma, una regola assoluta riguardo la fantomatica embolia non esiste, ma è chiaro che maneggiare immotivatamente questi animali non è un bene, per cui evitiamo di prenderle, tralasciando però il terrorismo mediatico che ogni anno causa disinformazione sui social.
Il rispetto del Mare e dei suoi incredibili abitanti deve partire dalle nuove generazioni, ma ricordiamoci tutti noi dobbiamo dare il buon esempio.