Se vi venisse chiesto di ipotizzare un animale non ancora noto alla scienza, probabilmente le risposte più immediate coinvolgerebbero una miriade di organismi di piccole dimensioni: forse uno sgargiante coleottero equatoriale, oppure un pipistrello fino ad ora passato inosservato. Eppure, esistono diversi esempi che narrano di una storia ben diversa. È il 15 novembre del 1976 e la nave della Marina Militare americana AFB-14 recupera in acque hawaiane uno strano squalo rimasto agganciato durante la risalita dell’ancora[1].
«Megamouth, un grande squalo di profondità catturato al largo di Kane-ohe e ritenuto appartenente ad una nuova specie, ha delle mandibole da star del cinema. Gli scienziati però sottolineano come la sua dieta lo renderebbero più che innocuo»[2].
Con queste parole venne presentato al mondo lo squalo megamouth (Megachasma pelagios), specie filtratrice ancora adesso raramente avvistata. Grandi sforzi di ricerca hanno però permesso di far luce sulla biologia di questo schivo abitante delle profondità.
Morfologia dello squalo megamouth
Il megamouth è il terzo squalo più grande al mondo, con femmine che raggiungono i 7,10 m di lunghezza e i 1137 kg di peso[1]. Il corpo ricorda nella forma quello di un girino (giriniforme), avendo esso una testa massiccia con rostro corto ed arrotondato[3].
La colorazione è grigio brunastra nel dorso e bianca ventralmente. Molto caratteristiche sono inoltre le scure chiazze mandibolari. La bocca è terminale (a differenza della posizione ventrale che si osserva nella maggior parte degli squali), con apici che si spingono oltre agli occhi. La concentrazione di ampolle di Lorenzini, importanti organi di elettroricezione, è bassa.
Le cinque fessure branchiali sono moderatamente lunghe ma non si estendono sulla parte dorsale dell’animale.
Particolarmente sviluppate sono le lunghe pinne pettorali, al contrario delle corte pinne dorsali. L’elevata mobilità delle prime rende il megamouth, squalo dal nuoto lento, particolarmente agile nei movimenti.
Negli squali, la pinna caudale rappresenta il principale organo locomotorio; la sua analisi permette dunque di comprendere parte della biologia di questi animali. La coda del megamouth, in particolare, è eterocerca, ossia presenta uno dei due lobi (in questo caso quello superiore) maggiormente sviluppato rispetto a quello inferiore[4]. L’angolo compreso fra il piano orizzontale e l’asse del lobo superiore è definito angolo di Cobb: nel megamouth questo angolo è inferiore ai 25°, similmente a quanto osservato per gli squali volpe, lo squalo goblin, lo squalo coccodrillo e gli squali della famiglia Odontaspididae (come lo squalo toro, Carcharias taurus).
Tale condizione sarebbe da considerare primitiva (o plesiomorfa) all’interno di Lamniformes; questo viene confermato anche da una simile morfologia caudale rinvenuta in Palaeocarcharias stromeri, uno squalo del Giurassico probabilmente affine ai più antichi lamniformi.
Distribuzione ed ecologia
Lo squalo megamouth è cosmopolita in acque tropicali e temperate comprese fra i 36° N ed i 34° S di latitudine, Mar Mediterraneo escluso. Il maggior numero di avvistamenti è concentrato a ridosso di Giappone, Filippine e Taiwan, tutte località interessate da forti correnti di acque calde[1].
La specie è oceanodroma, svolgendo migrazioni latitudinali legate al cambio delle temperature e all’abbondanza delle risorse alimentari. Durante la stagione fredda, da gennaio a marzo, gli esemplari dell’emisfero boreale stazionano principalmente a latitudini minori di 13° N. L’aumento delle temperature superficiali si accompagna invece a spostamenti verso le fasce più settentrionali del loro areale. Gli eventi migratori determinano la connettività fra le diverse popolazioni; a riprova di ciò vi è la condivisione negli esemplari del Pacifico della medesima variabilità genetica (od aplotipo)[1].
L’ecologia riproduttiva dello squalo megamouth è ancora avvolta dal mistero. Le ovarie, simili a quelle osservate in squali alopidi e lamnidi, farebbero supporre un’alimentazione oofaga per gli embrioni, che andrebbero in altre parole a nutrirsi delle uova non fecondate nell’utero. La fonte di nutrimento potrebbe però cambiare durante la gestazione, similmente a quanto osservato per lo squalo bianco. La maturità sessuale viene raggiunta in media con dimensioni di 5 m per le femmine e 4 m circa per i maschi[1].
Dieta dello squalo megamouth
Il megamouth è una specie filtratrice, la cui dieta consiste di krill (crostacei eufasiacei), copepodi e zooplankton gelatinoso (meduse e simili).
In mancanza di osservazioni dirette, la tecnica di caccia è ipotizzata analizzando la morfologia delle componenti craniche. Lo squalo nuoterebbe con la bocca aperta all’interno dei banchi di prede, un metodo definito ram feeding adottato anche dallo squalo elefante (Cetorhinus maximus) e basato marginalmente sull’elettroricezione[1].
Comunemente ad altri consumatori di zooplankton, il megamouth compie spostamenti giornalieri verso la superficie durante la notte, tornando poi a profondità maggiori durante le ore di luce: questi movimenti ciclici sono definiti migrazioni batimetriche nictemerali e permettono allo squalo di seguire gli organismi di cui si nutre.
L’apparato filtratore è composto dall’insieme dei setti branchiali. Il sottile ma resistente strato di dentelli placoidi, simili a quelli presenti sulla pelle dell’animale, protegge i setti dall’impatto con le prede[5].
Megamouth e bioluminescenza
Fra il corto rostro e la mascella, il megamouth presenta un’insolita banda di pelle la cui colorazione biancastra suggerirebbe una sua particolare funzionalità. Gli studi svolti sul primo esemplare rinvenuto ipotizzavano la presenza in quest’area di speciali organi bioluminescenti, chiamati fotofori. Questi sono formati da fotociti, ossia cellule in grado di emettere luminescenza grazie alla presenza di batteri simbionti o al manifestarsi di specifiche reazioni chimiche.
La bioluminescenza viene descritta come l’emissione di luce visibile negli organismi e si osserva già negli squali delle famiglie Dalatiidae, Etmopteridae e Somniosidae. Il fenomeno confonde la sagoma dell’animale nell’ambiente circostante, rendendolo meno visibile sia alle prede che ai predatori (fenomeno del countershading). Le prede potrebbero inoltre venir attirate dal segnale luminoso.
Nel megamouth, però, analisi svolte sui tessuti della banda bianca non evidenziano alcuna presenza di fotofori; la struttura è piuttosto rivestita da grossi dentelli fortemente calcificati con spesse basi che formano una copertura continua. Nonostante l’assenza di organi bioluminescenti, la banda ha però proprietà riflettenti per la luce nello spettro del visibile, sia essa ambientale che prodotta da altri organismi[6]. La sua funzionalità sarebbe quindi riconducibile al riconoscimento intraspecifico ed all’attirare le prede, un qualcosa che si ipotizza anche per la macchia boccale nel capodoglio (Physeter macrocephalus).
Note tassonomiche
Lo squalo megamouth è l’unico rappresentante vivente del genere Megachasma, un gruppo di squali che fece la sua comparsa nel tardo Oligocene con Megachasma applegatei[7]. Ad oggi, però, il gruppo rimane ancora semi sconosciut0 a livello fossile, causa soprattutto la rarità dei ritrovamenti. Inoltre, la morfologia dentaria risulta poco variabile e non sempre permette una chiara identificazione delle singole specie.
All’interno dell’ordine Lamniformes, la famiglia Megachasmidae è affine alla famiglia Cetorhinidae (di cui fa parte lo squalo elefante, Cetorhinus maximus), alla famiglia Alopiidae (di cui fanno parte gli squali volpe, genere Alopias) e a quella Lamnidae (di cui fa parte anche il grande squalo bianco, Carcharodon carcharias). La posizione filogenetica dello squalo megamouth può però variare a seconda dei parametri utilizzati nelle ricostruzioni.
Conclusioni
Lo squalo megamouth è stato osservato per la prima volta meno di 50 anni fa: un animale di grandi dimensioni che si è mostrato alla scienza solo di recente. Con poco più di un centinaio di avvistamenti documentati ed uno scarso record fossile, la biologia e l’evoluzione di questa specie sono ancora largamente avvolte dal mistero. Nonostante la IUCN lo ponga nella categoria a rischio minimo[8], la scarsità di informazioni non permette di ricavare una stima esatta sull’abbondanza del megamouth in natura. Futuri studi saranno quindi necessari per una maggiore comprensione di questo squalo e per una sua eventuale preservazione.
Referenze
- Watanabe, Y. Y., & Papastamatiou, Y. P. (2019). Distribution, body size and biology of the megamouth shark Megachasma pelagios. Journal of fish biology, 95(4), 992-998;
- Hawaii.gov: Discovering megamouth;
- FishBase – Megachasma pelagios;
- Kim, S. H., Shimada, K., & Rigsby, C. K. (2013). Anatomy and evolution of heterocercal tail in lamniform sharks. The Anatomical Record, 296(3), 433-442;
- Misty Paig‐Tran, E. W., & Summers, A. P. (2014). Comparison of the structure and composition of the branchial filters in suspension feeding elasmobranchs. The Anatomical Record, 297(4), 701-715;
- Duchatelet, L., et al. (2020). The megamouth shark, Megachasma pelagios, is not a luminous species. PloS one, 15(11), e0242196;
- Spadini, V., & Manganelli, G. (2015). A megachasmid shark tooth (Chondrichthyes, Lamniformes) from the Zanclean (early Pliocene) of San Quirico d’Orcia, central Italy. Bollettino della Società Paleontologica Italiana, 54(1), 68;
- IUCN Red List – Megachasma pelagios.
Immagine di copertina da pikist.com.