Lo scheletro è l’impalcatura interna del corpo umano, la struttura che sostiene il nostro corpo, ne supporta il movimento e garantisce la protezione degli organi interni. Ma proprio quest’impalcatura ossea può diventare una gabbia che costringe all’immobilità e comprime gli stessi organi che dovrebbe proteggere. È questa la sorte dei pazienti affetti da una delle più rare e devastanti malattie genetiche oggi conosciute: la Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (FOP) o sindrome dell’uomo di pietra.
Le persone colpite da questa sindrome vanno incontro a una vera e propria metamorfosi, dovuta alla formazione di tessuto osseo in aree del corpo dove non dovrebbe essere presente. Si stima che nel mondo circa 2500 persone siano affetta da FOP, ovvero una ogni 2 milioni[1].
Harry Raymond Eastlack è stato il caso più tristemente famoso di sindrome dell’uomo di pietra del XX secolo. Eastlack però non viene ricordato solo come “l’uomo di pietra”, ma anche per aver contribuito in maniera significativa alla ricerca su questa malattia.
Harry Raymond Eastlack: l’esordio della FOP
È il 1933 quando Harry Raymond Eastlack viene alla luce a Philadelphia. Si presenta ai genitori come un bambino in ottima salute, fatta eccezione per una malformazione dell’alluce destro. I dottori, però, non vi attribuiscono particolare rilevanza[2]. Harry cresce in salute, trascorrendo un’infanzia attiva e spensierata tra la passione per la musica e quella per il pallone. Ma all’età di 5 anni il corso della vita di Harry cambia per sempre.
In un normale pomeriggio primaverile Harry sta giocando in strada con la sorella Helene, quando un’auto sbanda e lo colpisce. Nonostante lo spavento iniziale, l’incidente si rivela di limitata gravità: Harry riporta la frattura del femore sinistro, che gli viene quindi ingessato costringendolo a una temporanea limitazione della sua movimentata vitalità[2].
Ma in realtà il trauma ha conseguenze molto più gravi per Harry. Conseguenze che, inizialmente silenti, iniziano a manifestarsi una volta rimossa l’ingessatura. La gamba appare, infatti, dolorosamente gonfia, infiammata e Harry scopre di non essere in grado di muovere le anche e le ginocchia. Al pronto soccorso i medici sono insospettiti da sintomi così inusuali per essere dovuti alla sola frattura dell’osso. Harry viene quindi sottoposto a un esame radiologico.
I risultati restituiti dalle lastre sono sconcertanti: il muscolo della coscia del bambino si è parzialmente trasformato in tessuto osseo[2]. Si tratta di una scoperta così assurda da lasciare confusi i dottori, che impiegano un anno per formulare una diagnosi. È infatti nel 1938, l’anno dopo l’incidente, che la famiglia Eastlack sente parlare per la prima volta di miosite ossificante progressiva, oggi nota come fibrodisplasia ossificante progressiva[3].
Storia della FOP
La sindrome dell’uomo di pietra è stata per secoli uno dei più elusivi misteri della medicina, malattia senza nome e senza spiegazione. Condizione rarissima ma sconvolgente nel suo decorso e nella sua gravità, la prima descrizione dettagliata della FOP risale a più di 250 anni fa. In una lettera alla Royal Society of Medicine datata 14 aprile 1736, John Freke riporta il caso di un ragazzo quattordicenne in cerca di una cura per la condizione che gli procurava da più di tre anni un’indicibile sofferenza. Importanti gonfiori gli nascevano da tutte le vertebre del collo e da ogni costola del suo corpo propagandosi in tutte le parti della sua schiena, formando quello che sembrava un corpetto di materiale osseo[2].
Da quel momento in avanti, diversi medici e scienziati hanno contribuito ad accrescere la conoscenza su questa malattia. Alla fine dell’800 Frankel e Helferich individuano uno degli elementi distintivi associati alla FOP, ovvero il monofalangismo e la brachidattilia dell’alluce. Nel 1868 von Dusch attribuisce a questa condizione il nome di miosite ossificante progressiva, ritenendo che la causa della formazione dell’osso in sede eterotopica fosse l’infiammazione muscolare. La malattia venne poi rinominata nel 1972 da McKusick a seguito della scoperta che l’infiammazione coinvolgeva anche i tessuti molli – tendini e legamenti- e solo secondariamente il tessuto muscolare scheletrico[2].
H. R. Eastlack: la progressione della malattia
Nonostante la malattia, H. R. Eastlack visse un’infanzia relativamente felice. Amante del cinema, si racconta che Harry avesse una poltrona riservata al centro della settima fila all’Hamilton Theatre di Philadelphia, seduta che poteva reclinare in modo da potersi sedere comodamente dal momento che non poteva piegare la gamba [2]. La FOP era all’epoca una malattia avvolta nel mistero. Nel tentativo di comprendere e trattare la sua condizione, Harry venne quindi sottoposto a diverse biopsie e a 11 interventi[2]. Questi non solo si rivelarono del tutto inutili ma anche dannosi, in quanto non fecero altro che stimolare la progressione della malattia.
In pochi anni la rigidità corporea si era diffusa dalla gamba alla schiena, al collo e al petto, costringendo Harry a vivere nella sofferenza e a dipendere sempre più dall’assistenza della madre per le attività quotidiane. Già all’età di 15 anni la mascella era permanentemente fusa, impedendogli di mangiare cibi solidi. A 10 anni dalla diagnosi, Harry venne sottoposto a un nuovo esame, che evidenziò l’inesorabile progressione della malattia: il tessuto muscolare, i legamenti e i tendini del suo giovane corpo si stavano trasformando irreversibilmente in tessuto osseo maturo[3].
In pochi anni, H. R. Eastlack si ritrovò immobilizzato e costretto alla posizione seduta, incapace di muovere gli arti, la testa e il bacino. Un secondo scheletro si era formato a partire dai suoi tessuto molli, una gabbia ossea che lo comprimeva in una rigidità priva di via di uscita e che lo avrebbe portato alla morte.
Nel 1958 Harry venne preso in carico da una struttura di assistenza per pazienti incurabili a Philadelphia[3]. Qui trascorse gli ultimi 15 anni della sua vita, se così si può chiamare un’esistenza privata della possibilità di movimento e di parola e caratterizzata esclusivamente dalla sofferenza fisica e psicologica dovuta alla metamorfosi del proprio corpo.
H. R. Eastlack: la morte e la donazione dello scheletro
Harry Raymond Eastlack muore nel 1973, a soli 39 anni, a causa di una polmonite sviluppatasi per l’inattività fisica[2]. Negli ultimi giorni di vita Harry esprime alla sorella il desiderio di donare il suo corpo alla ricerca, in modo che dallo studio del suo scheletro possano essere ricavati indizi utili per progredire nella comprensione di questa terribile malattia. Lo scheletro di H. R. Eastlack è oggi esposto al Mutter Museum di Philadelphia e la città è diventata uno dei più importanti centri di ricerca sulla FOP. Lo scheletro viene inoltre ceduto periodicamente all’Associazione Internazionale FOP per essere usato come riferimento per medici, scienziati e pazienti durante i congressi internazionali[2].
Questa malattia è stata ed è tuttora uno dei più complessi enigmi da risolvere per la medicina, sia per la sua rarità sia per l’impossibilità di eseguire analisi e interventi sui pazienti affetti per non esacerbare la loro condizione. Lo scheletro di H. R. Eastlack si è pertanto rivelato uno strumento fondamentale per la ricerca, ma è soprattutto la prova più diretta e tangibile della terribile degenerazione fisica che affligge i pazienti affetti da FOP. Gli scheletri normali, una volta rimosso il tessuto connettivo che unisce le ossa, collassano in una pila di ossa disarticolate e devono essere riassemblati con filo sottile e colla. Lo scheletro di Harry è invece fuso in un unico pezzo continuo, a causa dei ponti, delle placche e dei nastri di tessuto osseo che si sono formati nelle crisi di ossificazione eterotopica.
Osservando lo scheletro è possibile notare come nastri e lastre di osso ancorino la spina dorsale al cranio e il cranio alla mascella; fasce ossee uniscono la colonna vertebrale agli arti e immobilizzano spalle, gomiti, fianchi e ginocchia, mentre sottili ponti di tessuto osseo saldano le braccia allo sterno e attraversano la gabbia toracica[2].
Come si manifesta la FOP?
La storia di Eastlack è molto rappresentativa del tipico decorso della FOP. La malattia è, infatti, caratterizzata da un processo di ossificazione eterotopica, cioè in zone del corpo dove non dovrebbe essere presene il tessuto osseo[4]. I bambini affetti da sindrome dell’uomo di pietra non manifestano la patologia fin dalla nascita ma, come unico segno evidente, presentano una deformazione congenita dell’alluce[4]. Dall’infanzia, la malattia progredisce per tutta la vita, con un meccanismo che prevede l’infiammazione del tessuto connettivo o muscolare, che poi vengono distrutti e rimpiazzati con tessuto osseo. Questo porta, progressivamente alla fusione delle articolazioni del sistema scheletrico.
I pazienti affetti vivono quindi la straziante formazione di un secondo scheletro, che progressivamente li intrappola in una sorta di gabbia ossea. Il processo di ossificazione anomala può verificarsi improvvisamente, spesso a causa di traumi, lesioni, iniezioni intramuscolari e processi infiammatori scatenati da malattie infettive[1].
Oltre a bloccare la mobilità delle articolazioni, la FOP può causare disturbi del linguaggio e della nutrizione se l’ossificazione riguarda i muscoli della bocca. Inoltre, la crescita di tessuto osseo attorno alla gabbia toracica ne può compromettere la capacità di espansione determinando difficoltà respiratorie. Generalmente l’aspettativa di vita è di circa 40 anni e la morte sopraggiunge per complicazioni dovute a una sindrome da insufficienza toracica[1].
La scoperta del gene responsabile della FOP
Una pietra miliare nella storia della FOP è stata la scoperta nel 2006 del gene responsabile della patologia. Un gruppo internazionale di ricercatori ha infatti individuato, analizzando un insieme di soggetti affetti da FOP, una mutazione ricorrente in eterozigosi nel gene ACVR1[5]. Questo gene codifica per un recettore della proteina dell’osso tipo 1 espresso sulla superficie delle cellule staminali. In particolare questo recettore è responsabile dello sviluppo embrionale del sistema scheletrico e della sua riparazione dopo la nascita.
La mutazione individuata determina nella proteina la sostituzione di un singolo amminoacido nel dominio di attivazione del recettore[5]. Si pensa che questa variazione sia sufficiente per alterare l’attività della proteina, inducendo quindi il processo di ossificazione eterotopica.
La sindrome dell’uomo di pietra ha un modello di ereditarietà autosomico dominante: è sufficiente possedere una singola copia mutata del gene affinché la malattia si manifesti. Nella maggior parte dei casi però i soggetti affetti da FOP non hanno ereditato la copia difettosa del gene dai genitori, ma la mutazione è insorta in modo spontaneo nell’individuo stesso[4].
Prospettive per il trattamento della FOP
Ad oggi la sindrome dell’uomo di pietra non ha ancora una terapia. Ci si limita a un trattamento preventivo per ridurre il rischio di traumi e processi infettivi che innescano le crisi di ossificazione[4]. La scoperta della mutazione responsabile della malattia ha però permesso di sviluppare modelli cellulari e animali della malattia, utili per migliorare la comprensione della patofisiologia e per studiare possibili approcci terapeutici[7]. Oggi sono diversi i farmaci che hanno raggiunto la fase di sperimentazione clinica e negli ultimi anni sono emersi nuovi promettenti approcci terapeutici[6]. Tutte le terapie ad oggi sviluppate hanno come bersaglio proprio i pathway coinvolti nello sviluppo di tessuto osseo.
Sono però ancora molte le domande senza risposta che la ricerca si trova ad affrontare. Una comprensione completa dei meccanismi patofisiologici è quindi essenziale per individuare bersagli terapeutici specifici ed efficaci. Inoltre, come per tutte le malattie rare, anche la conduzione degli studi clinici risulta difficoltosa. Il numero di pazienti arruolabili è estremamente ridotto e non è possibile condurre trial clinici controllati randomizzati[7].
Immagine di copertina: scheletro di Harry Raymond Eastlack. Credits.
Referenze
- Fibrodisplasia Ossificante Progressiva – Orphanet
- F.S.Kaplan – The skeleton in the closet – Gene (2013) 528 (1), 7-11
- Harry Raymond Eastlack – Memento Mutter Museum
- Fibrodisplasia Ossificante Progressiva – Telethon
- Shore, E., Xu, M., Feldman, G. et al. – A recurrent mutation in the BMP type I receptor ACVR1 causes inherited and sporadic fibrodysplasia ossificans progressiva – Nat Genet (2006) 38, 525–527
- Wentworth, Kelly L et al. – Therapeutic advances for blocking heterotopic ossification in fibrodysplasia ossificans progressiva – British journal of clinical pharmacology (2019) 85 (6), 1180-1187
- de Ruiter, Ruben D et al. – Fibrodysplasia Ossificans Progressiva: What Have We Achieved and Where Are We Now? Follow-up to the 2015 Lorentz Workshop – Frontiers in endocrinology (2021) 12