Gli sfecidi (Sphecidae) sono una famiglia di imenotteri comunemente noti come vespe scavatrici, a causa della loro abitudine di scavare i nidi nel terreno. Essi sono predatori che paralizzano altri insetti per poterli immagazzinare all’interno dei nidi, dove fungeranno da nutrimento per le larve. Le femmine di alcune delle specie più grandi e vistose di sfecidi, come ad esempio Sphex funerarius, cacciano addirittura grosse cavallette, paralizzandole con delle punture e seppellendole in una buca di 10-12 cm scavata da loro nel terreno.
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Caratteristiche generali degli sfecidi
Le vespe appartenenti alla famiglia Sphecidae sono dette comunemente vespe scavatrici o vespe della sabbia perché scavano i loro nidi in zone sabbiose. La famiglia comprende più di 130 specie conosciute.
Gli sfecidi sono vespe che possono variare da pochi millimetri di lunghezza ai circa 3-4 cm per le specie più grandi. Sono generalmente nere, nere e rosse o nere e gialle, a volte coperte da una leggere peluria. Hanno un volo veloce e prediligono luoghi assolati, caldi e asciutti.
Gli adulti succhiano nettare dai fiori, ma le larve delle varie specie sono carnivore. Le femmine adulte ricorrono quindi a vari stratagemmi per far sì che quando la larva esca dall’uovo possa trovare un cibo adatto.
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La caccia degli sfecidi
Come già accennato, gli sfecidi adulti si nutrono di nettare, polline e succhi vegetali ad elevato contenuto zuccherino. Le larve, al contrario, sono carnivore e le femmine cacceranno per loro una o più prede, generalmente insetti (ma molte specie possono predare anche ragni). Uno sfecide può poi essere specializzato nella caccia ad insetti appartenenti ad uno stesso gruppo. Gli insetti predati sono piuttosto vari e comprendono principalmente afidi, mosche, coleotteri e ortotteri[1].
Durante la caccia, uno sfecide assale e blocca la preda in modo tale che questa non possa fargli del male. Tenendola immobile, la vespa incurva l’addome e immerge il suo stiletto avvelenato. La vittima si paralizza totalmente, ma la vita vegetativa degli organi di nutrizione continua e preserva il corpo dalla decomposizione. Per produrre questo stato di paralisi, gli sfecidi effettuano con il loro pungiglione una lesione dei centri nervosi che animano gli organi locomotori[2].
Uno sfecide di ritorno dalla caccia sostiene tra le mandibole l’insetto, molto spesso più pesante di lui. Trasportato l’insetto a destinazione, la vespa lo abbandona momentaneamente all’entrata del nido per discendere una prima volta infondo al sotterraneo. Pochi secondi dopo, la vespa ricompare, afferra l’insetto e lo trascina in fondo al nido. Lo sfecide, infatti, prima di scendere con la preda, giudica prudente dare un’occhiata in fondo alla dimora per assicurarsi che tutto sia in ordine e scacciare all’occorrenza un qualche parassita introdottosi in sua assenza. Molti ditteri, infatti, soprattutto tachinidi, vegliano sulle soglie dei nidi di tutti gli imenotteri cacciatori, spiando il momento favorevole per deporre le loro uova sulla preda altrui[2].
Nido pedotrofico
Gli sfecidi hanno sviluppato il sistema di deporre l’uovo in un nido chiuso, insieme ad una certa quantità di cibo. Il nido, detto quindi nido pedotrofico, è costruito in luoghi sabbiosi, facili da scavare e ben soleggiati.
Il nido è suddiviso al suo interno in un certo numero di celle, da una a più di una a seconda delle dimensioni delle prede: se sono di grandi dimensioni verranno posizionate singolarmente in ciascuna celletta; al contrario, se saranno prede più piccole una celletta verrà riempita con molte più prede[1]. Le pareti delle celle non sono intonacate da alcun cemento particolare; tuttavia, malgrado la loro nudità, si vede che sono state oggetto di un lavoro accurato, poiché la sabbia è ammucchiata e livellata con cura per evitare gli smottamenti e le scabrosità che potrebbero ferire la cuticola delicata della larva[2].
Dopo la caccia, un uovo viene deposto in ciascuna celletta, l’ingresso viene sigillato e l’adulto di solito abbandona per sempre il nido.
Larva
L’uovo degli sfecidi non viene deposto a caso nel nido, ma viene collocato in una posizione privilegiata e invariabile che determina la sopravvivenza della larva. La preda, infatti, è immobile, ma alcuni punti del suo corpo sono ancora sensibili: la larva, mordendo, potrebbe stimolare nella preda la produzione di un qualche fremito cutaneo sufficiente ad allontanarla o a farla cadere; debole e priva di mezzi di locomozione, la larva non riuscirebbe più a muoversi e morirebbe.
Si spiega così il perché l’uovo venga deposto in un punto invariabile, in prossimità delle ferite inferte dall’aculeo, zona ormai completamente insensibile. Da qui la preda può essere aggredita con facilità e in pochi giorni non ne rimarrà che l’involucro tegumentale[2].
Lo sfecide Sphex funerarius
Per conoscere meglio la biologia degli sfecidi, prenderemo come esempio una tra le vespe della sabbia diffusa nelle zone meridionali e centrali dell’Europa, Italia compresa. Sphex funerarius (immagine di copertina) è una vespa scavatrice specializzata nel predare insetti appartenenti all’ordine degli ortotteri. Può raggiungere una lunghezza di 15-23 mm, è nera con una larga fascia rosso-arancione sulla parte anteriore dell’addome; le ali sono giallastre.
Sphex funerarius, verso la fine del mese di luglio, rompe il bozzolo che l’ha fino ad allora protetto e vola fuori dalla sua cella sotterranea. Fin dai primi giorni di settembre, comincia l’attività di scavatore e cacciatore. Ad ogni nido corrispondono tre celle, raramente due o quattro. Le uova deposte sono una trentina e i nidi necessari ad accoglierle saranno quindi 10. I lavori vengono ultimati prima della fine di settembre.
Appena scavato il nido, la vespa comincia la caccia. Sphex funerarius caccia grosse cavallette, che paralizza iniettando il veleno una prima volta nel pronoto, una seconda volta nell’articolazione dei due primi segmenti toracici, una terza ed ultima volta in prossimità dell’addome. Gli ortotteri possiedono, infatti, tre centri nervosi nettamente separati l’uno dall’altro e lo Sphex sa che, per paralizzare completamente la vittima, deve infliggere esattamente tre colpi.
Una volta trasportata la vittima nel nido, la vespa depone l’uovo sul torace, in prossimità delle ferite inferte dal pungiglione. L’uovo dello Sphex è bianco, allungato e cilindrico, lungo 3-4 mm. La schiusa dell’uovo si verifica dopo 3 o 4 giorni dalla deposizione. La larva si nutrirà di ortotteri per 10-12 giorni fino a raggiungere i 25-30 mm di lunghezza. Divorato l’ultimo grillo, la larva si occuperà della tessitura del bozzolo, che completerà in meno di 48h. Dopo 9 mesi nello stadio di pupa, l’insetto lacera il bozzolo e si apre un passaggio attraverso la sabbia. Avrà 2 mesi da vivere[2].
Conclusioni
La famiglia degli sfecidi è un gruppo ampio e diversificato di vespe solitarie, la maggior parte delle quali non rappresentano una minaccia per l’uomo. Le possiamo osservare nelle vicinanze di fonti d’acqua mentre fanno viaggi avanti e indietro trasportando fango per costruire i loro nidi. Sarà difficile indurre queste vespe a pungere l’uomo durante questi voli. Quando si verifica una puntura, di solito è perché la vespa è stata intrappolata all’interno di un indumento o è stata calpestata[1].
La maggior curiosità legata a questa famiglia è rappresentata dal fatto che, nonostante siano per lo più vespe solitarie, non mancano specie che si prendono maggiormente cura della loro prole. Queste procurano alle larve una sola preda iniziale ma poi ritornano di tanto in tanto a rifornirle con cibo fresco. Questo approvvigionamento continuo rappresenta un importante stadio verso l’evoluzione, per gli imenotteri, del comportamento sociale, nell’ambito del quale si stabiliscono tutti i legami importanti tra genitori e prole[1].
Referenze
- Chinery M. (2010). Guida degli insetti d’Europa. Atlante illustrato a colori, Franco Muzzio Editore;
- Jean-Henry Fabre (1879 – 1907). Ricordi di un entomologo. Studi sull’istinto e i coDnsumi degli insetti, Giulio Einaudi Eitore, 1972.
Immagine di copertina di: alchetron.com