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Servizi ecosistemici

Cosa sono, quanto valgono e da chi provengono

Negli ultimi anni del Novecento, è nata l’economia ecologica che tenta di interfacciare due discipline, l’economia e l’ecologia, che spesso hanno seguito percorsi diversi e contrastanti soprattutto a causa del pregiudizio che la tutela ambientale sia da ostacolo al progresso economico. All’interno di tale contesto, i servizi ecosistemici ricoprono un ruolo di spicco: la biodiversità e gli ecosistemi assumono una valenza anche economica e offrono servizi naturali che danno benefici all’uomo e alle sue attività.

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Cosa sono i servizi ecosistemici?

I servizi ecosistemici rappresentano, in generale, un insieme di processi e funzioni ecosistemiche che offrono vantaggi al benessere dell’uomo.

Un ruolo fondamentale nel consolidamento della cultura della valorizzazione dei servizi offerti dagli ecosistemi per il nostro benessere è stato svolto dal progetto Millennium Ecosystem Assessment (MA, 2005). Tale progetto fu condotto con lo scopo di analizzare, grazie a basi scientifiche multidisciplinari, l’evoluzione degli ecosistemi terrestri soggetti alle attività antropiche, i relativi impatti sulle condizioni di benessere dell’uomo e l’identificazione di strategie di intervento per uno sviluppo sostenibile.

Secondo quanto riportato dal MA (fig. 1), i servizi ecosistemici possono essere suddivisi in quattro categorie principali:

  • servizi di supporto, come la formazione del suolo, il ciclo dei nutrienti e la fotosintesi;
  • servizi di approvviggionamento, ossia quei servizi che forniscono risorse nutritive e di altro genere, come cibo ed acqua;
  • servizi di regolazione, come la regolazione del clima, delle precipitazioni, dei rifiuti, l’impollinazione e i rapporti preda-predatore;
  • servizi di valore culturale, ossia quei servizi che offrono valore estetico, religioso e culturale all’ambiente.
Fig.1 Classificazione dei servizi ecosistemici secondo il Millenium Ecosystem Assessment (MA, 2005)

Invece, la relazione con il benessere dell’uomo viene valutata a livello di sicurezza, salute, materie prime e relazioni sociali (fig. 2). Tale visione tende a rivedere ed ampliare il concetto di conservazione, sia nei contenuti che in senso territoriale: il concetto di conservazione viene ancorato a benefici indiretti e diretti di carattere socio-economico da conservare e soprattutto da riqualificare.

Fig. 2 Relazione tra servizi ecosistemici e benessere umano

Quanto valgono i servizi ecosistemici?

Nell’economia dell’ambiente non vige la regola della domanda e dell’offerta ma quella dell’uso e del non uso. Se il servizio non viene utilizzato avrà un valore economico garantito dalla sua esistenza (valore d’esistenza). Se invece il servizio è consumato, il suo valore dipenderà dalla modalità d’uso: diretto (in dipendenza dall’uso o dal non uso), indiretto (indipendente dal consumo diretto), d’opzione (in base al lascito, ovvero al valore dipendente dall’ereditarietà di quel servizio).

La valutazione può essere calcolata nei seguenti modi:

  • diretto, attraverso il consumo del servizio ecosistemico;
  • indiretto, attraverso procedure che permettono di calcolare alcune procedure come i costi evitati, di sostituzione, i fattori di reddito, le spese di viaggio e il prezzo edonico;
  • contingente, in base alla volontà della popolazione di pagare per mantenere il servizio (willingness to pay) o la volontà di pagare se quel servizio venisse a mancare (willingness to accept)
  • di gruppo, in base a sondaggi effettuati per “gruppi” sociali.

Da chi provengono i servizi ecosistemici?

Fino ad adesso ci si è soffermati sui fruitori dei servizi naturali, ma non sui produttori. Tali servizi vengono offerti nel momento in cui è possibile un’interazione tra organismi (comparto biotico) e ambiente (comparto abiotico) e, dunque, quando si assiste alla nascita di processi e funzioni ecosistemiche. La biodiversità, quindi, gioca un ruolo fondamentale nell’instaurazione di queste complesse e complicate interazioni: è facilmente intuibile come una minaccia sulla biodiversità possa comportare una minaccia sull’intero ecosistema e di conseguenza sui servizi che esso può offrire.

Le attività antropiche, come il cambiamento nell’uso del suolo (per esempio l’agricoltura intensiva e l’urbanizzazione), lo sfruttamento incontrollato, l’inquinamento, i cambiamenti climatici e la presenza di specie aliene che competono con la flora e la fauna autoctona minano l’integrità strutturale e funzionale degli ecosistemi attraverso la perdita della biodiversità. Infatti, studi condotti a partire dal 1997, grazie a Robert Costanza ed altri, hanno mostrato che: l’11% delle aree naturali presenti sulla Terra nel 2000 potrebbe andare perso entro il 2050; circa il 40% dei terreni agricoli esistenti rischia di essere trasformato in terreni destinati all’agricoltura intensiva; il 60% della barriera corallina potrebbe scomparire entro il 2030; in Europa, l’80% degli habitat protetti è a rischio.

Perché tutelare la biodiversità?

Risulta evidente come azioni che tutelino la biodiversità abbiano un  riscontro sia in termini conservazionistici che in termini economici e finanziari. Indicare il valore monetario dei servizi ecosistemici non è scontato, soprattutto in quegli ecosistemi dove c’è maggior biodiversità. Per tale motivo, i Ministri dell’Ambiente delle principali economie mondiali, riunitisi in occasione del vertice di Potsdam (Germania) nel 2007, hanno concordato sul bisogno di promuovere uno studio globale sui benefici economici della diversità biologica con lo scopo di mettere a confronto i costi dell’eventuale perdita di biodiversità con quelli di misure conservative efficaci.

Lo studio emerso, intitolato The Economics of Ecosystems and Biodiversity, o TEEB (ovvero “Economia degli ecosistemi e della biodiversità”), è stato un’iniziativa della Commissione Europea e della Germania insieme a numerosi partner. I risultati ottenuti hanno rappresentato un primo tentativo di produrre un quadro quantitativo globale e ha stimato che il costo in termini di perdita della sola biodiversità terrestre entro il 2050 sarà pari a circa il 7% del PIL mondiale.

A seguito di questo preoccupante quadro, l’Unione Europea ha portato avanti un piano d’azione per la biodiversità, promuovendo anche a livello internazionale una miglior governance e rafforzando le regole che aiutino a salvaguardare gli ecosistemi. Punto cardine della politica UE sulla biodiversità è l’istituzione della Rete Natura 2000, che interessa oltre 25.000 siti per la conservazione degli ecosistemi. La rete, oltre che agire a livello di conservazione della natura, apporta enormi benefici socio-economici e beni e servizi ecosistemici, quali, ad esempio, il controllo delle inondazioni, la decontaminazione delle acque, l’impollinazione e il riciclaggio dei nutrienti organici.

Leggi anche CBD, la Convenzione sulla Diversità Biologica

Conclusioni

In quest’ottica, la non salvaguardia dei sistemi naturali comporterà che i beni e i servizi dipendenti da essi diventeranno sempre più rari e richiesti: basti pensare che servizi quali l’approvvigionamento idrico o le colture di piante fondamentali per la nostra alimentazione di base, ad oggi, non vengono pagati per l’effettivo valore ma questo potrebbe non essere per sempre così. Dunque, si dimostrano sempre più necessarie politiche che mirino a ricerche e sviluppi nell’approfondimento della conoscenza sui legami fra biodiversità, ecosistemi e benessere umano, cercando di coniugare sforzi sia in campo scientifico che politico.

Bibliografia e sitografia

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