Le barriere coralline (coral reefs in inglese) sono famose per essere tra gli ecosistemi marini più ricchi di specie e più complessi, al pari delle foreste pluviali tropicali sulla terraferma. Accanto alla straordinaria biodiversità, tra le infinite varietà di forme e colori, le barriere coralline sono però talvolta caratterizzate anche da elevati livelli di degrado, direttamente o indirettamente riconducibile alle attività antropiche. Lo sbiancamento dei coralli (coral bleaching in inglese) è in particolare uno dei fenomeni che più ha suscitato scalpore tra i media e nella popolazione in generale, soprattutto in seguito al massiccio evento registrato nel 2016 nella Grande Barriera Corallina australiana, tanto cara al pesciolino Nemo.
Ma cosa sono i coralli? E soprattutto in cosa consiste il loro sbiancamento? Analizziamo insieme questo preoccupante e triste fenomeno per capirne cause e conseguenze.
Una simbiosi inaspettata
I coralli, o sclerattinie o madrepore, sono degli animali parenti delle meduse e appartenenti al grande gruppo (o phylum) degli Cnidaria.
Leggi anche: Meduse e coralli: il ciclo biologico
I coralli, a seconda delle specie, possono essere organismi solitari oppure vivere in colonie di individui tutti geneticamente identici tra loro (Fig. 1). A prescindere dal loro stile di vita, comunque, i singoli individui di coralli vengono chiamati polipi (esatto, quelli che creano confusione con i polpi) e presentano un corpo cilindrico sormontato da una corona di tentacoli. Ogni polipo, in genere, costruisce sotto di sé uno scheletro di sostegno di carbonato di calcio che, se si unisce allo scheletro di tanti altri individui, può andare a formare delle vere e proprie barriere sommerse.
Leggi anche: Ecologia della scogliera corallina
I coralli si nutrono di solito delle particelle di cibo in sospensione nell’acqua, le quali però scarseggiano nelle calde acque tropicali: sembrerebbe allora un paradosso osservare le barriere coralline più maestose proprio intorno all’Equatore, dove i coralli non riuscirebbero ad ottenere il nutrimento necessario per sopravvivere e accrescersi così tanto. Dove trovano quindi l’energia?
In questi mari, i coralli hanno un segreto nascosto, frutto di milioni di anni di evoluzione: ospitano all’interno delle loro cellule degli organismi unicellulari con i quali hanno sviluppato uno stretto rapporto, che avvantaggia tanto i coralli quanto questi insoliti ospiti.
Questa simbiosi coinvolge in particolare il protista del genere Symbiodinium (phylum Dinoflagellata), un microrganismo in grado di effettuare la fotosintesi, la stessa che tutti conosciamo nelle piante. L’arcano può allora essere svelato: i coralli sono in grado di sopravvivere nelle acque tropicali in quanto utilizzano le sostanze nutritive prodotte fotosinteticamente dalle cellule di Symbiodinium (chiamate zooxantelle)[1]; il protista, dal canto suo, trova rifugio all’interno delle cellule dei polipi e utilizza i prodotti di scarto del metabolismo animale (ad esempio azoto, fosforo e zolfo) per alimentare il proprio metabolismo[1].
In cosa consiste lo sbiancamento dei coralli?
Lo sbiancamento dei coralli consiste nella rottura della simbiosi tra i polipi e le zooxantelle (le cellule di Symbiodinium), le quali vengono espulse dai tessuti dell’animale. Nonostante i numerosi studi in merito, il processo non è ancora stato caratterizzato né fisiologicamente né dal punto di vista molecolare[1]: non è dunque chiaro se sia il polipo ad espellere il protista dalle sue cellule o il protista a lasciare attivamente le cellule dell’animale.
In ogni caso, sembra che lo sbiancamento possa essere in una qualche misura legato ad un danneggiamento dell’apparato fotosintetico di Symbiodinium (al livello forse del fotosistema II), all’accumulo di molecole ossidanti (ad esempio di specie reattive dell’ossigeno) e a processi di induzione della morte cellulare (apoptosi)[1].
A prescindere dal meccanismo, la rottura della simbiosi si manifesta comunque con la perdita di pigmentazione dei coralli (da cui appunto sbiancamento). Il colore dei coralli è infatti dovuto, nella maggior parte dei casi, proprio ai pigmenti fotosintetici presenti nelle cellule di Symbiodinium, in quanto i tessuti dell’animale presentano una colorazione molto tenue, quasi trasparente. Una volta che le zooxantelle hanno lasciato l’animale, dunque, i polipi non possono che lasciar trasparire il bianco candido del loro scheletro sottostante e il pallore delle loro cellule.
Cause dello sbiancamento dei coralli
Sebbene sia noto che numerose perturbazioni ambientali possano causare l’espulsione delle zooxantelle dalle cellule dei polipi, attualmente si ritiene che la principale causa degli eventi massivi di sbiancamento dei coralli sia il cambiamento climatico. Temperature dell’acqua per lunghi periodi superiori di qualche grado rispetto alla media sono in particolare considerate la principale causa della rottura della simbiosi tra polipo e Symbiodinium[2].
Lo sbiancamento si verifica insomma quando le elevate temperature e/o l’elevato irraggiamento solare interessano una popolazione di coralli per lunghi periodi di tempo: considerando le proiezioni climatiche per i prossimi anni, è allora lecito ritenere che gli eventi di sbiancamento di massa dei coralli saranno sempre più frequenti nella maggior parte delle barriere coralline del globo[2].
Leggi anche: Che cos’è l’acidificazione degli oceani?
Conseguenze dello sbiancamento dei coralli
Conseguenze sui coralli
L’effetto principale e più immediato dello sbiancamento dei coralli è sicuramente una drastica riduzione dei nutrienti per i polipi. Un polipo sbiancato non può più infatti contare sul nutrimento prodotto dalle zooxantelle e deve pertanto necessariamente contare solo sulle particelle di cibo in sospensione nell’acqua. Considerando però che le calde acque tropicali sono carenti dal punto di vista nutritivo, è evidente che il corallo risentirà negativamente dello sbiancamento, fino addirittura a morire di fame se la condizione permane per lungo tempo.
Il corallo sbiancato andrà di conseguenza incontro ad una compromissione della crescita, sia al livello tissutale che nella deposizione di carbonato di calcio[3]. Rispetto alla condizione in simbiosi, non a caso, i tessuti dei polipi sbiancati mostrano una riduzione dello spessore e una minor concentrazione di grassi, proteine e carboidrati[3].
Tra gli effetti precoci dello sbiancamento si registra anche un aumento dell’incidenza delle patologie a carico dei polipi[1, 3], parallelamente ad una diminuzione generale della loro salute.
La mortalità delle colonie in seguito a sbiancamento risulta largamente variabile a seconda delle zone e delle specie di corallo interessate. Le colonie più grandi sembrano ad esempio più soggette a sbiancamenti parziali e quindi ad un decadimento localizzato, mentre colonie di dimensioni ridotte possono addirittura decadere completamente, con la morte di tutti i polipi presenti[3].
Conseguenze seull’ecosistema
Oltre ad interessare direttamente i processi biologici dei polipi, lo sbiancamento dei coralli si ripercuote anche sulle altre componenti degli ecosistemi di barriera.
Durante le primissime fasi successive allo sbiancamento si è ad esempio registrato un aumento della mortalità delle specie animali che vivono direttamente a contatto con le colonie di coralli (la cosiddetta epifauna corallina): questo fenomeno sembra interessare maggiormente alcuni crostacei (soprattutto granchi, ma anche copepodi e cirripedi), i quali si nutrono del materiale organico e dei microorganismi presenti sulla superficie dei polipi.
Lo stesso aumento di mortalità, ma in momenti più tardivi, è stato poi registrato anche nei pesci che si nutrono di coralli (pesci corallivori), come quelli appartenenti alle famiglie Gobiidae (ad esempio i ghiozzi), Pomacentridae (ad esempio le castagnole) e Chaetodontidae (ad esempio pesci angelo e pesci farfalla).
D’altro canto, però, la morte dei polipi sembra favorire il proliferare di gasteropodi predatori (ad esempio del genere Drupella), i quali si aggregano attorno alle colonie danneggiate nutrendosi dei tessuti e dei detriti cellulari emessi[3].
Infine, ma non meno importante, lo sbiancamento dei coralli ha conseguenze anche sulle nostre società. Basti pensare, infatti, alle innumerevoli attività umane collegate alle barriere coralline o che si basano semplicemente sulla loro esistenza. Turismo, pesca e attività culturali soffrirebbero infatti pesantemente della scomparsa o anche della semplice riduzione delle barriere coralline, mandando in crisi intere comunità di lavoratori.
Sbiancamento dei coralli nel tempo
L’interesse della comunità scientifica verso lo sbiancamento dei coralli iniziò nel 1984, quando il biologo marino Peter W. Glynn osservò per la prima volta un massiccio evento di sbiancamento tra i coralli dell’Oceano Pacifico[4], a cui fecero seguito negli anni altri eventi di sbiancamento anche nell’Oceano Indiano e nel Mar dei Caraibi, coinvolgendo di fatto le barriere coralline di tutto il mondo.
L’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica si è tuttavia affacciata al problema solo dal 2005, in occasione del più grande evento di sbiancamento del Mar dei Caraibi orientale; ancor più noto, sebbene di portata inferiore, è lo sbiancamento della Grande Barriera australiana del 2016. Le zone caraibiche e australiane sono di fatto quelle maggiormente colpite dallo sbiancamento, con circa 20 000 km2 di superficie interessata nel periodo 1985-2010; seguono le barriere del sud est asiatico e dell’Oceano Indiano occidentale, rispettivamente con 8 000 e 6 000 km2 di superficie soggetta a sbiancamento[2]. Va notato che le stime si fermano a 10 anni fa!
Conclusioni e possibili soluzioni
Lo sbiancamento dei coralli rappresenta probabilmente la più grande minaccia alla biodiversità delle barriere coralline e, per estensione, anche a tutte le attività antropiche ad esse collegate (come turismo, pesca e attività culturali). Nonostante la rilevanza ecologica e sociale del fenomeno e i numerosi studi dedicati, ad oggi non si conoscono ancora i meccanismi biologici che lo determinano.
Le possibilità di sviluppare metodi di prevenzione efficaci e applicabili su larga scala sono pertanto scarse, sebbene esistano già dei tentativi di mitigare gli effetti del cambiamento climatico e dello sbiancamento. Ad esempio, in alcune comunità di barriera, viene applicata la cosiddetta ombreggiatura dei coralli (coral shading), in cui i polipi vengono ombreggiati artificialmente con dei teli galleggianti. Anche la nutrizione artificiale dei polipi e le coral nurseries (ossia dei veri e propri allevamenti di coralli) sono stati utilizzati per mitigare lo sbiancamento[3].
L’unica possibilità veramente efficacie di salvare gli ecosistemi di barriera è però quella di contenere (o addirittura ridurre) il futuro innalzamento delle temperature medie.
Referenze
- Casado-Amezúa, P., et al. (2016). General ecological aspects of Anthozoan-Symbiodinium interactions in the Mediterranean Sea. In The Cnidaria, Past, Present and Future (pp. 375-386). Springer, Cham;
- Donner, S. D., Rickbeil, G. J., & Heron, S. F. (2017). A new, high-resolution global mass coral bleaching database. PLoS One, 12(4), e0175490;
- Baker, A. C., Glynn, P. W., & Riegl, B. (2008). Climate change and coral reef bleaching: An ecological assessment of long-term impacts, recovery trends and future outlook. Estuarine, coastal and shelf science, 80(4), 435-471;
- Brown, B. E. (1997). Coral bleaching: causes and consequences. Coral reefs, 16(1), S129-S138.