La salinizzazione del suolo consiste nell’accumulo di eccessive quantità di sali solubili, al livello appunto del suolo, con conseguente compromissione della sua produttività biologica e della sua funzionalità in generale[1].
Il suolo è di per sé un sistema molto complesso, dinamico e in continua evoluzione con le altre componenti ambientali; si tratta di una matrice composta essenzialmente da quattro frazioni: una frazione minerale, una organica, una liquida e una gassosa[3]. È una risorsa molto sensibile ai cambiamenti climatici e alle attività dell’uomo e non può essere considerata assolutamente come rinnovabile. La sua velocità di degradazione infatti è potenzialmente molto rapida, mentre i processi di formazione sono lenti e complessi. La salinizzazione rappresenta dunque, in questo contesto, una delle principali minacce alla funzionalità del suolo e a tutte le componenti ambientali ad esso connesse.
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Cause della salinizzazione del suolo
Tutti gli esperti in materia ambientale sono d’accordo sul riconoscere al suolo una serie di importanti funzioni vitali. Si tratta infatti di una risorsa produttiva, dato che tutta la vegetazione trae da esso acqua e nutrimento. Ha inoltre i compiti di regolare il ciclo idrologico, operare come filtro biologico in grado di trattenere le sostanze inquinanti e rappresenta un’importante riserva di biodiversità.
Per quanto riguarda i benefici diretti che il suolo apporta all’uomo, deve essere assolutamente ricordata la sua capacità di condizionare la temperatura della superficie terrestre e di consentire l’estrazione di materie prime quali argilla, sabbia e ghiaia, fondamentali per le attività di costruzione ed espansione degli insediamenti umani[2].
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Salinizzazione naturale
Tutti i suoli, per loro natura, contengono una miscela di sali più o meno solubili in acqua. Alcuni di essi sono essenziali per lo sviluppo vegetale, mentre altri possono apportare danni di tipo biologico.
L’origine dei sali è strettamente correlata con l’alterazione da parte degli agenti atmosferici delle cosiddette rocce magmatiche (o ignee), presenti nella porzione esterna più rigida del Pianeta, la litosfera. Queste alterazioni hanno portato, nei secoli, alla deposizione di enormi quantità di sali all’interno delle rocce sedimentarie, nelle acque interne e marine, ma anche negli oceani. Si sono così formati dei veri e propri giacimenti a partire dai quali, seguendo varie vie, i sali raggiungono gli ambienti costieri interni[2]. Qui, se le condizioni climatiche comportano eccessive evaporazioni di acqua, possono formarsi dei veri e propri accumuli di sale all’interno del suolo, detti orizzonti o croste saline. È quindi scontato che questo fenomeno sia più accentuato in zone aride, dove le precipitazioni scarseggiano.
Salinizzazione antropica
Negli ultimi anni, l’accentuazione del cambiamento climatico non ha fatto altro che peggiorare la situazione, implementando la formazione di orizzonti salini anche in aree terrestri interne e dando non poco filo da torcere a coloro che lavorano a stretto contatto con la terra, gli agricoltori. Questi ultimi però, a volte, sono i principali responsabili di questo fenomeno e in questo caso si parla di salinizzazione antropica o secondaria[1].
Pratiche agricole inesatte e poco sostenibili, uso di acque irrigue ricche di sali, eccessivo impiego di fertilizzanti e anticrittogamici, eccessivo sfruttamento delle falde acquifere, sono tutti fenomeni che possono portare alla salinizzazione secondaria.
Generalmente, il semplice cambio di coltura da vegetazione spontanea a coltura agraria apporta dei danni al suolo in termini di salinizzazione, in quanto, di solito, le piante coltivate hanno apparati radicali molto meno profondi e poco sviluppati. Questo determina un progressivo innalzamento della falda idrica e la solubilizzazione dei sali presenti nel sottosuolo, i quali risalgono insieme all’acqua fino ad interessare lo strato occupato dalle radici delle coltivazioni. In seguito a questo processo, la suzione idrica delle radici e il fenomeno di evapotraspirazione classico delle piante portano a un accumulo di sali in superficie rendendo il substrato inadatto alla crescita della vegetazione[1].
Il processo di salinizzazione secondaria, però, non è solamente da attribuire all’attività agricola. Settori produttivi quali quello turistico e industriale, insieme anche a svariati aspetti demografici, giocano infatti un ruolo fondamentale. L’insieme di questi effetti può comportare un progressivo ed eccessivo sfruttamento delle falde acquifere e provocare la cosiddetta intrusione del cono salino: si tratta di un’intrusione delle acque marine verso l’interno della costa a causa dell’abbassamento della falda acquifera provocata dalle attività umane. Questo fenomeno aumenta vertiginosamente la concentrazione dei sali all’interno del suolo, provocando così numerosi danni alla vegetazione e alla fauna terricola[2].
Conseguenze della salinizzazione del suolo
La salinizzazione del suolo è da considerare come una delle principali cause di degrado sia fisico che chimico e biologico dei suoli. Esso infatti rientra all’interno di quei processi che progressivamente portano alla desertificazione, sebbene tra le altre conseguenze degne di nota ci siano anche un maggiore tasso di erosione (causato dalla minore coesione tra i diversi strati del suolo), la riduzione della concentrazione di materia organica e fenomeni di contaminazione delle acque sia locali che diffusi.
A tutti questi effetti primari sono correlate una serie di conseguenze come ad esempio la riduzione della biodiversità terricola e non, ma anche l’aumento del rischio di frane e smottamenti, fattore che comporta un pericolo non indifferente per l’incolumità dei cittadini[2]. Gli effetti negativi della salinizzazione si ripercuotono inevitabilmente anche su una serie di variabili socio-economiche, come l’aumento dei costi delle produzioni agricole e la necessità di attuare processi più oculati di purificazione delle acque destinate all’uso civile.
Talvolta però, una modesta salinizzazione può avere anche degli effetti positivi. Negli ultimi anni, infatti, è diventato sempre più comune il consumo del cosiddetto pomodoro Pachino, una varietà che per ottenere le proprietà organolettiche che lo distinguono ha la necessità di essere irrigato con acque moderatamente saline[1]. In ogni caso, questo non deve farci credere che la salinizzazione sia un opportunità, dato che i suoi effetti su larga scala sono effettivamente drammatici.
Come evitare la salinizzazione del suolo
Premettendo che le azioni da adottare per cercare di ridurre il livello di concentrazione di sale nei suoli devono essere commisurate sulla base del contesto, tutte le risposte, per essere efficaci, devono agire su almeno uno dei passaggi precedenti la salinizzazione stessa. È infatti di fondamentale importanza programmare, prevedere e implementare azioni piuttosto eterogenee e che agiscano alla radice del problema.
Tra le azioni di prevenzione della salinizzazione del suolo rientrano sicuramente:
- la diminuzione dei consumi idrici;
- la regolamentazione degli scavi finalizzati all’ottenimento di nuovi pozzi e alla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento idrico;
- la desalinizzazione dell’acqua utilizzata sia in agricoltura che direttamente dall’uomo.
Se non fosse possibile mettere in atto queste risposte, si potrebbe intervenire sulla tolleranza ad elevati potenziali osmotici delle specie coltivate e sulla modificazione delle tecniche di irrigazione. Infatti, utilizzando l’irrigazione a goccia si andrebbero a risparmiare notevoli quantità di acqua permettendo un minore sfruttamento delle falde e l’utilizzo di acqua solamente nelle porzioni di suolo immediatamente circostanti all’apparato radicale.
È bene però precisare che tutte queste azioni, per essere efficaci, devono essere combinate tra di loro attraverso un insieme di atti e politiche messe in campo dalle amministrazioni locali e non, con lo scopo di ottenere risultati duraturi[1].
Salinizzazione del suolo in Italia
La salinizzazione del suolo si verifica attualmente anche in Italia, anche se non sembra esserci sufficiente consapevolezza riguardo ai potenziali danni che può arrecare. Nelle aree affette, infatti, la salinizzazione del suolo può rimanere poco evidente in un primo periodo, ma poi mostrare in modo improvviso e talvolta drammatico i suoi effetti. In più, una volta che il fenomeno raggiunge dei livelli critici, risulta molto complesso intervenire con azioni mirate per contrastarlo o per lo meno mitigarlo.
Generalmente, la salinizzazione del suolo si concentra lungo le aree costiere e in alcune zone sta profondamente modificando le economie locali a causa di una serie di effetti diretti e indiretti[1].
Il fenomeno della salinizzazione nel nostro Paese è piuttosto esteso e interessa tutte le regioni che si affacciano sul mare, con diversa intensità a seconda della concentrazione di attività agricole e industriali ma anche turistiche. Parlando di numeri, in Italia ci sono circa 4500 km2 di suolo affetti da salinizzazione, circa l’1% del territorio nazionale[1]! Nella maggior parte dei casi, la causa principale è da ricondursi all’eccessivo sfruttamento delle falde acquifere, in seguito alla necessità di avere a disposizione ingenti quantità di acqua per l’irrigazione. Si tratta comunque di un processo molto lento, che evidenzia però il notevole squilibrio tra sfruttamento delle falde idriche e ricarica naturale delle stesse.
Tra le regioni più colpite rientra sicuramente la Calabria, in cui, nonostante la carenza di dati, è stato notato un allargamento del cuneo salino nelle falde dell’entroterra, soprattutto in corrispondenza delle aree ad elevato sfruttamento agricolo. Questo è da ricollegare sia a fattori naturali che antropici, ma sicuramente, se il problema non dovesse essere risolto o mitigato, i fenomeni di desertificazione già in atto andrebbero ad aggravarsi notevolmente.
Conclusioni
La salinizzazione del suolo è un fenomeno molto dannoso che non deve essere assolutamente sottovalutato. Il suolo è il substrato su cui si basa l’intera vita del nostro pianeta e la sua conservazione è di fondamentale importanza. Azioni che si pongono come obbiettivo il monitoraggio dello stato della salinizzazione e della sua evoluzione sono quindi essenziali e aiutano a fornire informazioni utili per la definizione di tutte quelle politiche nazionali e internazionali che operano su questo tema. Sarebbe opportuno diffondere la conoscenza delle best practice da adottare, per far crescere quella consapevolezza di natura preventiva laddove il fenomeno potrebbe peggiorare inesorabilmente e presentarsi in futuro in tutta la sua drammaticità.
Referenze
- Colonna, N. (2008). La salinizzazione in Italia. In Acqua Controcorrente, T.S.A. editore, pp. 222-236;
- Mensali, G. (2012), La salinizzazione dei suoli in ambiente costiero: un caso studio a sud di Ravenna, tesi di laurea magistrale in “Analisi e Gestione Ambientale”, Università degli Studi di Bologna;
- Violante, P. (1996), Chimica del suolo e della nutrizione delle piante, Edagricole, Bologna.
Immagine di copertina di Antonio Jordán (University of Seville, Spain).