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Risus sardonicus

Storia, causa e spiegazione molecolare

Tutti conoscono la frase riso sardonico (in latino Risus sardonicus): è un sorriso inquietante, malevolo, caratterizzato dalle sopracciglia alzate e dai denti in mostra. Eppure pochi sanno da dove questo detto deriva e la causa per cui è associato così strettamente a qualcosa di macabro.

Accogliere la morte con un sorriso

Nelle popolazioni Sarde di epoca pre-romanica esisteva un singolare metodo per disfarsi di quella parte della comunità, in particolare gli anziani, ormai inabili al lavoro: li si intossicava con una pianta velenosa per poi gettarli da una rupe, offrendoli quindi in sacrificio a Kronos, dio della fertilità e dell’agricoltura. L’aspetto più macabro di questo rito era la comparsa, sul volto della vittima, di un riso ghignante, con cui la vittima accoglieva felicemente la fine di quella vita ormai inutile e l’inizio di una nuova vita nell’aldilà.

Maschera raffigurante un volto ghignante

Di questo rito si parla anche nell’Odissea, ma si trovano racconti inerenti questa pratica in molti autori classici fra cui Plutarco, Cicerone, Virgilio, indicando che non fosse prerogativa delle sole popolazioni Sarde ma che fosse diffusa anche in altre zone, come la Sicilia Fenicia. Il sorriso dei sacrificati era talmente impresso nella cultura di quelle popolazioni, che veniva riprodotto in maschere rituali, ritrovate poi presso Cagliari ma anche in Sicilia.

Il sorriso ghignante, o sardonico come venne rinominato, era provocato dalla contrazione dei muscoli facciali causata dal veleno somministrato, ottenuto da un’erba molto comune in Sardegna e nelle isole circostanti: la Oenanthe crocata. Più recentemente il botanico Mauro Ballero ha proposto come alternativa la pianta Aenanthe fistulosa presente anch’essa massicciamente in Sardegna, ma l’idea che, quantomeno in Sardegna, fosse proprio la crocata la responsabile del Riso Sardonico appare ancora come la più probabile.

La vera colpevole: l’Enantotossina

L’Oenanthe crocata, chiamata anche prezzemolino o finocchio d’acqua, è una pianta erbacea perenne, dalle foglie simili a quelle del prezzemolo e con radici a tubero. I suoi fiori, paradossalmente, hanno un profumo molto dolce, tanto che si pensa il suo nome, che deriva dal greco e unisce la parola “vino” con la parola “fiore”, potrebbe derivare proprio dall’odore dei suoi fiori. Un’altra ipotesi è che il termine si debba alla sensazione di stordimento che si provoca dopo averla ingerita. La causa della sua tossicità è in una tossina, detta appunto enantotossina, e ai suoi derivati, presenti soprattutto nei tuberi.

Oenanthe crocata

Questa è un isomero della Cicutossina (contenuta nell’omonima pianta) ed è una tossina acetilenica formata da 17 atomi di carbonio che agisce sul sistema nervoso come un analogo biologico del sesquiterpene lactone. La tossina si lega quindi al recettore del GABA(A),uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale nei vertebrati e causa così paralisi, convulsioni, nausea, tremori, vomito e paralisi respiratoria.

enantotossina

A differenza di molte tossine provenienti dalle piante, la enantotossina non ha un sapore sgradevole e non provoca una sensazione di bruciore una volta ingerita, anzi ha un insolito sapore dolce, vinaceo, proprio come l’odore dei suoi fiori.

I casi di intossicazione nell’uomo, escludendo quelli rituali documentati nelle antiche popolazioni sarde, sono estremamente rari nell’uomo, non così è per gli animali da pascolo, questo proprio a causa del buon sapore di questa pianta, unito al fatto che cresce in gran quantità vicino ai corsi d’acqua, dove  è quindi probabile trovare animali in cerca di cibo.

Bibliografia

  • Appendino, Pollastro, Verotta, Ballero Polyacetylenes from Sardinian Oenanthe fistulosa: A Molecular Clue to risus sardonicus J. Nat. Prod. 2009, 72, 962–965
  • Cicerone: Epistula ad Familiares, lib. VII; Epistula XXV ad Fabium
  • Virgilio: Egloghe, VII, v. 41; Eneide, I, v. 213
  • www.sardegnaflora.it
  • Odissea XX v.301
  • Platone, lib. I
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