L’immunologo statunitense James P. Allison ed il giapponese Tasuku Honjo sono stati premiati con la massima onorificenza scientifica, il Premio Nobel,per le “loro scoperte sulla terapia del cancro per mezzo della regolazione del sistema immunitario”. Le loro intuizioni infatti, che gli sono valse il Nobel per la Medicina 2018, hanno dato una rapida svolta ai progressi scientifici degli studi contro il cancro. Entrambi hanno lavorato parallelamente, seppur in modo diverso, sugli inibitori dei checkpoint del sistema immunitario. Hanno contribuito a chiarire una parte della finissima, e quanto mai complicata, regolazione dei meccanismi che guidano la difesa dell’organismo umano, rinforzando i principi alla base dell’immunoterapia.
Linfociti T: bodyguard molto efficienti
Il sistema immunitario ha il delicato compito di riconoscere ciò che è “self” (e quindi proprio dell’organismo) da ciò che è “non-self” (estraneo) e che, pertanto, deve essere attaccato perchè potenzialmente dannoso. Basti pensare alla preziosa azione svolta dalle cellule del sistema immunitario nel riconoscimento di batteri e virus da contenere ed annientare.
Tra le principali cellule che intervengono in questo processo ci sono i linfociti T che, grazie alla presenza di specifici recettori sulla loro superficie, riconoscono gli antigeni appartenenti all’agente potenzialmente dannoso esposti da altre cellule del sistema immunitario che precedentemente ne sono venute in contatto.
Questa interazione, altamente specifica, attiva una serie di meccanismi che sollecitano l’intera risposta immunitaria. L’attività dei linfociti T è finemente regolata da alcune proteine che stimolano (attivatori) o reprimono (repressori) l’intero processo creando un sottile equilibrio senza il quale l’organismo potrebbe essere soggetto a risposte immunitarie eccessive ed addirittura dannose.
CTLA-4 e PD-1: i freni molecolari della risposta immunitaria
James P. Allison (Università del Texas) ha concentrato i suoi studi su una proteina che agisce come freno sulle cellule immunitarie: si tratta di CTLA-4, una proteina di superficie dei linfociti T.
A partire dagli anni ’90 Allison ha cercato un modo innovativo ed intelligente di sfruttare le proprietà di tale molecola avanzando un’idea rivoluzionaria che si è poi rivelata vincente. Ha infatti visto in CTLA-4 la potenziale strategia di attacco contro le cellule tumorali: ciò si poteva realizzare limitando l’azione immunomodulante di questa proteina. Dopo tale intuizione, è stato prodotto in laboratorio un anticorpo monoclonale che fosse in grado di bloccare l’azione di CTLA-4; così facendo i linfociti T in questione si sono rivelati in grado di espletare un’intensa risposta immunitaria contro cellule tumorali. Allison ha riscontrato i primi successi nel 1994 grazie ad esperimenti condotti sui topi e, con grande caparbietà, ha esteso i suoi esperimenti anche sull’uomo. Uno studio del 2010 ha dimostrato sicurezza ed efficacia del trattamento nei pazienti affetti da melanoma in stadio avanzato.
Dall’altra parte del mondo Tasuku Honjo (Università di Kyoto) ha scoperto un’altra proteina espressa dai linfociti T chiamata PD-1 che è in grado di inibire la reazione immunitaria esercitata dai linfociti T, con un meccanismo d’azione diverso rispetto a quello operato da CTLA-4. Honjo capì che bloccando l’azione di PD-1 era possibile rimuovere il “freno” che contiene l’azione dei linfociti T contro i bersagli verso cui erano diretti. Nel caso in cui i bersagli fossero le cellule tumorali si poteva sperare che i linfociti T le attaccassero con insistenza ed efficacia. E questo è proprio quello che successe! Nel 2012 un importante studio clinico ha dimostrato che questo approccio è stato vincente nella cura di diversi tumori già in stadio metastatico.
Applicazioni e prospettive future
Durante questo ventennio sono stati fatti diversi studi sugli anticorpi atti a riconoscere queste proteine, i quali hanno dato risultati promettenti. Gli anticorpi in questione sono ad oggi approvati dall’FDA come opzioni terapeutiche per il melanoma, il tumore del polmone non a piccole cellule, il tumore a cellule renali, il tumore uroteliale e il linfoma di Hodgkin.
Fonte: Nobelprize: Medicine 2018