La maggior parte della plastica che usiamo ogni giorno è composta di lunghe catene molecolari derivate dal petrolio. Nonostante sia utile in moltissime applicazioni, la plastica non è amica dell’ambiente. Si stima che fino al 2050 circa 12 miliardi di tonnellate di plastica si accumuleranno nelle discariche, inquineranno gli oceani e metteranno in pericolo la vita sul pianeta. Spinti da questo scenario, i ricercatori stanno tentando di ottenere una plastica biodegradabile, amica dell’ambiente. La plastica è formata di catene sintetiche, chimicamente stabili e non è biodegradabile, quindi il solo modo per smaltirla è con gli inceneritori. Comunque, anche questo procedimento non è privo di conseguenze perchè libera anidride carbonica nell’atmosfera.
La ricerca
I ricercatori stanno cercando di ottenere dai batteri la bioplastica, una nuova plastica biodegradabile e quindi amica dell’ambiente che potrebbe sostituire la plastica convenzionale nella maggior parte delle applicazioni.
Alcuni batteri accumulano le molecole ricche di energia sotto forma di granuli di plastica, un metodo simile a quello delle nostre cellule che creano una riserva di molecole di glucosio come granuli di un polimero chiamato glicogeno. Quando si trovano in un ambiente ricco di nutrienti, questi batteri sintetizzano una grande quantità di bioplastica costruendo granuli che possono pesare anche 80 volte il loro peso.
Questa caratteristica è ideale per l’industria biotecnologica perchè consente di produrre facilmente grandi quantità di plastica.
I vantaggi della plastica biodegradabile
E’ chimicamente stabile e resistente alle alte temperature. Può essere usata per costruire una varietà di prodotti come materiali da imballaggio, piatti, posate, bicchieri, fibre tessili, siringhe, fili da sutura, materiali per la stampa 3D. I batteri sintetizzano la bioplastica per mezzo dell’enzima acido poliidrossibutirrico sintasi (PhaC, file PDB 5t6o) mostrato nella figura qui sopra.
Le reazioni
L’enzima PhaC costruisce la catena polimerica della bioplastica, un poliestere, partendo da unità di una piccola molecola, l’acido idrossibutirrico (HB). Questa reazione è simile a quella con la quale l’enzima acido grasso sintasi (mdm 6-2007) allunga la catena degli acidi grassi. La reazione di polimerizzazione si realizza in due passaggi ripetuti più volte e mostrati nella figura qui sotto. L’acido idrossibutirrico HB viene portato all’enzima dal coenzima A (CoA).
Nel primo passaggio PhaC trasferisce su di sè l’unità HB legandola ad un gruppo SH di una cisteina, nel secondo passaggio l’acido HB viene legato al gruppo OH terminale della catena in crescita della bioplastica formando un legame estere e allungandola di una unità. Una tipica catena di acido poliidrossibutirrico può contenere anche migliaia di unità ripetenti HB.
Gli scienziati stanno studiando i dettagli molecolari dell’enzima PhaC per cercare di ottenere catene modificate di bioplastica per applicazioni particolari.
Il mattone fondamentale per costruire la bioplastica
E’ HB-CoA (idrossibutirril-CoA) e viene sintetizzato con due reazioni successive unendo tra loro due molecole di acido acetico e poi riducendo la molecola ottenuta.
La prima di queste reazioni è simile a quella con la quale l’enzima tiolasi condensa due molecole di acetil-CoA nelle nostre cellule.
Il processo comincia con l’acetil-CoA, una molecola che trasporta acido acetico e viene prodotta dalla decarbossilazione ossidativa dell’acido piruvico all’interno del complesso enzimatico piruvato deidrogenasi (mdm 9-2012).
Prima reazione
L’enzima beta-chetotiolasi(PhaA, file PDB 4o9c) fa condensare tra loro due molecole di acetil-CoA trasferendo il gruppo acetile di un acetil-CoA ad un altro acetil-CoA e formando così una molecola più grande di acetacetil-CoA.
Seconda reazione
Il chetone del gruppo acetacetilico viene ridotto ad alcol formando idrossibutirril-CoA ad opera dell’enzima acetacetil-CoA riduttasi (PhaB, file PDB 3vzs) che usa NADPH come coenzima riducente.
Nella figura qui sopra si possono vedere le strutture dei due enzimi PhaA e PhaB e delle molecole che vengono trasformate. Nella figura qui sotto sono rappresentate anche le formule chimiche di acetil-CoA, acetacetil-CoA e idrossibutirril-CoA.
Degradazione
Dato che i batteri usano la bioplastica come materiale di riserva energetica, devono avere anche un enzima per degradarla e liberare le molecole ricche di energia.
Questo enzima è chiamato poli-idrossibutirril (PHB) depolimerasi e si è rivelato prezioso anche per noi perchè ci consente di usare i batteri per degradare la bioplastica nelle discariche.
L’enzima PHB depolimerasi (file PDB 2d81) assomiglia ai nostri enzimi digestivi tripsina (mdm 10-2003) e chimotripsina, detti proteasi alla serina, infatti usa una tripletta di amminoacidi di acido aspartico, istidina e serina per attivare la serina e tagliare i legami estere della bioplastica, liberando i monomeri di acido idrossibutirrico.
Nella struttura mostrata qui sotto, i ricercatori hanno sostituito la serina chiave con una alanina per inattivare l’enzima. La bioplastica si lega nel sito attivo dell’enzima mutante, ma non viene tagliata così possiamo osservare i dettagli molecolari del complesso tra PHB depolime-rasi e il frammento di bioplastica.
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Bibliografia
- R Geyer, J. Jambeck & KL Law (2017) Production, use, and fate of all plastics ever made. Scientific Advances 3, e1700782.
- V Urtuvia, P Villegas, M González & M Seeger (2014) Bacterial production of the biodegradable plastics polyhydroxyalkanoates. International Journal of Biological Macromolecules 70, 208-213.