La cecità alle piante (o plant blindness in inglese) è l’incapacità dell’uomo di riconoscere i vegetali come esseri viventi. Ci sono molti esperimenti a riguardo in cui dei volontari, di fronte a immagini di un bosco con una volpe, si focalizzavano esclusivamente sull’animale come se le piante non esistessero[1]. Si tratta di un retaggio culturale risalente alla filosofia greca e successivamente al pensiero medioevale[1], quando si considerava la natura come una scala in cui al gradino più basso c’erano i minerali e subito sopra i vegetali, organismi insensibili al mondo esterno e capaci solo di crescere e riprodursi. In tale contesto, parlare di carnivoria delle piante era considerato addirittura blasfemo!
Lo stesso Linneo, il grande naturalista svedese padre della tassonomia, nel 1768 definiva “contraria all’ordine naturale voluto da Dio” l’ipotesi che alcune specie vegetali fossero in grado di catturare e digerire prede al pari degli animali[2]. Nella mentalità dell’epoca, se le piante carnivore erano un tabù, ragionare di piante protocarnivore non aveva chiaramente alcun senso.
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Che cosa sono le piante protocarnivore?
La scoperta nel 1760, in Carolina, della Dionaea muscipula (la famosa Venere acchiappa-mosche) e la diffusione nel XIX secolo degli orti botanici, dove si coltivavano le diverse piante carnivore provenienti dai paesi esotici, indussero pian piano i naturalisti a ricredersi sulla biologia delle piante carnivore.
Fu in particolare Charles Darwin, attraverso esperimenti condotti a partire dal 1860 nella propria casa nel Kent, a dimostrare definitivamente la carnivoria di questi vegetali, tanto da scriverne un libro, Insectivorous plants (1875)[3], dove descrisse accuratamente le sue ricerche e deduzioni. Da questo momento in poi, il numero di specie vegetali riconosciute come carnivore è andato via via aumentando, tanto che oggi se ne contano circa 800 specie appartenenti a più di dieci famiglie differenti. Fino ad allora, la presenza di insetti su foglie appiccicose era vista come una forma di difesa della pianta, mentre gli ascidi delle sarracenie o delle Nepenthes si credeva fungessero da cisterne per l’acqua, e che quindi la cattura di insetti fosse del tutto accidentale.
Per poter definire cosa sia una pianta protocarnivora, è però prima necessario capire cosa sia una pianta carnivora. In particolare, considerato anche che le modalità di predazione sono molto diverse, i botanici hanno fissato alcuni criteri che permettano di definire una pianta come carnivora[2]:
- presenza di trappole; a seconda dei generi abbiamo diversi meccanismi, dalle trappole a scatto della Dionaea, a quelle collanti di Drosera alle trappole a caduta di Sarracenia, solo per citare le più note.
- capacità di digerire la preda e assorbirne i nutrienti, sia attraverso enzimi digestivi secreti direttamente dalla pianta, sia grazie alla simbiosi con altri organismi (in questi casi si parla più propriamente di piante emicarnivore);
- capacità di attrarre le prede attraverso la produzione di nettare extrafiorale, profumi delicati, colorazione vistosa (anche se questo criterio non è più adottato).
Se una specie vegetale presenta solo alcune di queste caratteristiche (in particolare le prime due elencate), non viene propriamente considerata come carnivora, ma appunto protocarnivora. Una pianta protocarnivora è quindi una pianta in grado occasionalmente di catturare prede e ricavarne eventualmente anche un certo beneficio nutrizionale[2].
Va specificato che la terminologia “pianta protocarnivora” non è condivisa dai biologi evoluzionisti, in quanto presupporrebbe una sorta di direzione nel processo evolutivo di queste piante, nonché una gerarchia biologica. Tuttavia, la terminologia è ancora ampiamente utilizzata tra i coltivatori e gli amatori. Pertanto, nel prosieguo dell’articolo, adopereremo anche noi questo termine, sebbene esistano definizioni più corrette dal punto di vista evolutivo, come “piante subcarnivore” o “piante paracarnivore“.
Piante protocarnivore in Italia
Ci sono molti esempi di piante protocarnivore, non solo nei paesi tropicali ma anche qui in Italia. Si tratta in molti casi di vegetali che secernono sulle loro foglie delle sostanze collose su cui rimangono invischiati gli insetti.
Si pensi ad esempio alla Salvia glutinosa, dal caratteristico fiore giallo e diffusa nei boschi di latifoglie di tutta Italia che, come dice il nome, ha le foglie appiccicose – non a caso viene chiamata anche salvia vischiosa. Un altro esempio italiano molto particolare è la Capsella bursa-pastoris, nota come la borsa del pastore per i caratteristici frutti (ossia delle silique a forma di cuore): i suoi semi, se inumiditi, rilasciano una sostanza vischiosa in grado di catturare nematodi e altri piccoli invertebrati. Alcuni studi a riguardo suggeriscono che questo fenomeno migliori la germinazione dei semi e la crescita delle nuove piantine grazie ad un maggiore sviluppo radicale[4].
Cardo dei lanaioli, Dipsacus fullonum
Un’altra pianta delle nostre campagne che presenta caratteristiche di protocarnivoria è il Dipsacus fullonum, meglio noto come cardo dei lanaioli, che cresce spontaneo nelle radure incolte. È una pianta erbacea che può raggiungere i 2 metri di altezza e che presenta presenta il cosiddetto fitotelma: si tratta di una struttura cava, generata da foglie modificate o dalla loro inserzione sul fusto, in grado di raccogliere acqua e di generare quindi dei microecosistemi, nei quali vivono principalmente organismi unicellulari ma in rari casi anche invertebrati o addirittura le forme larvali di anfibi. Il nome tradizionale e l’appellativo fullonum – dal latino fullo, cioè lavandaio, cardatore – derivano dall’uso tradizionale dei capolini fiorali per cardare la lana. Il nome Dipsacus ha invece origini greche e vuol dire sete: si tratta di un chiaro riferimento al fitotelma a forma di coppa che si sviluppa dove le foglie sessili si fondono allo stelo.
Sulla possibile carnivoria di questa specie si espresse a fine 1800 anche Francis Darwin, il figlio del più celebre Charles Darwin. Francis aveva cominciato i suoi studi naturalistici affiancando il padre nei numerosi esperimenti che conduceva nella sua dimora nel Kent, la famosa Down House. In una pubblicazione presentata alla Royal Society[5], Francis Darwin dichiarava il Dipsacus una specie carnivora perché attraverso alcuni esperimenti aveva verificato una maggiore crescita della pianta se sottoposta a dieta proteica. Tuttavia i risultati sono controversi e non condivisi dalla comunità scientifica. Secondo alcuni botanici il Dipsacus non trarrebbe alcun vantaggio nutritivo dalla cattura degli insetti. Il fitotelma avrebbe solo la funzione di evitare l’attacco di parassiti come gli afidi che farebbero fatica ad arrampicarsi sullo stelo.
Roridula e simbiosi con gli insetti
Un altro esempio particolare di pianta un tempo considerata protocarnivora e oggi emicarnivora, è la Roridula di cui esistono due specie – Roridula gorgonias e Roridula dentata – entrambe originarie del Sud Africa (immagine di copertina).
Questi vegetali secernono sulle loro foglie una resina appiccicosa il cui potere collante supera quello delle drosere[6]. Eppure, la Roridula non sintetizza enzimi digestivi, di conseguenza la produzione di tanta colla e la cattura degli insetti sembrerebbe uno sforzo inutile. Per diversi anni queste specie sono state un piccolo rebus botanico.
Una possibile interpretazione di questa caratteristica è giunta solo attraverso degli attenti studi condotti negli anni Novanta del secolo scorso. Sin dagli inizi del Novecento sui cespugli di Roridula era stato notato un insetto in grado di muoversi agilmente malgrado la resina appiccicosa: si tratta degli emitteri Pameridea roridulae e Pameridea marlothii, i quali vivono rispettivamente su R. gorgonias e su R. dentata[7]. Le ricerche hanno dimostrato che tra Roridula e Pameridea si è instaurato uno stretto rapporto di simbiosi mutualistica: gli insetti catturati dalla Roridula sono infatti il cibo per l’emittero, che con il suo rostro perfora l’esoscheletro degli artropodi e ne succhia i fluidi corporei[6]. In cambio, la Pameridea rilascia i propri escrementi ricchi di azoto che fungono da concime fogliare per la Roridula aumentandone il vigore vegetativo.
Evoluzione della carnivoria
Lo studio delle piante protocarnivore può essere molto utile per comprendere l’evoluzione della carnivoria nel mondo vegetale.
In base al meccanismo della selezione naturale descritto da Darwin, sappiamo che una specie, di solito, conserva una nuova caratteristica se essa è favorevole alla sopravvivenza nell’ambiente in cui vive.
Le piante carnivore vegetano su substrati poveri di nutrienti (detti oligotrofici). In genere, si tratta di sfagneti e torbiere, caratterizzate da pH acidi, elevata disponibilità idrica e intensa radiazione luminosa. In questi habitat oligotrofici, poter assorbire i nutrienti (in particolare azoto) direttamente dal corpo degli insetti catturati è chiaramente un grande vantaggio evolutivo.
Purtroppo la ricostruzione del processo che ha portato alla comparsa della carnivoria è estremamente complesso in quanto vi sono pochissime testimonianze fossili a riguardo. Gli studi attuali si basano pertanto su analisi comparate di tipo genetico, chimico e morfologico tra piante affini e ci dicono che la carnivoria è comparsa più volte, in maniera indipendente, tra vegetali appartenenti a linee evolutive diverse, in quello che può essere considerato un processo di convergenza evolutiva.
A tale scopo, lo studio delle piante protocarnivore può essere molto utile per far luce su come certe strutture morfologiche abbiano potuto trasformarsi nel tempo in vere e proprie trappole acchiappa-insetti. Ad esempio, la salvia glutinosa e la borsa del pastore citate precedentemente possono aiutare a far luce sulla comparsa delle trappole collanti in molte specie carnivore, mentre la presenza del fitotelma in specie come il cardo dei lanaioli può essere utilizzato per comprendere l’origine degli ascidi, ovvero le trappole a imbuto tipiche dei generi Sarracenia e Nepenthes.
Piante protocarnivore ed exaptation
Molto interessante e utile nello studio delle piante protocarnivore è anche la teoria dell’exaptation.
Nel 1982 il grande biologo evoluzionista Stephen J. Gould e la paleontologa Elisabeth Vrba proposero la teoria dell’esattamento (in inglese exaptation), a volte tradotta anche come pre-adattamento[8]. Secondo questa teoria, certi adattamenti deriverebbero da caratteri sviluppatisi per altri scopi e che, a seguito di modifiche genetiche e ambientali, si trovano a svolgere una nuova funzione. Come sosteneva il premio Nobel Francois Jacob nel suo libro Evoluzione e bricolage[9], “la selezione naturale opera non come un ingegnere ma come un bricoleur, recuperando tutto quello che trova in giro”, riutilizzando quindi caratteristiche già presenti in una specie. L’esempio più noto di esattamento sono le piume degli uccelli: comparse nei dinosauri aviani per la termoregolazione, nel tempo sono diventate organi essenziali per il volo.
Tornando alle piante protocarnivore, lo studio di questi vegetali può aiutarci a comprendere come si sia evoluta la carnivoria. Prendiamo le trappole collanti: secondo alcuni, il rilascio di essudati appiccicosi in origine poteva essere un adattamento utile a favorire la dispersione dei semi, oppure un meccanismo di difesa dai parassiti, o ancora un sistema per ridurre la traspirazione fogliare[5]. In seguito, con l’acquisizione della capacità di secernere enzimi proteolici, la pianta ha iniziato ad assimilare l’azoto dagli insetti catturati, divenendo a tutti gli effetti carnivora.
Sarebbe quindi anche questo un esempio di exaptation: il riutilizzo di un carattere già presente (la presenza di sostanze collose) che acquista nuove proprietà e funzioni (quella di catturare e digerire insetti). In un ambiente povero di nutrienti, quale è quello in cui solitamente vegetano le piante (proto)carnivore, la carnivoria è il risultato di un adattamento vincente nella lotta per la sopravvivenza.
La comparsa stessa degli enzimi digestivi potrebbe essere a sua volta un caso di pre-adattamento di molecole prodotte a scopo di difesa contro infezioni fungine[5]. Le piante non hanno un sistema immunitario ma sono dotate di un arsenale chimico con cui isolano e aggrediscono l’eventuale microrganismo patogeno. I geni implicati nella sintesi degli enzimi digestivi sono non a caso gli stessi che attivano la produzione di molecole antimicotiche.
Conclusioni
Oggi, parlare di piante carnivore per fortuna non genera più scandalo come ai tempi di Linneo, anzi si sta assistendo ad un incremento di interesse sia da parte della gente comune che della comunità scientifica. Di pari passo, sta crescendo anche l’attenzione anche verso le specie protocarnivore, al fine di capire meglio come agisca l’evoluzione e come possano comparire nuovi caratteri.
È necessario però tutelare gli habitat in cui vivono questi vegetali, dato che spesso si tratta di areali estremamente circoscritti. La conoscenza di questi incredibili piante e la sensibilizzazione verso i giovani e il grande pubblico sono pertanto lo strumento principale per favorire programmi di conservazione, nella speranza di continuare ad ammirare le piante carnivore non solo in orti botanici e garden center ma anche in natura.
Referenze
- Anaclerio, N., & Rodio, M. E. (2020), Piante e Insetti. Alleanze, ostilità, inganni orchestrati dall’evoluzione. Orme, Roma;
- McPherson, S., Fleischmann, A., & Robinson, A. (2010). Carnivorous plants and their habitats (Vol. 1). Poole, UK: Redfern natural history Productions;
- Darwin C. (1875), Insectivorous Plants. John Murray, London;
- Roberts, H. R., Warren, J. M., & Provan, J. (2018). Evidence for facultative protocarnivory in Capsella bursa-pastoris seeds. Scientific Reports, 8(1), 10120;
- Ellison, A. M., & Adamec, L. (Eds.). (2018). Carnivorous plants: physiology, ecology, and evolution. Oxford University Press;
- Hewitt-Copper, N. (2010). Le Roridulaceae. AIPCMagazine. 19(3): 4-9;
- Ferri, A. (2012), Pameridea: il braccio armato della Roridula. Simbiosi tra Roridula e Pameridea. AIPCMagazine. 28(4): 4-9;
- Gould, S. J., Vrba, E. (2008). Exaptation. Il bricolage dell’evoluzione (D. Pievani, a cura di). Torino. Bollati Boringhieri;
- Jacob, F. (1978). Evoluzione e bricolage. Gli “espedienti” della selezione naturale. Einaudi. Torino.
Immagine di copertina di Tony Rebelo, Wikimedia Commons (CC BY-SA 4.0).