Con l’arrivo della bella stagione aumentano le occasioni per mangiare fuori casa, soprattutto pesce, magari in spiaggia, appena pescato, e perché non fare come i pescatori con le alici ancora crude, basta una spruzzata di limone. Niente di più sconsigliabile, rischiamo di contrarre l’anisakidosi. Questa patologia, conosciuta anche come anisakiasi, è provocata da un parassita, l’Anisakis simplex.
Si tratta di nematode, o verme cilindrico, che se introdotto nel nostro organismo, aggredisce il sistema digerente, a livelli vari dall’esofago all’intestino, ed i sintomi sono dolori addominali, vomito, diarrea e anche se in casi rari, shock anafilattico.
L’uomo è ospite accidentale di questo parassita, e rischia di contrarlo solo se ingerisce pesce contaminato, crudo o poco cotto. L’uomo infatti, si inserisce nel ciclo biologico naturale di Anisakis, al livello dei cosiddetti predatori finali, pinnipedi, cetacei, uccelli e rettili che si cibano di pesci di piccole/medie dimensioni.
Il ciclo inizia quando le feci degli ospiti finali, vengono rilasciate in acqua, e le uova possono così schiudersi e dare origine alle larve, che nuotando liberamente, vengono ingerite da piccoli crostacei. Quando questi vengono a loro volta predati da calamari, seppie e pesci, le larve transitano nel nuovo ospite dove continuano il loro sviluppo all’interno delle viscere.
A questo punto, i predatori naturali come foche, delfini, cibandosi dei pesci infestati chiudono il ciclo, ospitando la fase adulta che produrrà nuove uova espulse con le feci, ed il ciclo riparte. Se al posto dei mammiferi marini, è l’uomo a cibarsi di pesce contaminato, esso entra nel ciclo dell’Anisakis, verrà infettato al livello soprattutto intestinale, ma essendo ospite accidentale non fornirà un ambiente adatto alla crescita delle larve fino allo stadio adulto, per cui quelle presenti potranno essere espulse con le feci spontaneamente oppure, in casi di attacco della parete gastrica, andranno eliminate chirurgicamente.
Anisakis può infestare praticamente la totalità di quello che troviamo sul banco della pescheria:
- tonno, pesce spada, pesce San Pietro, spatola, merluzzo, nasello, salmone, alici, aringa, triglia, pagello,dentice, orata, spigola, branzino, polpo, calamaro, seppia totano e molte altre specie di pesci.
In un contesto in cui è in aumento il consumo di pesce soprattutto crudo, data la recente diffusione di piatti etnici come sushi, sashimi, ceviche e lomi lomi, le regole per evitare di contrarre questo fastidioso parassita sono semplici: intanto bisogna ricordare che i processi di affumicatura e marinatura NON uccidono le larve e pertanto non danno alcuna sicurezza in proposito. Il pesce se consumato crudo deve necessariamente essere conservato in congelatore a -20°C per almeno 48 ore prima di essere servito.
L’alternativa più ovvia è la cottura, ove la ricetta lo preveda, a 60°C per almeno 15 minuti. Inoltre, quando si acquista del pesce tra le tipologie comunemente disponibili in pescheria, è necessario eviscerare e pulire il pesce prima possibile, in quanto le larve si trovano nelle viscere, ma se queste restano intatte a lungo dopo la morte del pesce, le larve possono migrare nel muscolo dell’ospite, per cercare condizioni di vita migliori.
Conviene sempre osservare bene il pesce di cui ci cibiamo, le larve sono visibili ad occhio nudo, misurano all’incirca 1 – 3 cm e sono di colore bianco oppure marrone chiaro.
In caso di sospetta ingestione, si deve tenere conto che la sintomatologia può essere facilmente confusa con altre patologie , tra cui anche il Morbo di Crohn, in caso di muco e sangue nelle feci.
Insomma, per non rovinare una romantica cena a base di pesce, o se ci trovassimo in un ristorante degno del Commissario Montalbano, così come a casa nostra, basta ricordarsi di cuocere o congelare il pesce.
E buon appetito!
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