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Pesce blob: l’animale più brutto del mondo

Psychrolutes marcidus, noto come pesce blob, eletto nel 2013 dalla Ugly Animal Preservation Society come l'animale più brutto del mondo

Il protagonista di questo articolo ha il nome scientifico di Psychrolutes marcidus, ma è noto come pesce blob. La Ugly Animal Preservation Society nel 2013 lo ha eletto come l’animale più brutto del mondo. Prima di chiederci perché sia necessario sensibilizzare contro la discriminazione degli animali brutti, facciamo un passo indietro e cerchiamo di conoscere meglio, dal punto di vista scientifico, il nostro Psychrolutes marcidus.

Identikit di un brutto

Gli esseri viventi sono classificati attraverso la nomenclatura binomiale introdotta da Linneo, secondo la quale il nome scientifico di un organismo vivente consiste in una coppia di termini: il primo, sempre con prima lettera maiuscola, indica il genere e il secondo, sempre con prima lettera minuscola, la specie al quale appartiene l’organismo in esame. Il nome scientifico viene espresso in latino, affinché sia universalmente individuabile dalla comunità scientifica internazionale. Canis lupus e Canis familiaris ad esempio, indicano rispettivamente il lupo ed il cane, appartenenti entrambi al medesimo genere Canis, ma differenti per quanto riguarda la specie.

Oltre al nome scientifico gli organismi viventi possiedono il nome comune, quello con il quale li indichiamo a livello colloquiale, che varia con le lingue e le culture e che ne riassume a volte la caratteristica più evidente (la biscia dal collare, l’ululone dal ventre giallo etc). Tale nomenclatura prescinde da una pretesa di rigore scientifico, basandosi anche sull’esperienza che il genere umano ricava dal contatto e dall’interazione con gli altri organismi viventi.

Nel caso del pesce blob la nomenclatura scientifica e quella comune si sovrappongono, evidenziando entrambe la caratteristica peculiare della specie, quella di avere il corpo composto da una massa gelatinosa informe. Tuttavia, la scienza nel suo rigore, pur non esprimendo un giudizio di merito, sembra spietata nel definirlo senza troppi scrupoli marcidus. Più clemente è stata la comunità globale nel definirlo in modo molto politically correct con il nome blobfish.

Si tratta di un pesce osseo, appartenente alla famiglia degli Psychrolutidae, che vive nelle acque dell’Oceano Pacifico e in particolare lungo le coste australiane, a profondità comprese tra 600 e 1200 metri. A queste profondità la pressione idrostatica corrisponde rispettivamente a 61 – 121 atmosfere. Se un uomo si immergesse a queste profondità, graverebbe, sull’intera superficie del suo corpo, un peso compreso tra 976.000 kg e 1.936.000 kg. La composizione prevalentemente fluida del nostro corpo ci permette di immergerci fino a 50 metri senza venire schiacciati, ma questo non vale per profondità come 600 metri. Qui per non venire schiacciati dovremmo avere il corpo quasi completamente gelatinoso, proprio come quello di P. marcidus.

Il pesce blob, infatti, presenta tale struttura corporea in quanto adattata alle condizioni del suo habitat: il corpo è flaccido e composto da una massa gelatinosa di densità inferiore a quella dell’acqua la testa è relativamente voluminosa e gli occhi sono grandi; la colorazione è uniforme e di colore chiaro. Il pesce blob è relativamente poco studiato e fotografato nel suo habitat, ma per farci un’idea del suo aspetto reale possiamo fare riferimento alla foto sottostante, ben diversa da quella che lo ha reso famoso.

Un giudizio ingiusto

Una volta pescato e portato in superficie, a condizioni di pressione totalmente differenti, il corpo si decomprime e si espande, diventando una informe e flaccida massa rosa. In altre parole, la decompressione altera ed indubbiamente imbruttisce il povero pesce blob. Questo è un dato ben noto, tuttavia continuiamo a pensare al pesce blob non come è in realtà, ma come lo osserviamo noi, al di fuori del suo habitat.

Probabilmente la non abbondante letteratura scientifica in merito alla biologia della specie, dovuta alle difficoltà di studiare tale animale nel suo ambiente, lascia spazio ai soli commenti possibili legati al suo aspetto apparentemente bizzarro. Il corollario è che possa essere enfatizzata la tendenza diffusa a osservare il mondo animale attraverso una lente emotiva tipicamente umana.

Tutti sappiamo quanto sia facile attivare campagne di sensibilizzazione verso la conservazione di animali dall’aspetto piacevole o tenero, come i panda o le tartarughe marine. Non ci aspetteremmo altrettanto successo se volessimo fare una campagna per la salvaguardia dell’eterocefalo glabro, piccolo mammifero tutt’altro che di aspetto gradevole.

Il mondo scientifico si occupa di salvaguardare le specie in via d’estinzione sulla base del loro ruolo ecologico e ne trascura completamente l’aspetto estetico o il potenziale emotivo, tuttavia una campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi (sempre necessari) deve avere una elevata permeabilità presso il grande pubblico. Ne consegue che a volte nasca la “necessità” di una Ugly Animal Preservation Society, che ha come mascotte una specie al momento non in stato di accertato pericolo d’estinzione, in quanto la classificazione IUCN aggiornata al 2017 per P. marcidus è di “Not Evaluated”, non valutata.

Pesce blob, ti chiediamo scusa

Allora perché gli dobbiamo delle scuse? Semplicemente perché, nonostante ci siamo chiamati Homo sapiens, abbiamo un grosso limite: per provare il bisogno di comprendere qualcosa è necessario innanzitutto che attiri la nostra attenzione, che sia spettacolare, e poco importa se questo ci fornisce una percezione superficiale e distorta delle cose, in fondo è più facile così. Il passo successivo, quello di comprendere il mondo secondo un approccio emotivamente distaccato, scientificamente accurato, è appunto, successivo e non strettamente necessario.

Pesce blob, tu non sei bellissimo, ma a noi non importa. Con te, come con le vere verità, per conoscerti per quello che sei, bisogna “andare in profondità”

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