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La percezione nel mondo animale

Sostanze chimiche, onde elettromagnetiche, vibrazioni e altri stimoli ci circondano in ogni momento. Gli esseri viventi si sono evoluti insieme all’ambiente per selezionare ed elaborare tali informazioni, così che possano rispondere adeguatamente, sia dal punto di vista fisiologico sia da quello comportamentale. La maggior parte degli animali è capace di percepire gran parte degli stimoli che li circonda, ma c’è grande variabilità a seconda delle specie e dei singoli individui. L’ecologia sensoriale studia la percezione animale per indagare questi aspetti ancora poco noti, che possono rivelare molto degli esseri viventi[1].

Significato di percezione

La percezione è il fenomeno per cui un organismo riceve e rielabora le informazioni del mondo esterno e interno. In genere, stimoli simili sono percepiti in modo analogo da specie differenti, sia per via di una stessa origine evolutiva sia per convergenza evolutiva. Inoltre, in genere gli animali dispongono di adattamenti che li rendono capaci di migliorare la ricezione e la caratterizzazione dei segnali[2, 3].

Tuttavia, vi sono molte differenze interspecifiche e intraspecifiche. Infatti, gli stimoli ambientali sono univoci, però, a causa della diversità di adattamenti e di esperienze, ogni animale percepisce mondi differenti. Nel 1909, il biologo Jakob Johann von Uexküll chiamò il mondo soggettivo di ogni animale Umwelt e l’insieme di processi fisiologici e neurologici del singolo animale Innenwelt[2, 3].

Variabilità tra specie

Nello stesso identico ambiente, specie diverse percepiscono la luce, le vibrazioni, le sostanze chimiche in modo diverso: uno stesso oggetto risulta diverso per specie differenti. Come in un fiore: noi vediamo i colori sgargianti dei petali, ma un insetto impollinatore vedrà le vie del nettare. Non a caso il filosofo Thomas Nagel si chiese: Cosa si prova a essere un pipistrello? Le ragioni alla base di queste differenze sono, fondamentalmente, tre[1, 4, 5].

  1. Ogni animale dispone di strumenti percettivi diversi dagli altri, che fanno sì che riceva e poi elabori gli stimoli in modo diverso. Ad esempio, gli esseri umani non sono capaci di percepire i campi elettrici, diversamente dagli squali, o i campi magnetici, come molti uccelli migratori.
  2. La percezione ha molto a che vedere anche con l’esperienza passata. Per questo, ad esempio, gli esseri umani possono sperimentare emozioni diverse di fronte allo stesso quadro.
  3. Non possiamo registrare tutte le informazioni: dovremmo essere molto più complessi e avremmo bisogno di troppa energia.
La percezione animale: a confronto, i fiori secondo l'occhio umano e le ricostruzioni di come li vedrebbero le api, con in evidenza le vie del nettare
I fiori Saxifraga melanocentra (a-c), Anaphalis nepalensis (d-f) e Parnassia wightiana (g-i): a sinistra, la foto a colori normali; al centro, la fotografia in raggi ultravioletti; a destra, una foto a falsi colori che ricostruisce come le api vedrebbero i fiori. Le frecce evidenziano le vie del nettare, aree che “guidano” a dove si trova il nettare perché risultano “evidenziate” agli occhi degli animali che vedono i raggi ultravioletti. Immagine di Klaus Lunau, Zong-Xin Ren, Xiao-Qing Fan, Judith Trunschke, Graham H. Pyke e Hong Wang (Nature), condivisa secondo la licenza CC BY-SA 4.0.

Qual è la funzione della percezione?

I sistemi percettivi consentono di intercettare stimoli dall’ambiente e quindi di localizzare cibo e acqua, potenziali partner, rifugi e pericoli, nonché di comunicare. Ma anche di rilevare stimoli interni e quindi di regolare la fame, il sonno, i movimenti. Ad esempio, il dolore ha un ruolo di “autodifesa” in quanto, salvo particolari condizioni, indica situazioni da controllare (come denti che dolgono perché cariati) o limiti fisici oltre i quali non bisogna spingersi (ad esempio, per evitare di rompere un muscolo durante attività fisica intensa)[1, 4].

Anche l’esperienza ha un ruolo, in quanto la percezione aiuta a prevedere ciò che accadrà nel breve termine. I sistemi nervosi degli animali sono capaci di costruire schemi predittivi, modelli che anticipano ciò che accadrà in base a ciò che viene percepito. Inoltre, secondo alcuni studi, l’interazione dei sistemi sensoriali di una specie con il suo ambiente avrebbe anche un ruolo nella formazione di nuove specie[1].

Come avviene il processo della percezione?

Le percezioni sono rappresentazioni mentali. Infatti, ogni informazione che riceviamo è frammentaria, sia per via della complessità degli ambienti naturali sia perché filtriamo naturalmente le informazioni che ci giungono dall’esterno e dall’interno. Questi frammenti vengono sfruttati in un processo costruttivo: le strutture neurali li paragonano e li integrano sulla base delle assunzioni a priori sulla realtà (una sorta di “regole” innate sul mondo) e sulle esperienze precedenti. Le illusioni percettive che risultano dal processo costruttivo della percezione sono sufficientemente fedeli da conferire un vantaggio evolutivo[1, 5].

struttura dell'occhio di un vertebrato, che mostra che le fibre che conducono il segnale dai coni e dai bastoncelli creano un punto privo di recettori della luce
Gli occhi dei Vertebrati hanno un punto cieco (4), anche detto macchia cieca o puntum coecum. In questa zona, la retina è priva di recettori della luce perché vi passano le fibre (2) che conducono il segnale dai coni e dai bastoncelli (1), formando il nervo ottico (3). Tuttavia, vediamo sempre l’intero campo visivo: questo si deve al riempimento visivo, la capacità del nostro cervello di colmare i vuoti di ciò che non riusciamo a percepire, sulla base dell’esperienza e di ciò che è ragionevole aspettarsi dall’ambiente. Immagine di Caerbannog, condivisa e modificata secondo la licenza CC BY-SA 3.0.

Alla base della percezione c’è la capacità di rilevare i contrasti, ovvero di individuare ciò che emerge dal rumore di fondo di quanto ci circonda: con colori, rumori, odori, movimenti, eccetera diversi dal resto. L’assenza di un contrasto è ciò che rende il mimetismo tanto efficace: essere simili a uno sfondo rende l’individuo impercettibile. Sulla base dei contrasti, gli animali devono essere in grado di individuare unità, singoli elementi nello spazio. Gran parte dei Vertebrati, tra cui rane e pesci, distingue forme geometriche semplici, sia bidimensionali sia tridimensionali, manifestando preferenze per alcune forme. Ad esempio, i pulcini appena nati sono attratti dagli oggetti piccoli e tondi, come i semi di cui si nutrono[3, 5].

Per approfondire: Recettori sensoriali: classificazione e proprietà

La selettività dei sistemi sensoriali dipende anche dal significato biologico dello stimolo; ad esempio, gatti, colombi e pulcini di gallina risultano più attratti da video che mostrano puntini che simulano movimenti di animali (movimento biologico) che da puntini che si muovono in modo rigido o casuale[3].

Ma la significatività degli stimoli può cambiare in base al momento della vita dell’animale, come nel caso del paguro bernardo, che percepisce quasi solo le forme cilindriche. Se l’animale viene privato delle attinie che generalmente si trovano sulla sua conchiglia, nel vedere un’attinia si comporta in modo da insediarla sopra di sé. Se è privo anche della conchiglia, si muove in modo tale da entrarvi. Infine, se è affamato, cercherà di cibarsi dell’attinia[3].

Principi percettivi universali

Alcune assunzioni sull’ambiente sono state incorporate nel sistema nervoso di tutte le specie: si tratta di sistemi di organizzazione percettiva che rappresentano soluzioni simili a problemi che si presentano a tutti gli animali perché viviamo nello stesso mondo fisico. Conosciamo questi principi percettivi soprattutto in relazione alla vista, poiché è il nostro senso principale e quindi lo abbiamo studiato maggiormente[3, 5].

Secondo i principi di base figurale (dell’organizzazione figurale, di Wertheimer o della Gestalt), gli elementi del campo visivo sono percepiti come delle unità quando hanno in comune direzione, forme e altri aspetti. Per esempio, elementi spaziali che si muovono insieme risultano far parte di una stessa figura: così gli animali mimetizzati con l’ambiente possono essere svelati allo sguardo di un predatore[3].

foto di un sentiero sterrato
Le galline hanno dimostrato di percepire gli indizi pittorici di profondità dei quadri in prospettiva: tendono a prendere il cibo che appare essere più vicino sulla tela. Immagine condivisa secondo la licenza Pixabay.

Altri elementi percettivi che sembrano essere comuni tra gli animali sono gli indizi monoculari di profondità, ovvero quei fattori che aiutano a dedurre la disposizione e la tridimensionalità degli oggetti. Ad esempio, i macachi (Macaca nemestrina) sono, sin da cuccioli, sensibili alla prospettiva, alla grandezza relativa degli oggetti e al gradiente di tessitura (ovvero alla rappresentazione degli elementi e delle superfici come più piccoli se più lontani)[3].

È diffuso anche il fenomeno del completamento amodale, per cui si percepisce un oggetto nella sua interezza anche quando risulta parzialmente coperto da uno schermo. Ad esempio, il pesce d’acqua dolce Xenotoca eiseni ha dimostrato di saper distinguere tra dischi interi e dischi incompleti ma coperti da un’altra figura. Si pensa che si tratti di un’abilità percettiva diffusa tra gli animali, risalente ad almeno 300 milioni di anni fa[3, 5].

I sensi

In genere, i sensi sono classificati sulla base del tipo di informazione che ricevono ed elaborano, quali[1]:

  • Vibrazioni: udito, tatto, percezione di vibrazioni;
  • Contatto e pressione: tatto;
  • Energia elettromagnetica: visione, magnetocezione, elettroricezione, termocezione;
  • Sostanze chimiche: gusto, olfatto, percezione di feromoni;
  • Propriocezione (percezione delle sensazioni che provengono dall’organismo stesso, ad esempio il senso dell’equilibrio).

I ricercatori si sono focalizzati soprattutto sugli stimoli che possono essere percepiti dagli esseri umani, come luce visibile e suoni. Infatti, l’indagine di stimoli che non percepiamo richiede la costruzione di strumenti appositi, che traducano in percepibile ciò che non è percepibile per l’essere umano. In effetti, per studiare questi aspetti occorre anche uno sforzo di immaginazione[1].

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Percezione dei suoni

Molti animali possono individuare la presenza di vibrazioni traducibili in suoni nell’ambiente circostante, ad esempio attraverso l’acqua o su substrati solidi su cui si muovono altri animali, grazie a diverse strutture[1]:

  • il sistema uditivo (orecchie nei vertebrati, organi timpanali negli artropodi) percepisce la vibrazione delle molecole nell’aria o nell’acqua;
  • in alcuni pesci, la vescica natatoria consente di percepire suoni;
  • alcuni invertebrati, come i ragni salticidi, percepiscono suoni tramite i tricobotri, peli specializzati nella percezione di stimoli meccanici.

In genere, differenziamo i suoni sulla base della loro frequenza, ovvero il numero di vibrazioni al secondo, misurati in Hertz (Hz). Le note più “basse”, più profonde, hanno una frequenza più bassa, mentre le più acute hanno frequenza alta, di migliaia di Hertz. Ogni specie, con una piccola variabilità interindividuale, può percepire diversi range di suoni. Definiamo arbitrariamente infrasuoni le frequenze sottostanti il limite inferiore che noi umani possiamo percepire (20 Hertz) e ultrasuoni le frequenze sopra il limite superiore (20 kHz)[1, 4].

Gli elefanti producono suoni sotto ai 20 Hz, che si trasmettono per chilometri nell’aria e nel terreno, per comunicare con membri del loro gruppo. Molti animali producono e/o percepiscono ultrasuoni, come roditori, gatti, cetacei, rane, pipistrelli e molte falene loro prede[1, 4].

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Adattamenti per la percezione dei suoni

Nell’ambiente, i suoni sono spesso distorti o lievi. In acqua, inoltre, si propagano senza che l’animale abbia a disposizione un punto di riferimento, perché vibra in sincronia con le onde sonore. Nel corso dell’evoluzione sono emersi adattamenti molto sofisticati per consentire la percezione dei suoni[2].

Negli animali terrestri sono comparse strutture capaci di convogliare il suono verso il timpano, le pinne (anche dette orecchie esterne o padiglioni auricolari). Come imbuti, amplificano il suono e lo convogliano in una cavità contenente un liquido a contatto con cellule sensoriali sensibili ai movimenti meccanici. Attivandosi, questi meccanocettori inviano impulsi elettrici alle fibre nervose a cui sono collegati. In vertebrati e ortotteri, diverse frequenze stimolano diverse cellule[2].

In cetacei, pinnipedi e uccelli in genere le orecchie esterne sono ridotte o assenti. Gli animali acquatici di solito hanno un canale uditivo chiuso da una valvola o da cera e hanno sviluppato strutture esterne (ciglia o peli) che a causa dei suoni ondeggiano, stimolando le cellule sensoriali. Questo sistema è efficace con le frequenze più basse e su distanze brevi. Strutture come le vesciche natatorie, che contengono l’aria, si muovono molto di più al passaggio delle onde sonore. Infatti, l’aria è più comprimibile dell’acqua, per cui le cellule sensoriali risultano molto più stimolate, recependo onde sonore lontane[2, 4].

Le diverse frequenze e i pattern temporali consentono di elaborare le informazioni sonore per ottenere la percezione di suoni complessi. In particolare, gli animali che possiedono due orecchie riescono a calcolare le differenze temporali nella percezione tra una struttura e l’altra: in questo modo, il loro cervello è in grado di individuare la direzione di provenienza del suono. Negli animali più piccoli, per i quali il ritardo tra un orecchio e l’altro risulta troppo piccolo, la provenienza dei rumori viene stimata grazie a un sistema che consente di campionare i suoni da più parti contemporaneamente. Ad esempio, gli organi timpanici dei grilli sono collegati agli spiracoli tracheali (fori per la respirazione)[2, 4]

Spesso, gli animali presentano anche strutture apposite che amplificano gli stimoli sonori, come gli ossicini presenti nelle orecchie dei mammiferi (conduzione ossea), o riducono il possibile rumore di fondo. Ad esempio, l’orecchio medio dei pipistrelli presenta due muscoli che si contraggono in sincronia con i suoni emessi dall’animale; in questo modo, irrigidiscono i collegamenti tra la coclea e il timpano, riducendo la sensibilità dell’udito[2, 4].

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Percezione tattile

In genere, i recettori di pressione e di contatto si trovano sulla superficie dell’animale: all’interno o al di sotto della cuticola di Invertebrati come nematodi e artropodi si trovano neuroni o cellule meccanosensoriali che li rendono capaci di rispondere al tocco. Anche all’interno della pelle dei Vertebrati si hanno strutture con questa funzione, ma più complesse e diversificate, come le cellule di Merkel. Pesci e anfibi presentano cellule peculiari capaci di rispondere agli stimoli idrodinamici, i neuromasti, disposti in file lungo il corpo e/o la testa. Si possono trovare liberi o all’interno di canali pieni di fluido; in alcune specie di pesci, si trovano all’interno di un canale chiamato linea laterale[6].

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Organi specializzati per la percezione diffusi in molti animali sono i peli: strutture che, sporgendo dal corpo, percepiscono gli urti, informando del contatto il sistema nervoso. Sono fondamentali negli animali dotati di endoscheletro, poiché i loro movimenti sono limitati: oltre agli stimoli esterni, i peli aiutano a capire la disposizione del corpo per rispettarne i limiti fisici[6].

Nei mammiferi, le vibrisse sono peli specializzati nella percezione di stimoli tattili: quando vengono toccate, la vibrazione del pelo è trasmessa alle cellule di Merkel. Le vibrisse più note sono le macrovibrisse, più lunghe, caratteristiche di roditori, carnivori e alcuni primati (mentre ne sono sprovvisti gli esseri umani e altri mammiferi). Secondo gli studi, potrebbero dare un vantaggio evolutivo alle specie notturne in quanto fornirebbero preziose informazioni sull’ambiente. Esistono, però, anche le microvibrisse, più brevi[4].

I peli sensibili al tatto degli artropodi, detti setae, si trovano soprattutto nei punti dell’animale che hanno più probabilità di venire a contatto con l’ambiente. Miriapodi, crostacei e insetti sono dotati anche di una (nel caso degli insetti) o due paia di antenne, organi tattili ricchi di setae che vengono usati in modo attivo dall’animale per esplorare l’ambiente[6].

muso di un ornitorinco
I monotremi hanno un sistema tattile particolare. Nel muso o nel becco hanno meccanocettori (pushrod) che consistono in colonne di cellule compatte e rigide che sono in grado di muoversi rispetto al tessuto circostante. Sono associati a quattro tipi di terminazione nervosa, incluse le cellule di Merkel, e si associano all’elettrocezione. Il becco dell’ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus, in foto) possiede circa 50mila pushrod[6]. Immagine di TwoWings, condivisa secondo la licenza CC BY-SA 3.0.
Leggi anche: Sensibilità somatica: tatto, propiocezione e nocicezione

Percezione delle onde elettromagnetiche

La visione è la modalità sensoriale principale nella specie umana, per cui è quella che abbiamo studiato maggiormente. Tuttavia, esistono altre modalità di percezione delle onde elettromagnetiche, a seconda dell’energia elettromagnetica captata dai recettori dell’individuo. Questa viene valutata a seconda della lunghezza d’onda (che, ad esempio, è 700 nanometri per l’energia elettromagnetica che percepiamo come colore rosso)[1, 3].

Percezione visiva

Tutti gli animali sono capaci di recepire parte dello spettro elettromagnetico grazie alle opsine, proteine sensibili alla luce presenti nel mondo animale da almeno 950 milioni di anni. Le opsine si trovano all’interno dei fotocettori (o recettori della luce). Quando assorbono luce, cambiano conformazione, attivando una serie di reazioni che producono impulsi nervosi. Questi vengono recepiti ed elaborati dal sistema nervoso, consentendo all’animale di vedere[2, 4].

Grazie alla vista, l’animale percepisce colori, forme, posizioni degli oggetti. Infatti, l’informazione sulla posizione di ogni fotocettore attivato viene conservata e inviata al cervello, che “mappa” le posizioni di tutti i recettori della vista e crea una “replica” del campo visivo. Le distanze vengono valutate sulla base di meccanismi innati e appresi, ad esempio indizi spaziali come l’occlusione (oggetti che risultano coperti da altri oggetti si troveranno dietro di essi)[1, 4 ,5].

Le cellule sensibili alla luce si possono trovare sul corpo dell’animale (come nei lombrichi) o in raggruppamenti di cellule contenuti all’interno di fossette, raccogliendo anche informazioni sulla provenienza del fascio luminoso (come nei gasteropodi del genere Patella). Strutture più complesse sono gli occhi, che a seconda della specie possono avere risoluzione (minima distanza distinguibile tra due elementi dello spazio), potere di messa a fuoco (capacità di vedere oggetti più o meno lontani) e raggio visivo (ampiezza di visione) molto diversi[2, 3].

Gli occhi degli artropodi (occhi composti) consistono in 8-10 fotocettori raggruppati attorno a lenti corneali con più o meno sfaccettature. La numerosità di sfaccettature migliora l’acuità visiva dell’animale. Vertebrati e cefalopodi (calamari e polpi) possiedono gli occhi più complessi (occhi a camera). Le loro lenti sono regolabili, consentendo di mettere a fuoco immagini a molte profondità diverse. Le iridi, restringendosi o rilassandosi, regolano la quantità di luce che entra nell’occhio[2].

Visione dei colori

Le diverse opsine assorbono differenti frequenze luminose, rendendoci sensibili a diversi colori. Si dividono in[2, 4]:

  • fotopsine, che sono presenti in cellule dette coni (a causa della loro forma, appunto, conica). Sono sensibili ai colori e capaci di attivarsi con la luce più intensa;
  • rodopsine, che si trovano nei bastoncelli. Queste cellule sensibili alla luminosità più debole: per attivarle sono sufficienti pochi fotoni. In genere sono decine di volte più numerosi dei coni.

Le specie notturne (come gatti, ratti e cervi) e le specie diurne (come gli esseri umani e i bovini) presentano occhi differenti. La visione notturna, ad esempio, richiede occhi più sensibili alla luce: in genere, grandi, con maggiore densità di bastoncelli e dotate di una struttura riflettente interna alla retina, il tapetum lucidum[2].

Rilevazione extraretinica della luce

La luce può essere rilevata anche da strutture esterne agli occhi. Gli uccelli la possono percepire all’interno dell’ipotalamo grazie alla presenza di opsine in alcune cellule neuroendocrine. Queste, ad esempio, regolano il comportamento riproduttivo dell’animale, esprimendo il rilascio di gonadotropine. Inoltre, la ghiandola pineale degli uccelli produce proteine fotosensibili[4].

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Magnetocezione (percezione dei campi magnetici)

Gli uccelli possiedono dei sistemi per la ricezione di segnali magnetici che facilitano nell’orientamento e in particolare nella migrazione. Tuttavia, non sono ancora ben noti. Si ritiene che alcuni di essi siano basati su ossidi del ferro (come la magnetite), minerali con proprietà ferrimagnetiche, ovvero capaci di funzionare come un magnete. È possibile che siano situati in prossimità o all’interno del becco, forse all’interno del nervo trigemino[4, 7].

Secondo alcuni studi, un’altra struttura coinvolta nella magnetocezione degli uccelli sarebbe la lagena, una struttura dell’orecchio interno. Infatti, questa contiene degli otoliti (anche detti otoconi, piccoli agglomerati di minerali) ricchi di ferro e i piccioni che ne vengono privati risultano incapaci di orientarsi. Un altro sistema magnetocettivo è situato nella retina e si basa sui criptocromi, proteine sensibili alla luce che avrebbero proprietà magnetosensoriali[4, 7].

Anche alcuni mammiferi, come il roditore Cryptomys hottentotus, risultano essere capaci di percepire i campi magnetici. Esperimenti con elettroencefalogrammi suggeriscono che anche gli esseri umani sarebbero sensibili ai campi magnetici, ma non sono stati individuati magnetorecettori nel corpo umano[7].

percezione animale del campo magnetico: al centro dell'immagine, un uccello visualizza diversamente i paesaggi che lo circondano in base a dove si trova il nord magnetico
Simulazione di come un uccello potrebbe visualizzare il campo magnetico. Immagine di Paul O’Neill [7], condivisa secondo la licenza CC BY-SA 4.0.

Elettroricezione (percezione di segnali elettrici)

In genere, gli Elasmobranchii (sottoclasse dei Condroitti, che include squali, razze e mante), i pesci mormiriformi e i pesci gimnotiformi possiedono organi tuberosi che contengono elettrorecettori. Questi organi sono incapsulati nella pelle in modo tale da risultare insensibili a lievi campi elettrici, come quelli prodotti dai muscoli del pesce stesso. Negli Elasmobranchi hanno una funzione principale di rilevazione degli impulsi muscolari e nervosi delle potenziali prede[2].

Mormiriformi e gimnotiformi sono pesci elettrofori (anche detti elettrogenici o elettrici): sono capaci di emettere campi elettrici. L’elettroricezione in queste specie è sfruttata soprattutto nella comunicazione sociale (conflitti, corteggiamento e difesa del territorio). In effetti, i loro sistemi percettivi sono più sensibili alle velocità di scarica della stessa specie e i loro cervelli sono molto sensibili ai cambiamenti di pattern di scarica[2].

La capacità di percepire i segnali elettrici, però, non è diffusa solo tra i pesci. I monotremi, come l’ornitorinco, combinano l’elettrocezione alla meccanocezione per cercare le prede grazie alle peculiari cellule presenti sul loro muso o becco (pushrod)[6].

Termoricezione (percezione dei raggi infrarossi)

Gli oggetti caldi emettono energia infrarossa. Noi la percepiamo tramite recettori tattili, ma alcuni animali possiedono una “visione del calore”: recettori sensibili ai raggi infrarossi che consentono loro di percepire oggetti caldi a distanza. In genere, si trovano all’interno di fossette situate sul muso. Ne sono dotati, ad esempio, crotali (vipere dalle fossette, della famiglia Crotalinae), pitoni (famiglia Pythonidae) e boa constrictor (famiglia Boidae), che grazie a questo senso possono tendere agguati alle loro prede, evitare predatori mammiferi e individuare le migliori zone per dormire[1].

percezione animale: un pitone reticolato e la termocezione
Pitone reticolato (Malayopython reticulatus). Gli asterischi bianchi evidenziano le fossette sensibili ai raggi infrarossi. Foto di Danleo, modificata e condivisa secondo la licenza CC BY 2.5.

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Chemocezione

I chemocettori sono recettori che si attivano quando s’incontrano con delle molecole, inviando impulsi nervosi che vengono elaborati dal sistema nervoso. Più molecole di legano a una cellula (e in particolare a specifiche proteine su essa presente), più la percezione dell’odore o sapore risulta forte. In genere, questi chemocettori sono presenti su ciglia o microvilli. Alcuni sono più specifici, ovvero rispondono solo a una certa molecola, mentre altri rispondono a più molecole diverse. Infatti, gli animali presentano quattro sistemi di chemocezione[4]:

  • olfattiva (senso dell’odorato);
  • gustativa;
  • vomeronasale (che rileva i feromoni, sostanze che stimolano comportamenti intraspecifici);
  • del trigemino (che rileva principalmente sostanze potenzialmente dannose).

Chemocezione olfattiva

Il sistema olfattivo è costituito dall’epitelio olfattivo, diverse cellule che si attivano quando si legano a determinate molecole presenti nell’ambiente grazie a ciglia modificate. Solo nei mammiferi esistono oltre mille diverse proteine recettoriali per l’olfatto. Alcuni animali, come i cetacei e i rettili marini, rilevano meno odori (microsmatici) perché esprimono meno geni di recettori olfattivi. Ad esempio, gli esseri umani esprimono circa 350 geni. Altri animali sono più sensibili agli odori (macrosmatici) in quanto presentano polimorfismi, esprimendo anche 1300 geni, come nel caso dei cani, che sono un milione di volte più sensibili agli odori degli esseri umani[1, 4].

L’odore ambientale svolge un ruolo importante nella socialità di molti mammiferi (come nel caso di coloro che marcano il territorio) ma anche nell’orientamento. Ad esempio, i colombi selvatici (Columba livia) non riescono più a ritrovare il proprio nido (homing) se il loro nervo olfattivo è compromesso[4].

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Chemocezione gustativa

La percezione dei gusti degli alimenti ingeriti consente di rilevare potenziali sostanze tossiche da espellere, con un grande vantaggio evolutivo. Negli invertebrati, il ruolo della chemocezione è svolto dalle setae, come per il senso dell’olfatto[4].

Nei vertebrati, il gusto si deve alle papille gustative o bottoni gustativi, strutture sulla superficie della lingua. Ma vi sono chemorecettori gustativi anche nel tratto gastrointestinale, a supporto della regolazione della digestione. Ad esempio, l’attivazione dei recettori del gusto umami nel colon stimola la peristalsi intestinale. La percezione di gusto dolce nell’intestino tenue stimola il rilascio di GLP-1 (glucagon-like peptide 1), che aumenta la secrezione di insulina, la quale riduce i livelli di glucosio nel sangue, e inibisce quella di glucagone, antagonista dell’insulina[4].

I vertebrati presentano geni che codificano per cinque diversi recettori, corrispondenti ai gusti dolce, amaro, salato, acido e umami (che percepisce il glutammato). Sembra che esistano anche recettori specifici per i grassi e l’acqua. Ma questi geni non sono attivi in tutte le specie. Ad esempio, gli animali dell’ordine Carnivora non percepiscono il gusto dolce e i pipistrelli (ordine Chiroptera) non percepiscono il gusto umami perché i relativi geni sono spenti. Sembra che i pinguini (famiglia Spheniscidae) non percepiscano né il gusto dolce, né l’umami, né l’amaro[4].

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Chemocezione vomeronasale

cavallo che solleva il labbro superiore
Reazione di Flehmen in un cavallo. Immagine di dominio pubblico.

Per la percezione di segnali chimici, molti mammiferi possiedono l’organo vomeronasale o di Jacobson. Quest’organo percepisce i feromoni, molecole che portano a cambiamenti comportamentali e fisiologici di chi riceve il segnale. Tipicamente, queste molecole attivano la reazione di Flehmen (o riflesso di Flehmen), in cui l’animale alza la testa e solleva il labbro superiore, facilitando l’entrata delle molecole nell’organo vomeronasale[2, 4].

I chemocettori dell’organo di Jacobson sono situati alla base del setto nasale o del pavimento orale e proiettano a strutture del sistema nervoso che includono l’organo olfattivo accessorio, l’amigdala e l’ipotalamo[4].

I sistemi di percezione vomeronasale delle scimmie del vecchio mondo (catarrine) e dei pipistrelli sembrano non essere funzionanti. Ci sono controversie sulla presenza di recettori vomeronasali e organo di Jacobson in Homo sapiens[4].

Chemocezione del trigemino

Il nervo trigemino è una delle dodici coppie di nervi cranici presenti nei mammiferi e negli uccelli. Ha funzioni motorie e, soprattutto, funzioni percettive. In particolare, le sue terminazioni nervose sono stimolate da alcune sostanze acide e, nei mammiferi, anche alla capsaicina, sostanza chimica che dà piccantezza ai peperoncini. La chemocezione del sistema trigeminale consente anche di percepire alcuni inquinanti atmosferici come ammoniaca, diossido di zolfo e diossido di carbonio[4].

Multisensorialità

Siamo abituati a pensare ai sensi come a qualcosa di ben distinto, ma in realtà tendiamo a percepire combinazioni simultanee di stimoli come un insieme coerente perché i sensi si arricchiscono a vicenda. Possediamo sia neuroni specializzati, sia neuroni multisensoriali, che si attivano all’attivazione di specifici recettori deputati alla ricezione di stimoli differenti (come vista e olfatto)[2].

La multisensorialità è il motivo per cui, ad esempio, i doppiaggi ben sincronizzati risultano perfettamente credibili, ma anche per cui i frutti di mare risultano più saporiti se udiamo il suono delle onde, le patatine sembrano più buone se sgranocchiano sotto i denti. Inoltre, è la ragione per cui l’emissione di aria che fuoriesce dalla bocca dei nostri interlocutori e il movimento delle loro labbra ci aiutano a capire cosa stanno dicendo. Lo vediamo con l’effetto mcGurk: una stessa clip audio sovrapposta a video differenti ci fa percepire suoni diversi. Un’esempio di illusione uditiva che chiarisce come avviene il processo della percezione[5].

Un’altra prova della stretta relazione tra i sensi si riscontra nel fenomeno della sinestesia, una condizione in cui uno o più sensi si sovrappongono. Si stima che ne sia colpita circa una persona su 2mila; esistono circa 54 sinestesie le persone che sentono i colori, vedono i rumori e altre combinazioni. Alcune persone si dicono anche capaci di vedere il tempo. Secondo le ricerche, questo si deve a connessioni supplementari o scambi di informazioni più intensi del normale tra aree cerebrali. Un esempio di sinestesia che possiamo sperimentare in molti è questa gif. Infatti, pur essendo un’immagine priva di suono, il 70% delle persone sente un suono quando la guarda (secondo un sondaggio a cui hanno risposto quasi 250mila utenti)[8, 9].

A sinistra, una figura piena di spigoli, angoli aguzzi; a destra, una figura arrotondata
Quale figura si chiama “kiki” e quale “buba”? È un esempio di come la percezione si fonda sulla coniugazione di sensi diversi: più del 90% delle persone che risponde a questa domanda indica come “kiki” la figura a sinistra e “buba” la figura a destra, a prescindere dal gruppo linguistico di appartenenza. L’effetto Buba-Kiki è stato scoperto nel 1929 da Wolfgang Köhler[Magic]. Immagine di Bendž, condivisa secondo la licenza CC BY-SA 3.0.

Referenze

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