Per la crescita delle piante esistono condizioni favorevoli, condizioni sfavorevoli e condizioni estreme. In quest’ultima categoria rientrano gli scavi minerari, caratterizzati da suoli aridi, sconnessi, poveri di nutrienti e carichi di sostanze inquinanti. Ecco perché le piante che riescono a crescervi risultano particolarmente interessanti, come nel caso della popolazione di orchidee appartenenti alla specie Epipactis helleborine tremolsii, che ha colonizzato il suolo della miniera abbandonata di Barraxiutta.
Miniere problematiche
Ci troviamo in Sardegna, terra dall’antichissima storia mineraria. Risalgono alla Preistoria, infatti, le prime tracce di sfruttamento del sottosuolo, che è proseguito con alterne vicende fino a vedere il proprio picco nel diciannovesimo secolo. Nel Novecento infatti, in particolare dopo il secondo dopoguerra, cominciò il declino dell’attività estrattiva sull’isola[3]. Il progressivo abbandono delle miniere non è però sempre andato di pari passo con le bonifiche ambientali necessarie, lasciandosi alle spalle diversi problemi ambientali che ancora oggi affliggono il territorio[1].
Per gli organismi viventi colonizzare i siti minerari dismessi è un compito arduo. Infatti, l’alta concentrazione di inquinanti nel suolo, la carenza di sostanze nutritive e la struttura stessa del terreno, resa arida e sconnessa dall’attività mineraria, rendono questi suoli particolarmente inospitali[1]. Esistono tuttavia organismi in grado di farcela.
Condizioni difficili, adattamenti specifici
Le sostanze inquinanti presenti nel suolo delle miniere abbandonate sono soprattutto metalli. Proprio i metalli però sono elementi essenziali per la sopravvivenza degli esseri viventi ed hanno un ruolo insostituibile in vari processi vitali. Pensiamo ad esempio al ferro coinvolto nel trasporto dell’ossigeno nel sangue o al magnesio, così importante per il buon funzionamento dei muscoli. La presenza di ioni metallici nella corretta quantità è però essenziale. Infatti, se le loro carenze sono in grado di causare il cattivo funzionamento dell’organismo, gli eccessi hanno effetti tossici e possono essere molto pericolosi. Inoltre alcuni metalli non sono affatto presenti nell’organismo e sono dannosi anche in piccolissime quantità.
Esistono tuttavia esseri viventi in grado di tollerare la presenza di metalli anche a concentrazioni elevate. Si tratta di batteri, piante e funghi che, nel corso dell’evoluzione, hanno sviluppato adattamenti che permettono loro di detossificare i metalli attraverso il metabolismo, trasformandoli in composti meno pericolosi, oppure di accumularli in organi specifici. Questi organismi sono alla base delle tecniche di biorisanamento, fitorisanamento e micorisanamento.
Incontrare queste forme di vita in natura suscita grande interesse, poiché comprendere le tecniche di sopravvivenza che mettono in atto può darci spunti per combattere l’inquinamento, oltre che aprire interessanti prospettive.
Una popolazione di orchidee pioniere
L’attenzione di un gruppo di ricercatori dell’Università di Cagliari, in collaborazione con le Università di Salerno, Milano-Bicocca e Varsavia, si è concentrata su una popolazione di Epipactis helleborine tremolsii, rara orchidea eurasiatica, cresciuta nei fanghi di flottazione di una discarica mineraria. Ci troviamo nel comune di Domusnovas, in provincia di Cagliari, nell’area mineraria dismessa di Barraxiutta[1]. La qualità della ricerca, coordinata dal Dott. Cortis, ha portato alla pubblicazione dello studio sulla prestigiosa rivista Ecotoxicology and Environmental Safety.
L’analisi condotta sul suolo ha mostrato una presenza molto scarsa di nutrienti essenziali, come azoto, fosforo e potassio. Al contrario, molto abbondanti sono risultati essere i metalli pesanti, in particolare ferro, zinco e piombo, ma anche manganese, rame, arsenico, cadmio, nichel e cromo. Alcuni di questi metalli sono tossici per le piante, mentre quelli che non lo sarebbero sono presenti in quantità tanto elevate da diventarlo[1].
Sono stati poi analizzati alcuni degli esemplari di E. helleborine tremolsii capaci di crescere su questo suolo tanto ostile. Per avere un termine di paragone, i risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti dall’analisi di alcuni esemplari della stessa specie campionati in una zona non contaminata della provincia di Nuoro[1].
Strategie di sopravvivenza ingegnose
Le orchidee della popolazione di Barraxiutta sono significativamente più basse delle conspecifiche, oltre ad avere foglie più corte e strette, segno che l’inquinamento del suolo ne inibisce la crescita. Anche il tasso di fotosintesi è minore, dimostrando che le piante vivono in condizioni di stress[1].
Inoltre, è stata rinvenuta un’alta concentrazione di metalli non solo nelle radici dell’orchidea, ma anche in stelo e foglie. La presenza nelle radici può sembrare più ovvia, dato che l’assorbimento degli ioni presenti nel suolo avviene proprio attraverso questo organo. Ma queste orchidee sono anche capaci di traslocare i metalli dalle radici alle parti aeree, dove vengono accumulati. Questo potrebbe essere un interessante sistema di detossificazione poiché, finita la stagione vegetativa, le orchidee mediterranee perdono foglie e fusto, trascorrendo il periodo freddo dell’anno sotto terra. Liberandosi delle parti aeree dunque, E. helleborine tremolsii si libererebbe periodicamente anche dei metalli tossici[1].
Infine un’ulteriore analisi è stata condotta su alcuni funghi del suolo. Strano? Non esattamente.
Simbiosi indispensabili
I funghi del suolo instaurano molto frequentemente delle simbiosi con gli apparati radicali delle piante. Per moltissime specie di orchidea questa simbiosi è indispensabile per la germinazione e la sopravvivenza, poiché i funghi sono coinvolti nella protezione delle radici e nell’assorbimento dei nutrienti. Non deve sembrare strano allora che i ricercatori si siano concentrati anche sui funghi trovati nelle radici di E. helleborine tremolsii.
Le analisi genetiche condotte dai ricercatori hanno permesso di stabilire che i funghi associati alle orchidee di Barraxiutta e di Nuoro appartengono agli stessi gruppi tassonomici. I dettagli con cui pianta e fungo interagiscono ed il ruolo dei funghi nell’assorbimento dei metalli pesanti sono invece ancora da investigare[1].
Nonostante sia in grado di assorbire ed accumulare efficacemente i metalli nei propri tessuti, E. helleborine tremolsii non è adatta ad essere impiegata per il fitorisanamento. La pianta infatti produce troppa poca biomassa per permettere una raccolta efficiente degli inquinanti. Tuttavia il ruolo dei funghi ancora tutto da scoprire apre interessanti prospettive[1].
Di chi sarà il merito della tolleranza ai metalli, del fungo o della pianta?
Referenze
- De Agostini A. et Al. – Heavy metal tolerance of orchid populations growing on abandoned mine tailings: a case study in Sardinia Island (Italy) – 2020
- Gruppo Italiano Ricerca Orchidee Spontanee, www.giros.it
- Sito che ripercorre la storia mineraria sarda dalla Preistoria agli anni ’90