La Community italiana per le Scienze della Vita

L’omosessualità non è contro natura

E abbiamo appena cominciato a studiarne i meccanismi biologici

L’omosessualità è una variante naturale del comportamento umano definita nell’enciclopedia Treccani come: “tendenza a rivolgere l’interesse libidico verso persone del proprio sesso, che può essere presente in forme e gradi diversi, ora latente e inconsapevole, ora manifesta e più o meno inibita o realizzata come pratica erotica”[1]. Il termine omosessualità è stato quindi assegnato ad una tendenza comportamentale prettamente dell’essere umano.

Tuttavia negli ultimi anni si stanno studiando i comportamenti omosessuali nel mondo animale e Bruce Bagemihl in una sua ricerca ha dimostrato che: “il regno animale lo fa con molta più diversità sessuale – tra cui omosessualità, bisessualità e sessualità non produttiva – di quanto la comunità scientifica e la società abbiano voglia di ammettere.”[2].

Similitudini e differenze

L’omosessualità nell’uomo è contro natura? Questa domanda è stata oggetto di accesi dibattiti sin dall’antichità su molti fronti: scientifici, sociali, politici e anche religiosi. La linea seguita per molti secoli (ancor oggi in vigore in molte Nazioni) ha origine nell’Antica Grecia dal filosofo Platone che nel libro VIII de “Le Leggi” (636 a. C.) condanna l’omosessualità come “contro natura”.

«Il piacere dell’amore […] è stato concesso dalla natura al sesso femminile e a quello maschile perché si unissero insieme in vista della generazione, mentre l’unione dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura ed è un’impresa temeraria compiuta da coloro che per primi erano mossi dall’intemperanza del piacere.»[3]. Questa tesi viene riportata dal filosofo greco a partire dall’osservazione del comportamento degli animali, in cui si nota che questi si uniscono solamente tra individui di sesso opposto, cioè “il maschio con la femmina”.

Tuttavia il pensiero di Platone non è solo contrario alle unioni tra individui dello stesso sesso, ma condanna anche i rapporti sessuali non finalizzati alla procreazione, in quanto anche questi “innaturali”, come si legge nello stesso testo: «i nostri cittadini non devono essere peggiori degli uccelli e di molti altri animali, i quali, generati in grandi frotte, sino all’età della procreazione, non ancora accoppiati, vivono casti e puri, e quando giungono all’età giusta, il maschio si accoppia con la femmina che più gli è gradita, e la femmina con il maschio, e vivono tutto il resto del tempo nella santità e nel rispetto della giustizia, mantenendo stabili i primi accordi del loro amore: bisogna che i nostri cittadini siano appunto migliori delle bestie.»[3].

Lo scritto di Platone è stato realizzato comunque in una Società in cui atti omosessuali, sia tra uomini che tra donne, venivano compiuti normalmente e, anzi, diversi poeti e filosofi li elogiavano come pratiche di amore puro e incontaminato, come ad esempio Saffo e Aristotele. Addirittura si pensa che in realtà il pensiero di Platone sia stato “contraffatto” a causa della copiatura tramite amanuensi che hanno cristianizzato i testi.

In generale, comunque, il pensiero occidentale ha ripreso come esempio il pensiero “omofobico” di Platone in quanto alle origini del Cristianesimo si è trovata una corrispondenza inequivocabile nella Bibbia, in cui si condannano i comportamenti omosessuali come “abominevoli”[4]: “Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole.” (Levitico 18:22), oppure “Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento.” (Romani 1:20-32).

Per questo motivo, quando il Cristianesimo prese il sopravvento nell’Antica Roma gli imperatori che parlavano “a nome di Dio” intrapresero una politica repressiva nei confronti degli omosessuali o “sodomiti” che dovevano essere condannati a morte, come si legge nel “Codice teodosiano”, una raccolta ufficiale di costituzioni imperiali voluta dall’imperatore romano d’oriente Teodosio II (439 d. C.): “Tutti coloro che sono usi condannare il proprio corpo virile, trasformato in femmineo, a subire pratiche sessuali riservate all’altro sesso, e che non hanno nulla di diverso dalle donne, espieranno un crimine di tal fatta fra le fiamme vendicatrici, dinanzi al popolo”[5].

Vergognarsi del proprio desiderio e della propria natura è il segno del peccato e del senso di colpa imposti dall’ideologia cristiana, ma anche, in generale, di diverse religioni, soprattutto monoteiste: così è stato inculcato nelle persone omosessuali il sentimento di essere contro natura e nelle persone eterosessuali il senso di normalità che permetteva loro di perseguitare il diverso.[6]

Weinberg (1972) ha etichettato questi atteggiamenti e comportamenti nei confronti dell’omosessualità come omofobia, che ha definito come: “paura di essere in stretto contatto con omosessuali uomini e donne così come la paura irrazionale, l’odio e l’intolleranza da parte di individui eterosessuali nei confronti di uomini e donne omosessuali”. Ancora oggi, in molti Paesi le discriminazioni e le persecuzioni contro i gay sono feroci e basate sulle stesse credenze radicate nella paura del diverso e dell’innaturale.

Il 24 Maggio 2019 la Corte Suprema del Brasile ha deciso che le discriminazioni contro gay e persone transgender devono essere perseguite penalmente in base alla legge sul razzismo, dal momento che per ora non esiste ancora una legge che punisca i reati per omofobia e transfobia.
Nello stesso mese, l’Alta Corte del Kenya ha rigettato la richiesta di abolire una legge dell’era coloniale che vieta le relazioni omosessuali, bandite dal XIX secolo e in Somalia e nel Sud Sudan. In questi Paesi l’omosessualità è un reato punibile addirittura con la morte. In Nigeria, invece, si rischiano 14 anni di carcere, mentre in Tanzania si può essere puniti con 30 anni di reclusione.

L’omosessualità avviene in natura

Nel 1999 Bruce Bagemihl pubblicò il libro Biological Exuberance in cui rilevò che più di 450 specie animali (soprattutto mammiferi e uccelli) dimostrano comportamenti omosessuali.

Per fare qualche esempio, ripresi anche da The Vision[7] e da BBC Earth[8]:

  • In alcune popolazioni di macaco giapponese (Macaca fuscata) il comportamento omosessuale tra le femmine non è solo comune ma è addirittura la norma: nei periodi di accoppiamento le femmine preferiscono formare coppie con altri individui dello stesso sesso e questo sembra essere dovuto al fatto che le femmine usano una maggior varietà di posizioni e movimenti rispetto ai maschi durante l’accoppiamento. Gli individui della coppia poi restano fisicamente vicini per tutto il periodo di accoppiamento per procurarsi il cibo e proteggersi a vicenda da possibili predatori[8].
  • I maschi delle mosche della frutta (Ceratitis capitata), nei loro primi 30 minuti di vita, cercano di copulare con qualsiasi altra mosca, maschio o femmina, e solo dopo in po’ impareranno a riconoscere l’odore delle femmine vergini. Questo approccio gli permette di aumentare al massimo le possibilità di incontrare anche casualmente una femmina fertile, in quanto avendo una vita molto breve potrebbero non avere un tempo sufficiente per trovarla dopo essere diventati capaci di riconoscerle attraverso l’odore[8].
  • Gli scarafaggi (Blattodea) maschi tendono ad accoppiarsi con altri maschi in modo da depositare su di loro il proprio sperma. Il vantaggio è che quando questi arriveranno ad una femmina, gli spermatozoi del primo maschio potrebbero essere trasferiti alla femmina senza che questi l’abbia fisicamente incontrata[8].
  • Nella specie di albatros di Laysan (Phoebastria immutabilis) si vengono a formare delle “coppie per la vita”, sono cioè uccelli monogami. Entrambi i sessi svolgono un ruolo paritario nell’incubazione l’uovo, nella manutenzione del nido e l’allevamento del pulcino e l’uccello che non cova di solito si allontana alla ricerca di cibo. In caso di morte del partner maschio, la femmina ne sceglie un altro. Tuttavia, quando non ci sono abbastanza maschi, le femmine tendono ad accoppiarsi per aiutarsi a vicenda nell’accudire i pulcini[7].
  • Nei maschi di pinguini papua (Pygoscelis papua) si creano delle coppie omosessuali stabili a partire dal corteggiamento, oppure per meglio accudire la progenie nel caso di morte del partner femmina[7].
  • Nei bonobo (Pan paniscus), ossia i nostri parenti più stretti nel mondo animale con cui condividiamo il 97,8% del nostro patrimonio genetico, sono stati descritti una gran quantità di comportamenti omosessuali, sia tra i maschi che tra le femmine. Oltre al provare piacere nel rapporto, come avviene nei macachi, le femmine sembrano utilizzare i rapporti omosessuali per legare con i membri del gruppo in posizione sociale più dominante e quindi salire nella scala sociale. Nei maschi sembra invece che sia i giovani che gli adulti si confortino l’un l’altro con abbracci e sesso[7].
  • Anche tra i delfini tursiopi (Tursiops truncatus) sono stati osservati molti comportamenti omosessuali[7].

Non è possibile predire la sessualità di una persona dal suo DNA

L’altezza, il peso, il colore dei capelli, anche certi aspetti della personalità… insomma tutte le caratteristiche visibili di una persona, vengono detti caratteri fenotipici.

Possono essere suddivisi in due grandi categorie:

  • Caratteri qualitativi, che hanno un’ereditarietà di tipo mendeliano poiché sono determinati da uno o pochi geni. Si tratta di caratteristiche non misurabili, possono solo essere descritte con una qualità (per esempio una forma o un colore) oppure in termini di presenza e assenza. Non sono influenzati dall’ambiente e la loro frequenza può essere espressa tramite un istogramma, nel quale ogni colonna rappresenta una delle versioni di quel carattere (una categoria) e la sua altezza è la frequenza riscontrata nella popolazione. Alcuni esempi: il colore degli occhi, presenza/assenza di lentiggini, attaccatura dei capelli a punta oppure no, etc.
  • Caratteri quantitativi, che sono determinati da un gran numero di geni e dall’ambiente. Si tratta di caratteristiche misurabili di un individuo, quali l’altezza, il peso, la fertilità, la predisposizione all’insorgenza di malattie come diabete o ipertensione… Tutti caratteri complessi che si esprimono con valori diversi in ciascun individuo della popolazione potendo assumere tutti i valori numerici all’interno di un intervallo continuo. Rappresentandone graficamente la frequenza non è raro ottenere una curva normale o gaussiana, che mostra come questi caratteri si esprimono in un continuum di valori che non individua delle categorie, come invece i caratteri qualitativi.

La differenza principale tra queste due categorie è quindi come questi si esprimono: un carattere di tipo qualitativo si esprime come un interruttore, cioè la presenza dell’allele dominante darà come risultato ON (es. presenza di lentiggini), mentre l’allele recessivo darà come risultato OFF (es. assenza di lentiggini). Un carattere di tipo quantitativo, invece, si esprime come un interruttore dimmer o regolatore di intensità luminosa, che può assumere tantissimi valori; tipico esempio è il peso della persona, che può andare da un minimo ad un massimo e tutti i valori intermedi.

Inoltre, un carattere quantitativo può anche essere influenzato dall’ambiente in cui l’individuo si trova: anche se i miei geni determinano il fatto che io ho un metabolismo lento, e quindi tenderei ad ingrassare, se vivo in una Paese dove il cibo scarseggia sicuramente avrò comunque un peso basso rispetto alla media della popolazione mondiale.

L’orientamento sessuale è un carattere quantitativo oppure qualitativo?

Un recente articolo uscito su Science[9] riporta i risultati di una ricerca condotta da un gruppo internazionale di ricercatori su 470mila persone, maschi e femmine, di diverso orientamento sessuale (auto-dichiarato in questionari). È stato sequenziato e analizzato il DNA degli individui attraverso GWAS, una tecnica che sfrutta migliaia di marcatori molecolari per cercare un’associazione tra la presenza di alcune sequenze geniche e, in questo caso, il comportamento sessuale.

Il risultato è stata l’identificazione di cinque regioni cromosomiche significativamente associate al comportamento omosessuale (same-sex sexual behaviour). Questi geni sono coinvolti nella regolazione della produzione di alcuni ormoni sessuali e nella sintesi di certi recettori per l’olfatto. La presenza di cinque regioni del nostro genoma associate al comportamento omosessuale significa che sono come minimo cinque i geni coinvolti, probabilmente di più.

Come era semplice immaginare per via della diversità di orientamenti sessuali esistenti, quindi, l’omosessualità non si esprime come un carattere categorico (ossia “essere gay/non essere gay”) ma è piuttosto un carattere quantitativo, determinato da molti geni. Inoltre, come sottolinea Ganna, l’autore principale dello studio: “le cinque varianti che abbiamo trovato spiegano meno dell’1% della variabilità nel comportamento sessuale. È probabile che esistano migliaia di altri geni legati in qualche modo al comportamento sessuale”.[10]

Questo studio ha per sua natura valore preliminare a ricerche più approfondite e quindi un valore informativo molto limitato. Se qualcuno volesse prevedere l’orientamento sessuale di una persona a partire dal suo DNA, allo stato attuale della conoscenza avrebbe infatti solo il 25% di probabilità di avere un risultato corretto. Questo perché l’orientamento sessuale è un carattere fortemente poligenico e quantitativo[9] e la sua espressione, esattamente come riporta Ganna: “è più simile a quello dell’altezza che a quello del colore degli occhi: c’è una componente genetica ma che da sola non è determinante e su di essa agiscono l’ambiente, le esperienze, gli stimoli” [10]. Queste cose che determinano la sessualità di una persona esattamente come avviene per il suo carattere.

Questo non significa che una persona “scelga” di essere omosessuale o eterosessuale, ma piuttosto che la componente genetica delle preferenze sessuali da sola non è determinante, in quanto il contesto sociale ne condiziona profondamente l’espressione: sicuramente vivere in un ambiente fortemente omofobo non permette la libera manifestazione dei propri geni e porterà ad una negazione sia interiore che esteriore del proprio orientamento e, al contrario, il fatto che oggi i giovani (almeno nell’area geografica in cui è stato fatto l’esperimento) siano più in grado di rilevare il proprio orientamento sessuale senza pregiudizi, determina, probabilmente, una più libera espressione del proprio essere.[11]

Questo non significa che debbano essere giustificati i metodi di coercizione, o anche dette “terapie di conversione”, praticate in passato, perché l’ambiente sociale ha degli effetti solo sull’espressione della sessualità, non sulla sua origine. Questo concetto viene spiegato meglio nell’articolo di Stefano Spina “L’omosessualità: non si cura ciò che non è una malattia”.[12]

È possibile rapportare l’omosessualità nell’uomo e negli animali?

La nostra società da sempre impone “categorie” in cui gli individui sono classificati in virtù del loro comportamento, abbigliamento e atteggiamenti, ma quanto più una società definisce delle categorie di genere, tanto più finisce per creare delle “gabbie” in cui una persona può sentirsi intrappolata. Nel mondo animale lo stabilirsi delle gerarchie e la lotta per la sopravvivenza non prendono in considerazione l’orientamento sessuale, che in tanti casi è molto più complesso di quanto si pensi. In ogni caso, l’espressione della sessualità negli animali avviene in assoluta libertà e senza che essi vengano discriminati dai loro conspecifici.

Aveva quindi ragione Karl Kertbeny, il primo a coniare il termine “omosessualità”, nel sottolineare che l’omosessualità è un rilevante problema antropologico e l’omofobia lo è altrettanto, se non ancora di più. Infatti nella nostra specie gli omosessuali “vengono indotti a nascondere il proprio orientamento, a dissimularlo dinnanzi a terze persone, a rinnegare una parte importante della propria identità, pena la non accettazione, discriminazione ed esclusione dai gruppi sociali di vario genere: scolastico, lavorativo, amicale, politico ecc.”[13]

Anche se si conosce ancora veramente poco del vasto mondo del comportamento degli animali non umani, sicuramente per quanto riguarda la nostra specie la sessualità si combina con una dimensione emotiva che spesso in campo scientifico viene trascurata, ma che in questo caso è ineliminabile dal concetto: bisogna riconoscere che il principio fondamentale della sessualità non è solamente la riproduzione, ma “il piacere” e l’intimità che si instaura con l’altro. La ricerca di intimità infatti non è esclusivamente basata sul genere, sul corpo dell’individuo, ma sulle sue azioni, sui comportamenti e sulle idee. Come sosteneva John Money: «il termine “omosessuale” restringe il concetto al sesso (stesso sesso) a scapito dell’amore (omofilia)» ed è il caso di riconoscere finalmente che la caratteristica fondamentale di una persona omosessuale «non è (solo) il sesso, ma l’amore»[3].

Sembra proprio, quindi, che non sia possibile rapportare il comportamento omosessuale degli uomini a quello degli altri animali perché, innanzitutto, in natura non è stata documentata l’esistenza dell’omofobia, che è una malattia solo della specie umana, ed inoltre, il comportamento dell’uomo è dettato da una gran quantità di fattori che non possono essere esclusi dalla sfera sessuale, quali la dimensione emotiva e l’intimità. Per entrare veramente in contatto del “perché si è eterosessuali/omosessuali/transessuali”, oltre alla ricerca scientifica, al DNA e ai geni, si dovrebbero esplorare tante altre sfere del comportamento, quali la psicologia e l’antropologia.

Revisione: Professor Albertini Emidio, docente di Genetica e Biotecnologie genetiche nel Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali e Presidente del Comitato Unico per le Pari opportunità dell’Università degli Studi di Perugia.

Fonti

  1. Enciclopedia Treccani – omosessualità.
  2. Bruce Bagemihl su “Gay Lib for the animals: A New York look at homosexuality in Nature”, 2/1/1999, Publisher Weekly
  3. Platone, Le Leggi – traduzione a cura di Patrizio Sanasi
  4. Francesco Remotti (2015) L’omosessualità e il criterio della somiglianza. Diritto e Questioni pubbliche, vol. 15 n 1, pp. 32-51.
  5. Dott.ssa Roberta Calvi – Psicologa e Sessuologa. Analisi storica del pregiudizio omofobo (2018).
  6. Letizia Tomassone (2009) Cristianesimo e omosessualità, parte terza. 
  7. Alessia Poli (2019) L’omosessualità non è “contro natura”. Gli animali lo dimostrano. The Vision. 
  8. Melissa Hogenboom (2015) Are there any homosexuol animals. BCC Earth.
  9. Andre Ganna et al. (2019), Large-scale GWAS reveals insights into the genetic architecture of same-sex sexual behavior.
  10. L’Adige (2019) No, non esiste un gene dell’omosessualità: fattori culturali e ambientali.
  11. Mara Magistroni (2019) No, non esiste il gene dell’omosessualità
  12. Stefano Spina. “L’omosessualità: non si cura ciò che non è una malattia”. BioPills.
  13. S. Salvaneschi. Omofobia: la paura del “diverso”.
Articoli correlati
Commenta