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Omeostasi

Ogni organismo, dal più semplice al più complesso, svolge diverse funzioni che gli consentono di sopravvivere a seconda delle proprie necessità e degli stimoli ricevuti dall’ambiente circostante. Lo stato in cui si ottiene la migliore performance a fronte del minor dispendio energetico è definito stato di omeostasi (stato di normalità).

Che cos’è l’omeostasi?

Già nel 1878 Claude Bernard (fisiologo francese e fondatore della medicina sperimentale), descriveva l’importanza del mantenimento di un ambiente interno costante che permettesse il funzionamento dei diversi processi biologici nonostante le variazioni dell’ambiente esterno. Questo concetto verrà ulteriormente sviluppato da Walter Cannon (fisilogo statunitense), il quale nel 1929 conierà il termine omeostasi. Con questo termine egli descriveva “il mantenimento di condizioni costanti all’interno di un sistema”. Essenzialmente tutti gli organi e i tessuti di un organismo svolgono delle funzioni che permettono, in un modo o nell’altro, di mantenere delle condizioni relativamente costanti all’interno dell’organismo stesso.

Distinguiamo:

  • Omeostasi intracellulare: assunzione di nutrienti per l’energizzazione cellulare, controllo del volume cellulare e del pH, sintesi di proteine e sistemi di detossificazione.
  • Omeostasi tissutale: controllo della costanza numerica della popolazione cellulare, dello stato di differenziazione cellulare e dei processi rigenerativi.
  • Omeostasi sistemica: controllo dell’equilibrio idrosalino, termoregolazione, regolazione della glicemia, omeostasi pressoria.

Come fare a mantenere l’omeostasi?

Affinché un organismo mantenga l’omeostasi a fronte degli effetti delle variazioni dell’ambiente esterno, inclusi danni e malattie, possiede diversi sistemi di controllo. Essi permettono di valutare e mantenere le concentrazioni di nutrienti, ioni e sostanze necessarie al funzionamento cellulare, nonché pH, pressione arteriosa e temperatura corporea entro precisi intervalli. Questi sistemi sono costituiti da “controllori” ed “effettori”. I controllori sono in grado di monitorare costantemente specifici valori e di produrre dei segnali proporzionali a essi. Gli effettori, sulla base dei segnali ricevuti e del livello di alterazione rispetto ai range di normalità, agiranno per riportare il sistema ai livelli omoestatici.

Per esempio, il sistema respiratorio regola la concentrazione di anidride carbonica nel fluido extracellulare in concerto con il sistema nervoso. Il fegato e il pancreas regolano le concentrazioni di glucosio e i reni quelle dei vari ioni etc.

Feedback negativo

Questi sistemi di controllo sono inoltre in grado di autoregolarsi. Nello specifico, la maggior parte di questi sistemi opera per mezzo di un feedback (retroazione) negativo. Che cosa vuol dire? Se, per esempio, il sistema percepisce un valore più basso del dovuto, esso si attiva per aumentarne la concentrazione. La percezione del progressivo innalzamento che ne risulta, funzionerà da feedback negativo. Esso cioè, farà sì che il sistema interrompa la sua stessa azione una volta raggiunta l’omeostasi.

Feedback positivo

Se consideriamo il concetto di feedback positivo, possiamo facilmente immaginare che esso porti a un circolo vizioso che allontana dai valori omeostatici. Per esempio, all’aumentare di un valore ci sarebbe una spinta a portarlo verso valori sempre più alti comportando quindi notevoli rischi per l’organismo. Esistono però dei casi in cui il feedback positivo risulta vantaggioso. Un esempio si riscontra durante il parto. Quando le contrazioni della parete uterina diventano sufficientemente forti si ha uno stiramento della cervice. A questo punto lo stiramento della cervice stessa causa contrazioni più forti che a loro volta aumentano lo stiramento stesso, fino alla nascita.

Altri esempi si trovano nella coagulazione sanguigna e nella formazione dei segnali nervosi. In ogni caso, in ciascun esempio in cui l’organismo sfrutta il sistema del feedback positivo, esso è a sua volta regolato da un feedback negativo che prende piede una volta raggiunto lo scopo del sistema di controllo.

Perturbamento dell’omeostasi

Il perturbamento dell’omeostasi può portare l’organismo a modulare le proprie funzioni in modo da ottenere un adattamento alle nuove condizioni, e in questo modo raggiungere un nuovo equilibrio. In un soggetto, un agente patogeno può determinare una deviazione dall’omeostasi o una restitutio ad integrum (risposta difensiva efficace → o il danno non avviene oppure il tessuto danneggiato torna a essere uguale a prima) con la conseguente guarigione. In alternativa, si innesca un processo patologico che comporta danni reversibili o irreversibili, qualora la noxa patogena persista (l’organismo non reagisce al danno → morte cellulare).

Le manifestazioni patologiche sono le deviazioni dello stato di salute ed hanno diversi gradi di gravità:

  • Fenomeni morbosi: semplici e poco gravi. Esempi sono: abrasione, ipertrofia rigenerativa, l’arrossamento o il pallore della cute.
  • Processo morboso: associazione di più fenomeni morbosi. Esempi: febbre e infiammazione.
  • Stato morboso: non è una patologia in evoluzione ma una definita manifestazione patologica stazionaria.
  • Malattia: condizione dinamica/evolutiva che si manifesta con l’alterazione anatomica e funzionale di uno o più organi. Esempio: Alzheimer.
  • Sindromi: più sistemi, con più malattie, contribuiscono a uno stato patologico. Esempi: sindrome metabolica → alterazione glicemia che porta al diabete.

Omeostasi intracellulare

Come ben sappiamo, le cellule sono circondate dalla membrana cellulare, deputata al controllo dello scambio di sostanze tra l’interno e l’esterno della cellula. Per far ciò esistono diversi meccanismi di trasporto passivo o attivo. Nello specifico è il trasporto attivo, quello cioè in grado di agire in direzione opposta rispetto ai gradienti di concentrazione delle varie sostanze, a permettere di mantenere le grandi differenze di concentrazione di ioni tra l’interno e l’esterno della cellula.

Composizione dei fluidi interni dell’organismo

Il fluido extracellulare contiene alti livelli di ioni sodio, cloro e bicarbonato, più nutrienti vari quali ossigeno, glucosio, acidi grassi e amminoacidi; tutte sostanze indispensabili per la sopravvivenza delle diverse cellule che compongono tessuti e organi del nostro corpo. Contiene poi anidride carbonica e altri prodotti di scarto cellulare che vengono trasportati ai polmoni o ai reni per essere eliminati. Il fluido intracellulare invece, contiene alti livelli di ioni potassio, magnesio e fosfato.

Pompa sodio/potassio

Il meccanismo di trasporto attivo che è stato maggiormente studiato è sicuramente la pompa sodio/potassio. Essa è in grado di trasportare 3 ioni sodio verso l’esterno della cellula in cambio di 2 ioni potassio, mantenendo così anche una tensione elettrica negativa all’interno delle cellule. Questa pompa è una proteina carrier, costituita da 2 subunità di cui una con azione ATPasica, in quanto, per consentire il trasporto di questi ioni contro il loro gradiente di concentrazione, è necessario un dispendio energetico.

All’inizio del suo ciclo di funzionamento, la pompa si trova in uno stato a bassa energia, essa è rivolta verso l’interno della cellula ed ha alta affinità per il sodio. Il legame con 3 ioni sodio favorisce il passaggio allo stato ad alta energia: stimola l’attività ATPasica e un cambio di conformazione che farà rivolgere la pompa verso l’esterno della cellula. A questo punto l’affinità per il sodio è ridotta e potrà legare 2 ioni potassio. Questo fa sì che la pompa perda il gruppo fosfato ottenuto dall’attività ATPasica e quindi ritorni a uno stato a bassa energia, rivolto verso l’interno e con alta affinità per il sodio. Alcune cellule, quali i neuroni, utilizzano fino al 70% dell’energia cellulare per il funzionamento costante di questa pompa.

Funzioni secondarie della pompa sodio/potassio

Il fatto che la cellula mantenga una concentrazione di sodio all’esterno maggiore che al suo interno, rappresenta un modo per essa stessa di immagazzinare energia. La tendenza del sodio a cercare di entrare nella cellula può infatti essere sfruttata per far entrare con esso altre sostanze utili. Questo fenomeno, noto anche come co-trasporto, è una forma di trasporto attivo secondario. Esso viene utilizzato per esempio per trasportare glucosio e diversi amminoacidi all’interno della cellula o per espellere calcio e idrogeno all’esterno. In entrambi i casi sono necessari trasportatori specifici che vengono attivati quando entrambe le molecole sono legate a esso.

Controllo del volume cellulare

Le cellule presentano diverse sostanze ad alte concentrazioni al loro interno, nonché strutture proteiche e molecole organiche che non possono passare la membrana. Sappiamo però che, per il principio dell’osmosi, l’acqua si sposta verso i compartimenti ad alta concentrazione di soluti. Appare quindi evidente che le cellule debbano attrarre al loro interno grandi quantità di acqua. Come mai non si gonfiano fino a esplodere?

Una delle funzioni più importanti della pompa sodio/potassio è proprio quella di contribuire al mantenimento del volume cellulare. Attraverso la sua azione la cellula manda verso l’esterno 3 ioni sodio in cambio di 2 ioni potassio. Questo meccanismo comporta una perdita netta di ioni verso l’esterno della cellula. Ciò determina un processo di osmosi conseguente, ergo una fuoriuscita di molecole d’acqua. La pompa sodio/potassio effettua un controllo costante del volume cellulare e si attiva nei casi in cui la cellula inizi a gonfiarsi, ripristinando l’omeostasi.

Referenze

  • Fisiologia. Molecole, cellule e sistemi, a cura di Egidio D’Angelo e Antonio Peres – Edi ermes
  • Kotas M. et al. (2015) Homeostasis, Inflammation, and Disease Susceptibility. Cell 160
  • Robbins e Cotran. Le basi patologiche delle malattie. Patologia generale
  • Textbook of Medical Physiology, thirteenth edition, Guyton and Hall – Elsevier
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