La diffusione di nuove specie coltivate e l’affermarsi di popoli e civiltà economicamente e socialmente più evolute è un binomio ricorrente in numerosi studi di paleobotanica e di biologia evoluzionistica. In questo articolo verranno ripercorse le principali tappe di quel lungo viaggio che ha portato alla diffusione di Vitis vinifera L., più comunemente conosciuta con il termine vite, e che vede il suo inizio quasi 8.000 anni fa nell’area dei Monti Zagros, in quella terra posta tra la Turchia e l’Iran.
Il sincronismo nella Rivoluzione Neolitica e la nascita dell’agricoltura
Con il termine Rivoluzione Neolitica facciamo riferimento alla nascita dell’agricoltura intesa come l’insieme dei processi di semina o allevamento intenzionale e successiva domesticazione di piante ed animali. Se il concetto di domesticazione animale ci è familiare, appare invece assai più curioso associare il concetto di domesticazione alle piante. Ma cosa si intende esattamente per domesticazione delle piante? Molto semplicemente, la domesticazione si riferisce ai profondi e numerosi cambiamenti morfologici e fisiologici che i vegetali coltivati manifestano rispetto agli antenati selvatici. Questi cambiamenti sono opera della selezione operata dall’uomo nel corso dei millenni e che sottendono profonde modificazioni nella genetica degli organismi.
Circa 10.000 anni fa nascono, in maniera sincrona e del tutto indipendente tra di loro, le civiltà del frumento, del riso e del mais, rispettivamente in Medio Oriente (Mezzaluna fertile), Cina Sud Orientale e Messico.
Una domanda che assilla da tempo molti studiosi è quale sia stata la molla che ha fatto scattare in modo sincrono la rivoluzione neolitica nei tre luoghi remoti prima citati e non comunicanti fra loro. La risposta sembra essere nella fine delle ultime glaciazioni e nella conseguente mitigazione del clima europeo negli ultimi 10.000 anni ( Olocene), elementi che ben presto favorirono e promossero la lenta transizione delle popolazioni da cacciatori-raccoglitori nomadi a popolazioni stanziali dedite all’agricoltura.
Ricostruire 10.000 anni di storia agro-climatica con i proxy data
La domanda che tutti vi starete facendo è: “Come è possibile risalire così indietro nel tempo fino alle origine delle piante coltivate?” Ed ancora: ”Come facciamo a ricostruire la storia del clima degli ultimi 10.000 anni?”
Per rispondere a queste domande è necessario ricorrere all’analisi dei cosiddetti dati fisici o biologici, in gergo “proxy data”, che sono in qualche misura influenzati dai dati metereologici. Fra i proxy data più importanti rientrano ad esempio le bolle di gas o le polveri presenti nei sedimenti glaciali; estraendo lunghe “carote” di questo ghiaccio antico, e analizzandole in laboratorio, possiamo infatti comprendere l’evoluzione della composizione chimica della nostra atmosfera, comprese le concentrazioni di gas serra, e del clima nel lontano passato.
O ancora la paleopalinologia, ossia lo studio dei pollini e delle spore fossili, fornisce informazioni su quella che era la distribuzione dei vegetali in passato e dunque quali fossero le condizioni climatiche dominanti. Infine, preziose informazioni vengono fornite dalla disciplina della dendrocronologia, cioè dalla datazione assoluta basata sulla differente produzione di legno negli alberi dei climi temperati; ciascun anello concentrico, visibile operando una sezione trasversale del tronco, corrisponde a un’annata di produzione e misurandone l’ampiezza e la densità è possibile risalire nel tempo a quelle che erano le condizioni climatiche di quel luogo: solitamente anelli più stretti e densi appartengono ad anni freddi e siccitosi, e viceversa.
Integrando i risultati ottenuti dall’analisi dei proxy data precedenti è stato possibile operare una ricostruzione dell’andamento approssimativo delle temperature medie dell’Olocene.
In sintesi, aiutandoci con la figura, è possibile evincere che le temperature globali nel corso degli ultimi 10.000 anni hanno manifestato un optimum termico molto marcato, conosciuto come il Grande optimum Postglaciale tra i 7000 ed i 4000 anni fa circa, seguito da un progressivo deterioramento climatico, temporaneamente interrotto da modesti optimum secondari; tra questi troviamo l’optimum termico Miceneo, tra i 4000 ed i 3000 anni fa circa, l’optimum termico di Età Romana, tra i 2000 e di 1000 anni fa circa, e l’optimum termico Medievale al quale ha fatto seguito la Piccola Era Glaciale perdurata fino al 1850. In seguito il clima si è nuovamente mitigato e si è fatto ingresso nel XX secolo, caratterizzato da temperature miti e piogge abbondanti, favorevoli all’attività di agricoltura.
Il viaggio della vite: dai luoghi di origine all’areale euro-mediterraneo
Nel corso delle glaciazioni quaternarie (ultimi 2,5 milioni di anni) la zona mite del Gran Caucaso divenne un’importante zona rifugio per l’antenato selvatico della vite ( Vitis vinifera ssp. sylvestris). Ciò probabilmente promosse il consumo di uva selvatica da parte delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori, preparando il terreno per la sua successiva valorizzazione da parte delle popolazioni neolitiche sub-caucasiche.
Alcuni dei caratteri oggetto di selezione hanno riguardato, tra gli altri, le dimensioni delle bacche, dei grappoli e la sessualità della pianta. La vite coltivata (Vitis vinifera ssp. sativa) si distingue infatti dall’antenato selvatico per la presenza di bacche dalle dimensioni e dal contenuto zuccherino maggiori, nonché da grappoli più grandi e compatti e da fiori maschili e femminili raggruppati in un unico individuo (piante monoiche).
I reperti archeologici ed archeobotanici hanno evidenziato come l’area compresa tra le catene del Caucaso e dei monti Zagros fu sede delle prime attività di vinificazione, come indicano le analisi chimiche dei residui secchi rinvenuti in recipienti ceramici di oltre 8000 anni fa in varie località georgiane ed iraniane degli Zagros settentrionali. A partire da 5000-6000 anni fa si registrano anche ritrovamenti di semi carbonizzati, bacche, legno e resti di polline anche in luoghi al di fuori dell’areale primario di distribuzione dell’antenato selvatico della vite. Questo perché tra 6000 e 2000 anni fa il centro di origine della vite coltivata migra dalla zona sub-caucasica verso l’Europa e il Nord-Africa, migrazione favorita dagli spostamenti delle popolazioni di Homo sapiens sempre più numerose ed alla ricerca di nuovi territori da coltivare in virtù di un clima sempre più mite.
L’espansione all’areale europeo ha fatto si che la vite si sia dovuta adattare progressivamente agli ambienti a clima oceanico, caratterizzati cioè da una buona piovosità annua e da una stagione estiva molto calda. L’adattamento è stato favorito ovviamente dall’uomo che ha selezionato via via le varietà che meglio si adattavano ai nuovi areali climatici che venivano colonizzati.
Dopo aver fatto tappa in Egitto e poi in Grecia, dove testimonianze storiche ci dicono che vite, uva e vino erano già ben distinti, la vite arrivò anche nell’Italia centro-meridionale intorno al 9° secolo a.C. verso la fine dell’Optimum termico Miceneo; a questo intervallo di clima favorevole ha fatto seguito una fase fredda piuttosto ampia fra l’8° ed il 5° secolo a.C., segnando un’iniziale battuta di arresto nella diffusione della specie. Successivamente, la progressiva mitigazione del clima nel 4° secolo favorì la sua espansione nel Nord-Italia ad opera degli Etruschi, che allevavano tradizionalmente le viti autoctone su supporti vivi come l’acero campestre.
Mettendo insieme varie testimonianze storiche, è stato inoltre possibile ipotizzare che la Pianura Padana presentasse, al culmine dell’Optimum termico Medioevale, temperature simili a quelle di Alghero, mentre l’Italia meridionale era addirittura interessata da fenomeni di desertificazione. Queste condizioni climatiche anomale e piuttosto particolari, hanno fatto si che l’areale della vite si spostasse verso latitudini più elevate, arrivando fin sulle Alpi della Valle d’Aosta a 1350 m di altitudine.
Con il susseguirsi meno marcato di fasi climatiche più miti alternate a fasi climatiche più fredde ed ostili, arriviamo fin all’epoca moderna. Circa la cosiddetta Piccola Era Glaciale (PEG) , che ha interessato il pianeta tra la prima metà del XIV e la prima metà del XIX secolo, occorre peraltro dire che non si caratterizzò come periodo omogeneamente freddo, ma per l’alternarsi di fasi a più mite clima atlantico e di fasi molto fredde. Alcuni studiosi attribuiscono alla PEG l’introduzione dello Champagne con la vinificazione in bianco delle uve di Pinot nero che non raggiungevano la maturazione.
Infine, a proposito di grandi viaggi, non possiamo non parlare della via marittima per le Americhe, fondamentale per l’arrivo e l’esportazione di innumerevoli piante coltivate nel nuovo mondo. La fine della PEG (1850 ca) coincise infatti con l’avvento in Europa di tre fitopatie di origine americana (oidio, peronospora e fillossera). Questo fatto stravolse la viticoltura europea dell’epoca, specialmente quella francese, imponendo da un lato il ricorso a periodici trattamenti chimici tradizionali, come zolfo e rame per combattere rispettivamente oidio e peronospora, e dall’altro l’introduzione di portainnesti di specie americane (Vitis berlandieri, V. rupestris ecc) resistenti alla fillossera.
Origine della vite coltivata: cosa ci dice la Genetica?
La grande variabilità genetica intraspecifica della vite coltivata, rilevabile grazie alle innovative analisi di biologia molecolare, è oggi spiegata con la teoria dell’ibridazione: le centinaia di uve che conosciamo, siano esse bianche, rosse, a chicchi grandi, piccoli, da tavola o da vino, derivano da ripetute ibridazioni o incroci.
Ovviamente, come già discusso nei paragrafi precedenti, il viaggio della vite inizia in quello che viene definito come il centro primario di domesticazione, che abbiamo visto essere confinato nell’area sub-caucasica dei Monti Zagros, per poi proseguire in varie direzioni segnate da tappe in ognuna delle quali avveniva un evento di ibridazione tra le forme coltivate e quelle spontanee. Ecco che ogni tappa del viaggio diviene un nuovo centro di differenziazione e di ulteriore diffusione della vite coltivata (si parla infatti di teoria policentrica).
Più nel dettaglio, in ogni incrocio avveniva un fenomeno che in genetica è detto di “introgressione genica” o di “ibridazione interspecifica”: geni o organuli di una specie (in questo caso quella selvatica) vengono inglobati permanentemente nel DNA di un’altra specie (quella coltivata) in seguito a ripetuti ed estesi fenomeni di ibridazione. Tale fenomeno ha portato ad un aumento della diversità genetica intraspecifica ed alla nascita di nuove varietà e cultivar.
A complicare ulteriormente il quadro per il lavoro di archeobotanici e genetisti, non sono mancati alcuni processi di domesticazione indipendenti al di fuori di questi “mescolamenti”; in Italia, ad esempio, gli Etruschi erano già a conoscenza del vino poiché coltivatori della vite selvatica sin da prima che i Greci ed i Romani diffondessero le varietà di uva coltivata nella penisola.
Conclusione
A conclusione di questo viaggio alla scoperta delle origini della vite coltivata, è opportuno riflettere su un aspetto peculiare che caratterizza l’evoluzione della vite, ossia la sua stretta associazione con il percorso evolutivo della specie umana; vi sono molti punti di contatto tra la definizione della specie umana e la nascita di numerosissime varietà di vite coltivata.
Studi recenti hanno infatti dimostrato che la variabilità genetica dei vitigni coltivati in Europa aumenta spostandosi dalle zone più orientali verso Occidente, a conferma di quel legame ancestrale che ci lega da sempre alle piante, patrimonio da riscoprire e tutelare per garantire la sopravvivenza stessa del genere umano.
Bibliografia
- De Mattia, F., Imazio, S., Grassi, F. et al. Rend. Fis. Acc. Lincei (2008) 19: 223. https://doi.org/10.1007/s12210-008-0016-6
- Luigi Mariani (2017). “ Origine e viaggi avventurosi delle piante coltivate”, Mattioli 1885.
- Luca Mercalli con V. Acordon, C. Castellano e D. Cat Berro (2009). “Che tempo che farà- breve storia del clima con uno sguardo al futuro”, Rizzoli.