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Namibia, geo-avventura

Nell’agosto del 2019 sono stato guida naturalistica in un viaggio in fuoristrada. Abbiamo attraversato la Namibia, il Botswana settentrionale, per arrivare sino alle meravigliose cascate Vittoria, in Zimbabwe (potete leggere il mio articolo con foto originali cliccando qui). 4000 chilometri su tre stati: è stata una grande avventura. Nell’estate 2020 ne trarrò un libro, un diario di viaggio, e sarò nuovamente guida nel prossimo tour ad agosto (pandemia permettendo). Ci tengo a ringraziare Carlo Guliardini e Mariangela Piovesana per la fiducia riservatami (vi consiglio di visitare il loro sito: Explora Expedition).

Leggi anche: Botswana, perla dell’Africa

Genesi del territorio

La superficie della Terra non è sempre stata come oggi, ha subito un’evoluzione nel corso dei milioni, anzi dei miliardi di anni di storia che hanno interessato il nostro pianeta. La Namibia, e l’Africa meridionale in generale, sono particolarmente interessanti da un punto di vista geologico. Le rocce più antiche della Namibia sono state datate al Precambriano medio, ovvero due miliardi e seicento milioni di anni fa circa.

Si tratta di un complesso metamorfico, queste rocce hanno subito più cicli di metamorfismo (in seguito a grandi pressioni e calore vulcanico in profondità). Tale metamorfismo è avvenuto nel corso dell’orogenesi dell’Africa meridionale, iniziato all’incirca due miliardi di anni fa con una prima fase, e proseguito con una seconda fase, lunga ottocento milioni di anni, datata tra 1,7 e 0,9 miliardi di anni.

Moon Valley della Namibia – (C) Aaronne Colagrossi

Una piccola porzione di queste rocce molto antiche è visibile in Congo e nel Kalahari, nelle zone cratoniche, insomma. I cratoni sono le zone più antiche della crosta continentale, generalmente al centro dei continenti. In Namibia sono visibili nella valle dell’Hoarusib e nella regione del Kunene, alle spalle della Skeleton Coast.

Tre aree geologiche principali

Nord Namibia

Suddividendo la Namibia in tre parti si può affermare che la parte nord, specialmente la regione di Otavi (poco a est dell’Etosha, di cui parleremo dopo), è composta prevalentemente da rocce calcaree e stromatoliti. Le stromatoliti sono strutture calcaree biocostruite da cianobatteri (alghe azzurre, depositate in forma laminata). Le stromatoliti dell’Australia occidentale, nella Shark Bay, sono tra le più famose del mondo, anche perché sono vive. Le più antiche sono state trovate in Groenlandia e sono datate tre miliardi e ottocento milioni di anni fa.

Centro Namibia

La zona centrale, la seconda, è stata interessata da intenso vulcanismo, nel corso di centinaia di milioni di anni, specialmente 600 milioni di anni fa. L’area del Damara presenta sequenze granitiche estesissime. Il Damaraland ha subito un’orogenesi molto simile a quella delle Alpi e delle Ande.

Formazioni granitiche – (C) Aaronne Colagrossi

Sud Namibia

La terza zona è quella meridionale della Namibia. È composta prevalentemente dalle rocce del complesso metamorfico Namaqua, si sono formate un miliardo e ottocento milioni di anni fa, e sono visibili esattamente alla base del Fish River Canyon, una valle profondissima e magnifica.

Snowball Earth

Le montagne del Damaraland, inoltre, mostrano chiari segni della Snowball Earth, la Terra a Palla di Neve, ovvero un esteso periodo di glaciazioni che interessò il nostro pianeta tra i cinquecento e i novecento milioni di anni fa. In queste periodo la temperatura della terra si abbassò tanto da provocarne una vera e propria glaciazione, anzi, secondo alcuni scienziati americani, sembrerebbero esserci state ripetute glaciazioni.

  • A tal proposito consiglio la lettura di un mio articolo sul Sudafrica, che visitai qualche tempo fa: leggi cliccando qui.

Paleontologia della Namibia

Una grande varietà di vertebrati fossili è stata ritrovata nelle rocce mesozoiche delle formazioni Omingonde ed Etjo. Erbivori di varie dimensioni e grandi carnivori Erythrosuchus africanus frequentavano le sponde dei grandi laghi e le coste dell’epoca, durante il Triassico (220 MA). Erbivori come Massospondylus sp (infraordine Prosauropoda) vivevano nelle zone subaride dell’antica Namibia. A Windhoek (capitale della Namibia), nel museo locale, sono conservati resti di entrambi, nonché molte loro impronte di “passeggiate”.

Otjihaenamaparero impronte dinosauri

A Otjihaenamaparero è possibile osservare in situ due tracce con più di trenta impronte con una larghezza di circa 30 centimetri ciascuna e un’ampiezza delle articolazioni pari a circa 90 centimetri. Si tratta d’impronte a tre dita artigliate di animali bipedi. Pare che i carnivori (comparati con altre impronte nel mondo) appartengano ai ceratosauri, con una lunghezza di circa 3 metri e una velocità massima di circa 40 km\h, erano dei grandi predatori.

Alcune impronte sono ascrivibili al ceratosauro Syntarsus sp, grande come un uccello serpentario (secretary bird in inglese). Altri bipedi erbivori identificati in Namibia sono Quemetrisauropus princeps e Prototrisauropus crassidiitus, il quale aveva una lunghezza di circa 9 metri con una lunghissima coda. Entrambi avevano piccole teste, con lunghi colli.

Si riscontrano tracce con impronte di Tritylodon sp e Pachygenelus sp. Entrambi appartenevano ai cinodonti, con corporatura, cranio, mascelle e denti molto simili a quelle dei mammiferi attuali. Il secondo elencato era più grande e pare avessero entrambi diete onnivore, come gli attuali cinghiali e orsi. Le specie risalgono al Triassico, ma il genere si sviluppò nel Permiano, circa 280 milioni di anni fa.

Paleobotanica

Da evidenziare il sito della foresta pietrificata di Khorixas, datato a circa 280 milioni di anni fa. Si tratta di alberi ascrivibili al gruppo delle conifere (genere Araucaria) che vissero in climi freddi tra grandi glaciazioni.

Alberi fossili - Foresta Pietrificata - (C) Aaronne Colagrossi
Alberi fossili – Foresta Pietrificata – (C) Aaronne Colagrossi

Il sito sembra mostrare resti di un’estesa foresta e gli alberi fossili si trovano stesi per terra, paralleli l’uno con l’altro e con sedimenti fluviali. I ricercatori sono convinti che abbiano subito un trasporto brutale a causa di un’alluvione, tale da strappare dalla loro sede alberi alti 30 metri, a migliaia di metri di distanza.

Settori visitati

Sossusvlei & Deadvlei

I settori orientali del deserto del Namib presentano le magnifiche dune a stella, la cui più famosa è la Big Daddy. La formazione è complessa e trova origine in venti molto forti multidirezionali. Le sabbie delle dune sono arricchite con ossidi di ferro e le forme geomorfologiche si sono formate circa 5 milioni di anni fa. Le attuali dune giacciono su un paleo deserto datato a 20 milioni di anni fa, che a sua volta giace sul complesso roccioso di Rehoboth, datato a circa 1 miliardo di anni fa (moderne datazioni a Uranio-Piombo mostrano tra 1300 e 900 milioni di anni).

Sossusvlei – (C) Aaronne Colagrossi

Le arenarie di questo complesso appaiono di tanto in tanto in forma di Inselberg (forma geomorfologica), sul paesaggio piatto. Il Namib è uno dei deserti più antichi del pianeta. Tra la flora del deserto del Namib va ricordata la Welwitschiamirabilis che Charles Darwin definì “l’ornitorinco del regno vegetale”. Caratteristica è anche la vipera di Peringueyi, Bitis peringueyi, velonosa e lunga circa 25 centimetri, vive nascosta sotto la sabbia.

Il Sossusvlei è situato su un piccolo delta interno, quello del Tsauchab River. Le piogge sono rarissime e cadono poche volte al secolo, per poi spegnersi sotto le dune. Il fiume, dopo queste piogge, lascia depositi argillosi grigi. Di rado alcune aree rimangono isolate da questi rari flussi di acqua e le argille formano crostoni bianchi, ben visibili nel Deadvlei.

Deadvlei – (C) Aaronne Colagrossi

I movimenti erratici delle dune hanno isolato ulteriormente l’area del Deadvlei, come documentato, portando alla morte gli alberi, mummificandoli letteralmente nel clima privo di umidità. I loro scheletri neri sono le sole testimonianze giunte a noi.

Canyon Sesriem

Si tratta di un vero paesaggio lunare e altrettanto secolare; il canyon è lungo circa un chilometro e profondo fino a 30 metri, in alcuni tratti è piuttosto stretto (fino a un minimo di 2 m), in questi punti si formano delle pozze d’acqua perenni, da cui gli animali possono bere.

Canyon Sesriem – (C) Aaronne Colagrossi

Sono perfettamente visibili episodi geologici di alluvionamento, con ciottoli e clasti mal classati alla base dello strato, evolventi verso l’alto a sabbie fini. Talvolta i ciottoli di forma tabulare mostrano un orientamento nel senso di scorrimento della paleo-corrente. Il canyon mostra, in definitiva, una fase di accumulo e sedimentazione, seguita dalla vera e propria fase di incisione della gola da parte delle acque.

Walvis Bay

Walvis Bay è il secondo centro più popoloso della Namibia, rappresenta un importante snodo del commercio marittimo e turistico, con l’annessa cittadina di Swakopmund. Quest’area era abitata da popolazioni nomadi sin dal paleolitico, ma è con la caccia alle balene iniziata del diciottesimo secolo che la Sandwich Harbour prese vita.

Fenicotteri – (C) Aaronne Colagrossi

I tedeschi colonizzarono alcune zone, cercando approdi sicuri lungo la costa, volevano mantenersi lontani dagli inglesi a nord e dagli olandesi a sud, ma non ebbero molto successo, come mostrano alcune case sommerse dalle dune di sabbia nella baia.

La Prima Guerra Mondiale mise fine alle mire dei germanici, l’area passò definitivamente sotto il controllo del Sudafrica. La laguna di Walvis Bay e le pianure fangose e saline dei dintorni ne fanno un punto importante per il birdwatching.

Durante l’estate australe la baia può ospitare sino a centomila uccelli, con due specie di fenicotteri (il fenicottero maggiore Phoenicopterus roseus e il fenicottero minore Phoeniconaias minor) e stormi enormi di pellicani. Ma vi sono anche mammiferi come otarie orsine del capo, balene franche australi e delfini.

Sandwich Harbour

La baia prende il nome dalla nave che per prima approdò nell’area: la Sandwich appunto. La Sandwich Harbour si trova circa 50 chilometri a sud di Walvis Bay. Nella immensa baia le dune dorate del deserto si baciano con il mare blu cobalto.

Vista dalle grandi dune – (C) Aaronne Colagrossi

Con potenti SUV 4×4 si può quasi volare sulla sabbia e sulle dune, apprezzando il panorama paradisiaco. Il passaggio lungo la costa è però legato al flusso di marea, infatti solo con la bassa marea si può transitare verso sud, tra le dieci del mattino e le cinque del pomeriggio.

Sandwich Harbour vista – (C) Aaronne Colagrossi

L’aera è strettamente connessa, da un punto di vista geologico, anche con la Moon Valley, un paesaggio lunare formatosi circa 500 milioni di anni fa, dove l’erosione delle rocce granitiche ha formato questo meraviglioso paradiso geomorfologico. I fortissimi venti che interessano la Sandwich Harbour hanno messo in luce, in alcuni punti, la roccia madre, granitica appunto.

Skeleton Coast

La costa degli scheletri è lunga all’incirca 500 chilometri e larga poco meno di cinquanta. Il paesaggio è molto caratteristico e vede la contrapposizione del clima arido interno che si scontra con le fredde acque oceaniche alimentate dalla corrente del Benguela, che porta alla formazione di nebbie costiere per decine di chilometri anche verso l’interno.

Relitto sottocosta – (C) Aaronne Colagrossi

Si chiama costa degli scheletri per i numerosi relitti di navi, è tuttora un pericolo avvicinarsi a queste coste, perché i forti venti e le correnti spostano tonnellate di sabbia in dune aeree e sommerse, che portano alla formazione di banchi sommersi molto difficili da individuare, se non quando è troppo tardi, una volta arenate, le navi vengono letteralmente inglobate dalla sabbia.

Le nebbie costiere, invece, sono fondamentali per il mantenimento di flora e fauna nell’interno, dagli elefanti ai leoni. Nel tragitto verso la Skeleton Coast, abbiamo lambito a meridione le montagne dell’Erongo, che mostrano paesaggi straordinari. Proprio nel sud di questo massiccio montuoso è situato il Bull’s Party; si tratta di un complesso geomorfologico composto da graniti perfettamente arrotondati. La genesi di queste rocce va posta nella regione vulcanica dell’Erongo, con i suoi corpi plutonici granitici datati a 130 milioni di anni fa (Cretaceo inferiore).

Formazione granitica della zona – (C) Aaronne Colagrossi

I graniti sono tra le rocce più resistenti, ma, a dispetto della loro durezza intrinseca, sono molto suscettibili all’erosione, se dettata da grandi variazioni di temperatura, tipiche delle zone desertiche, nonché ai forti venti e ai flussi torrentizi occasionali. Il risultato è l’erosione tra i grani con un certo angolo, che porta alla formazione di superfici arrotondate, o anche concave, creando a quel punto delle vie preferenziali per il vento, che ne aumenta l’erosione tra i grani. Sono visibili anche frane tipo ribaltamento, causate dall’erosione della base, non sopportata dalla parte superiore del corpo roccioso.

Damaraland e Twyfelfontein

Nella regione delle Erongo occidentali, la savana semidesertica, e perlopiù pianeggiante, si estende verso il settentrione. L’area è nota come Damaraland; il nome è un retaggio del periodo coloniale e dell’Apartheid. I Damara sono stati uno dei popoli più perseguitati dell’Africa. I popoli Damara della Namibia hanno una lingua in comune con i Nama, infatti ora si chiama Nama-Damara. Essi stessi si definiscono Nūkhoen, che significa “Neri”. I primi coloni della Namibia si riferirono a loro come popoli di cacciatori-raccoglitori. Il Damaraland raccoglie tra i paesaggi più belli della Namibia.

Arenarie del Damaraland – (C) Aaronne Colagrossi

Quando si attraversa l’effimero fiume Ugab, il paesaggio diventa di una bellezza straordinaria. Nelle rare pozze si possono fare incontri straordinari, come gli elefanti del deserto. Le grandi praterie sono attraversate da piccoli canyon di roccia arenaria e affioramenti di granito scuro. Si riscontrano anche tronchi di Sterculia pentalobata. Il Damaraland è importantissimo sia da un punto di vista geologico che ecologico. Il motivo risiede nel suo segreto: gli acquiferi.

Elefanti del deserto (più piccoli dei cugini) – (C) Aaronne Colagrossi

Infatti la fagliazione tettonica della zona, unita a determinate fratturazioni naturali della roccia, ha permesso la creazione di vie preferenziali non molto profonde dove, negli ultimi due milioni di anni, il depositarsi di detriti misti quali ghiaie, sabbie, argille e blocchi di roccia, ha permesso la formazione di acquiferi ben celati ai visitatori in superficie, ma non agli animali, che riescono a percepire la presenza di acqua.

Grossomodo gli acquiferi seguono il corso asciutto dei fiumi, come se fossero due corsi d’acqua, uno superficiale e uno profondo. Le più antiche pitture rupestri del continente africano si trovano qui, nella zona del Twyfelfontein. Il Twyfelfontein è una valle posta circa 90 chilometri a ovest di Khorixas. È considerata un gioiello geologico dagli scienziati.

Sono ben visibili affioramenti di arenarie, argilliti, scisti e doleriti (basalti a grana grossa) databili al Cretaceo inferiore, la particolarità è che i fusi magmatici che interessarono l’area non riuscirono a raggiungere perfettamente la superficie, così si intrufolarono orizzontalmente tra gli strati sedimentari, raffreddandosi lentamente, contrariamente a quanto succede in superficie a contatto con l’aria.

Arenarie – (C) Aaronne Colagrossi

Il risultato sono queste forme colonnari color rame a sezione esagonale, molto simile (come forma) alle fratture nel fango estive, quando la siccità spacca l’argilla.

Forme colonnari – (C) Aaronne Colagrossi

I Damara che abitavano nella regione la chiamavano Uri-Ais, “sorgente saltellante”. I primi coloni bianchi che provarono a insediarsi qui nel 1947 non trovarono la sorgente, e ribattezzarono il luogo Twyfelfontein, che significa “sorgente incerta”. Sono visibili spesso delle vernici del deserto, un raro fenomeno che colpisce le superfici rocciose esposte. La sottile polvere del deserto, in contatto con l’umidità delle nebbie, forma un sottilissimo strato giallo-arancio (sino al nerastro) sulle superfici.

Pitture rupestri – (C) Aaronne Colagrossi

La composizione è prevalentemente ferro, ossidi di manganese e minerali delle argille. Le oltre duemila pitture rupestri rinvenute nelle grotte di quest’area, sono state fatte su queste vernici del deserto. Sono state datate tra i duemila e i seimila anni fa.

Popolo Himba della Namibia

Gli Himba, conosciuti anche come OtjiHimba, condividono con gli Hereo lingua e antenati. L’isolamento geografico è la chiave del loro successo, se così si può dire, poiché ha permesso loro di mantenere le tradizioni. Tuttavia nelle ultime decadi si stanno verificando alcuni cambiamenti, dovuti al contatto con i turisti, il governo e la società.

Herero – (C) Aaronne Colagrossi

Ora si contano circa cinquantamila Himba. I bovini sono fondamentali nella loro vita, più che a fornire carne, sono utili indicatori dello status sociale, di rado vengono sacrificati. La loro principale dieta è costituita da capre e pecore, cui si aggiungono latte, uova, miglio e mais. Molti Himba ci tengono a mantenere il loro stile semi nomade, tuttavia molti altri stanno diventando sempre più stanziali.

La famiglia è generalmente allargata (onganda) e le case sono capanne con il tetto di legno di mopane e pelli di capra. Al centro della stanza vi è il fuoco sacro (okuruwo), sempre acceso, poiché comunica con gli antenati e con l’essere supremo, il dio Mukuru.

Himba – (C) Aaronne Colagrossi

Gli Himba sono poligami, con matrimoni organizzati e struttura a doppia eredità, sia femminile sia maschile. Le donne, che nutrono un particolare culto della bellezza del corpo, ricordano per lineamenti e usanze le popolazioni nilotiche. Il corpo nudo è ricoperto solo da un perizoma di pelle, e spalmato di argilla rossa e arenaria rossa pestata e impastata con grasso animale, ornato con semplici oggetti di ferro, di osso, di cuoio e di conchiglie.

Etosha National Park

Il parco nazionale dell’Etosha (che significa grande posto bianco) è una larga zona sostanzialmente depressa da un punto di vista geomorfologico, situato nella zona settentrionale della Namibia. È un’area iconica e caratterizzata da scenari degni di un documentario della BBC. La parte centrale del parco è composta dall’Etosha Pan, una depressione salina di circa 5000 km² (circa 130 km di lunghezza e 50 km di larghezza nel punto più ampio).

Etosha Pan – (C) Aaronne Colagrossi

Sino a circa 10-12 milioni di anni fa quest’area era un lago poco profondo, alimentato dal fiume Kunene prevalentemente; in seguito esso mutò il proprio corso, e la zona si trasformò in un semideserto. Durante la stagione delle piogge, il Pan viene talvolta alluvionato dai fiumi Ekuma, Oshigambo e Omuramba Ovambo.

Nel corso degli ultimi milioni di anni si sono formate grandi quantità di depositi evaporitici come salgemma (sale), caliche (carbonato di calcio precipitato chimicamente in regioni aride, in inglese è conosciuto come calcrete o hardpan), con spessori che raggiungono i 120 metri di profondità nel sottosuolo.

Giraffe sul pan – (C) Aaronne Colagrossi

Nella stagione umida, da gennaio ad aprile, cadono mediamente 430 mm di pioggia, cui bisogna sottrarre gli alti tassi di evaporazione. Durante la stagione secca, da maggio ad agosto, il Pan torna ad assumere le caratteristiche di un deserto; il suolo salino, screpolato dal sole, assume il colore bianco intenso da cui deriva il nome “Etosha”.

In questo periodo il vento trasporta la polvere dell’Etosha verso l’oceano Atlantico, trasportando verso ovest sali minerali in polvere. Creato nel 1907, è stato uno dei primi parchi sorti per la protezione della fauna e della flora in Namibia. Con un’area di 100.000 kmq, il parco era all’epoca la più grande area protetta del mondo. Verso il 1960 il parco fu progressivamente ridimensionato, fino a raggiungere l’attuale estensione di circa 23.000 kmq.

Flora e fauna nel parco

Seguendo piste in terra battuta si va alla ricerca di gruppi di elefanti, raccolti attorno alle pozze d’acqua, di branchi di erbivori, in perenne movimento fra i boschetti di acacie e di leoni in agguato tra i cespugli attorno alle pozze. La scarsità dei bacini d’acqua rende necessario un curioso rispetto per la gerarchia degli animali che si abbeverano; in ordine d’importanza si avranno: elefanti, predatori, erbivori e poi volatili.

Gli animali aspettano impassibili il loro turno, disponendosi a gruppi attorno alla pozza. Per quanto riguarda la vegetazione quella dominante è composta da alberi di mopane (Colophospermum mopane), conosciuto anche come Omusati dalle popolazioni Himba. Uno degli alberi più caratteristici della Namibia è appunto la moringa (Moringa ovalifolia), da alcuni chiamato albero fantasma (molti li scambiano per piccoli baobab, ma non lo sono). Un’altra specie è il salice rosso dei cespugli (Combretum apiculatum). In ultimo, e non per importanza, l’albero faretra, Aloidendron dichotomum. In realtà è una gigantesca aloe, infatti il tronco riesce a stoccare tantissima acqua.

Meteorite di Hoba

La Namibia offre ai suoi visitatori le migliori opportunità del pianeta per visitare luoghi d’impatto meteoriti, e di toccarli. I meteoriti in genere viaggiano nell’atmosfera a una velocità compresa tra i 39.000 e i 108.000 km/h. L’attrito con l’atmosfera li brucia e ne disintegra gli spigoli vivi (processo di ablazione) fino a disintegrarli completamente nella maggior parte dei casi. I corpi più grandi raggiungono la Terra e lasciano crateri di diverse dimensioni. Il cratere di Roter Kamm, nel sud della Namibia, è datato a 3,7 milioni di anni fa e ha un diametro di 2,5 chilometri; ne è vietato l’avvicinamento e l’accesso dalle autorità.

Meteorite di Hoba – (C) Aaronne Colagrossi

I meteoriti in genere sono di tre tipologie: quelli composti esclusivamente da ferro-nickel (circa il 4% dei corpi ritrovati), quelli composti da silicati e quelli composti da ferro-silicati. In Namibia si conoscono 18 meteoriti. Il meteorite di Hoba, nei pressi di Grootfontein, è un corpo celeste che impattò sulla superficie terrestre circa ottantamila anni fa, fu dichiarato monumento della Namibia nel 1955, ha un peso di circa 80 tonnellate ed è composto da ferro-nickel.

Il meteorite di Hoba presenta delle “cicatrici” ben visibili, a causa dell’ablazione nell’atmosfera, ben visibili sulla sua superficie ferrosa. È composto dall’82% di ferro e da 17% da nickel; vi sono tracce di cobalto, carbonio, zolfo, cromo, rame, zinco, gallio, germanio e iridio (come nel limite K-T nell’estinzione dei dinosauri). Pare che il meteorite di Hoba sia un corpo proveniente dalle cinture celesti di Marte o Giove.

Conclusioni

Da geologo è stato bellissimo partecipare a questa fantastica avventura, quindici giorni in fuoristrada, attraversando territori desolati e primitivi. Il viaggio è poi proseguito in Botswana, per terminare in Zimbabwe. Per chiunque volesse informazioni può contattarmi qui.

Referenze

  1. Bosellini, Mutti, Lucci. Rocce e successioni sedimentarie. Utet, 1989.
  2. Raffi, Serpagli. Introduzione alla paleontologia. Utet, 2003.
  3. D’Argenio, Ferreri. Interpretazione delle facies e stratigrafia. Pitagora, 1987.
  4. Detay. Geological Wonders of Namibia. Struik Nature, 2018.
  5. Benton. Vertebrate Paleontology – 3rd edition. Blackwell Pub, 2004.
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