Si stima che il 95% della popolazione adulta del mondo sia sieropositiva al virus di Epstein Barr, l’agente infettivo responsabile della mononucleosi. Il picco di incidenza si verifica nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Il perché risiede nella diffusione del virus attraverso la saliva attribuendo alla mononucleosi l’appellativo di “malattia del bacio”. Con questo articolo faremo chiarezza sulla trasmissione del virus negli adulti e nei bambini.
Il virus di Epstein Barr
Il virus di Epstein Barr (Figura 1) appartiene alla famiglia degli herpesvirus (EBV, herpesvirus di tipo 4, HHV-4) che si trasmette tramite gocce di saliva seguendo due modalità:
- diretta: contatto bocca a bocca attraverso baci o altri contatti ravvicinati con il soggetto infetto
- indiretta: tramite oggetti contaminati dalla saliva, ad esempio i giocattoli che i bambini mettono in bocca inconsapevoli del rischio
L’Epstein Barr (ϒ-herpesvirus) manifesta una latenza permanente a seguito di una prima infezione, asintomatica, contratta generalmente durante l’infanzia. Cosa vuol dire? Che il virus, dopo una prima infezione, non abbandona l’ospite ma si annida nelle sue cellule dove permane senza dare disturbi.
Con l’adolescenza e l’età adulta, l’infezione da EBV può portare alla mononucleosi nel 35-50% dei casi.
Il ciclo vitale del virus si compone di una fase litica e una latente. Il virus infetta principalmente i linfociti B legandosi al recettore CD21 (che fa da tramite tra l’immunità innata e quella umorale specifica) ma è capace di infettare anche le cellule epiteliali, i linfociti T e quelli NK (Natural Killer). La replicazione litica del virus avviene nelle cellule epiteliali stabilendo la propria latenza nei linfociti B. Inoltre, è in questa fase che il virus attiva l’espressione genica e produce la propria progenie.
In questa fase entrano in gioco due geni immediati precoci (geni che vengono attivati in modo repentino e transitorio in risposta a stimoli cellulari) che svolgono un ruolo chiave: BZLF1 e BRLF1. Questi codificano per due transattivatori che attivano promotori virali e cellulari guidando, in tal modo, una cascata di espressione genica virale. Inizialmente, si attiva un’espressione genica precoce, poi la replicazione del genoma e infine l’espressione genica tardiva. A questo punto, i virioni (le particelle virali mature) prodotti nelle cellule epiteliali iniziano a diffondersi nel corpo dell’ospite e possono infettare anche altri soggetti.
Durante il periodo di latenza, invece, il virus esprime i geni necessari al mantenimento dell’integrità del genoma e all’evasione del sistema immunitario dell’ospite. A seconda di quali geni si esprimono, la latenza viene classificata in: latenza 0, I, II, III. Il susseguirsi di questi diversi periodi di latenza parte dalla completa mancanza di espressione nella latenza 0 fino all’espressione delle proteine nucleari, quelle di membrana e degli small RNA.
Il ciclo vitale del virus
Le fasi del ciclo vitale dell’Epstein Barr virus sono 5:
- entrata del virus
- infezione
- proliferazione
- differenziazione
- persistenza
Il virus entra attraverso la bocca e infetta le cellule epiteliali della mucosa orale, raggiunge i linfonodi e inizia la sua proliferazione (Figura 2).
I linfociti B infettati esprimono il complesso genico della latenza composto da:
- antigeni nucleari (EBNAs)
- proteine di membrana (LMPs)
- small RNAs (EBERs)
- microRNA
Il virus sopravvive nelle cellule B perché regola negativamente (downregulation=meccanismo di regolazione che implica la riduzione dei recettori di membrana) le proteine immunogeniche e ne imita le risposte antigeniche. Le cellule infettate penetrano nei follicoli linfatici, si diffondono e formano dei centri germinativi. Al loro interno si trovano le cellule B attivate (cellule in maturazione) che esprimono solo tre proteine virali (periodo di latenza II). Infine, fuoriescono dai linfonodi esprimendo la proteina virale EBNA1, un antigene nucleare che garantisce al genoma virale di dividersi con quello cellulare (latenza I). Per tale motivo viene considerata come un potenziale target terapeutico nel trattamento dei tumori associati al virus.
L’entrata delle cellule infettate nella circolazione sanguigna periferica (cioè quella che porta il sangue nelle zone del corpo distanti dal cuore) coincide con lo spegnimento di tutti i geni virali che codificano per le proteine. Ricordiamo che questa fase è chiamata latenza 0 perché nessuna proteina virale è espressa. Le rimanenti cellule in cui il virus è quiescente non vengono attaccate dal sistema immunitario e diventano siti di persistenza a lungo termine.
Le cellule B possono subire anche una differenziazione in cellule plasmatiche e secernere antibiotici. Se il virus è presente in una di queste cellule, la fase litica viene attivata e il virus rilasciato dalle cellule del plasma può infettare le cellule epiteliali dove può replicare e trasmettersi a nuovi ospiti.
Dal virus alla mononucleosi
La mononucleosi è un’infezione caratterizzata da un’alterata morfologia dei linfociti. Questi linfociti ingrossati non sono altro che cellule T CD8+ attivate che rispondono alle cellule B infettate dal virus. Sono state proprio le caratteristiche dei linfociti a suggerire, nel 1920, agli scienziati Sprunt ed Evans il nome di “mononucleosi” per descrivere questo tipo di malattia infettiva.
Come descritto da numerose osservazioni cliniche, l’infezione da EBV si diffonde principalmente attraverso il bacio. I rapporti sessuali sembrano supportare la trasmissione del virus ma uno studio condotto dall’Università del Minnesota ha riportato che i soggetti che hanno riferito di baciare con o senza rapporto sessuale avevano lo stesso rischio di contrarre l’infezione rispetto ad altri soggetti che hanno riferito di non aver baciato né avuto rapporti sessuali durante gli stessi anni universitari. Questo perché il virus può permanere per diverso tempo anche su oggetti contaminati da saliva purché mantengano un certo grado di umidità.
Inoltre, l’infezione può essere trasmessa tramite trasfusioni di sangue, trapianto di organi e di cellule ematopoietiche.
Non è noto come i bambini in età preadolescenziale contraggano l’infezione, probabilmente vengono infettati dai genitori o dai fratelli. La mononucleosi ha un periodo di incubazione che va dai 32 ai 49 giorni.
Quali sono i sintomi della mononucleosi?
Le principali manifestazioni cliniche sono:
- faringite
- linfoadenopatia cervicale (ingrossamento dei linfonodi cervicali)
- affaticamento
- febbre
La maggior parte dei giovani adulti sviluppa la mononucleosi dopo l’infezione primaria e può presentarsi sotto due diverse manifestazioni cliniche. La prima è la comparsa di un improvviso mal di gola accompagnato da collo gonfio (Figura 3) mentre la seconda descrive uno stato di malessere molto più lento con mialgia e stanchezza.
I sintomi più comuni sono:
- mal di gola (95% dei casi)
- linfoadenopatia cervicale (80%)
- affaticamento (70%)
- difficoltà respiratorie (65%)
- mal di testa (50%)
- riduzione dell’appetito (50%)
- febbre (47%)
- mialgia (45%)
Gran parte di questi sintomi possono persistere per circa 10 giorni ma la sensazione di stanchezza e la comparsa di linfonodi ingrossati possono scomparire anche dopo 3 settimane. Un limitato numero di pazienti hanno riportato anche altri sintomi come:
- dolore addominale
- nausea e vomito
- epatomegalia (ingrossamento del fegato)
- splenomegalia (aumento della milza)
- petecchie sul palato (microemorragie puntiformi causate dalla fuoriuscita di sangue da piccoli vasi ematici)
- edema periorbitale e palpebrale
Raramente si verificano gravi complicazioni ma possono includere l’ostruzione delle vie aeree a causa dell’infiammazione orofaringea, faringite streptococcica, meningoencefalite, anemia emolitica e trombocitopenia (carenza di piastrine).
Disordini correlati all’EBV
Il virus dell’Epstein Barr è responsabile di diversi stati patologici tra cui neoplasie anche letali come:
- linfomi delle cellule B, T e NK
- linfoma di Burkitt, di Hodgkin e non-Hodgkin
- linfomi associati all’AIDS
- carcinoma nasofaringeo
Diagnosi della mononucleosi
Diagnosticare la mononucleosi non è facile data la comparsa di sintomi comuni ad altre patologie. L’infezione da parte del virus deve essere pertanto confermata da analisi del sangue che rilevano alcuni anticorpi. È stato stimato che circa nove adulti su dieci riportano un’infezione da EBV presente al momento delle analisi oppure contratta in passato.
Il test basato sulla ricerca degli anticorpi eterofili, noto anche con il nome di monotest, fornisce una risposta certa per la diagnosi della mononucleosi. Gli anticorpi eterofili vengono prodotti dal sistema immunitario in risposta al virus. Purtroppo il 40% dei bambini di età inferiore ai 4 anni non produce tali anticorpi a seguito dell’infezione. Pertanto, in questi giovani pazienti il test non fornisce un supporto valido alla diagnosi. Inoltre, questi anticorpi non sono specifici e la loro presenza nel sangue potrebbe essere dovuta ad altre patologie in corso. Infine, possono persistere per più anni e di conseguenza non sono indicativi per diagnosticare un’infezione da EBV acuta.
I test anticorpali più utilizzati sono: VCA IgM, VCA IgC, EBNA IgC dove VCA sta per viral capsid antigen (antigene del capside virale). I primi sono presenti nel 75% dei pazienti durante la fase acuta mentre tutti i soggetti infettati presentano anticorpi IgC per VCA. Quindi, la ricerca di questi anticorpi è fondamentale per determinare una precedente infezione da EBV. Al contrario, gli anticorpi contro EBNA1 si sviluppano lentamente e non possono essere rilevati prima di 90 giorni dall’infezione.
Trattamento e prevenzione della mononucleosi
Ad oggi non è stato approvato un trattamento specifico per la mononucleosi. Infatti, la terapia attuata è “solo” di supporto cioè mira ad alleviare i sintomi. Ai soggetti infettati viene consigliato un periodo di assoluto riposo che termina quando la febbre, la faringite e la sensazione generale di malessere scompaiono.
La fase acuta dura circa due settimane e si può tornare al lavoro o a scuola subito dopo o nel 20% dei casi anche dopo una settimana. La sensazione di affaticamento può durare, invece, anche per alcuni mesi. Il decesso è raro (<1%) e solo in seguito a serie complicazioni.
Tra i sintomi abbiamo elencato la splenomegalia e al fine di prevenire la rottura della milza è bene evitare il sollevamento di pesi. Questa raccomandazione è particolarmente utile nel caso di pazienti sportivi.
I corticosteroidi accelerano l’abbassamento della febbre e alleviano la faringite ma sono consigliati solo per le forme gravi. Infatti, sono di aiuto quando si verificano complicazioni come l’ostruzione delle vie aeree o un’anemia emolitica. La somministrazione di aciclovir ha una serie di effetti ma sono necessari ulteriori studi per supportare in modo convincente i benefici di questo trattamento.
Proteggersi dalla mononucleosi è semplice ma non sempre possibile dato che per farlo bisognerebbe evitare prima di tutto di scambiare baci. Chiedere alla persona che sta per baciarci se sa di essere stato infettato dall’Epstein Barr virus non è proprio il massimo del romanticismo. Ironia a parte, evitare baci o di condividere bevande, cibo, oggetti personali che entrano in contatto con la saliva (come ad esempio lo spazzolino da denti) riduce il rischio di contrarre l’infezione.
Prospettive future
Attualmente, il lavoro dei ricercatori è indirizzato verso la determinazione dei fattori genetici, immunologici e ambientali che contribuiscono all’insorgenza di tumori e disordini autoimmuni correlati al virus. A questo si aggiungono i tentativi di sviluppare una terapia farmacologica specifica per il trattamento della mononucleosi infettiva.
Tuttavia, la priorità della ricerca è quella di mettere a punto un vaccino contro il virus dell’Epstein Barr. Questo potrebbe, infatti, contrastare l’instaurarsi non solo della mononucleosi ma anche di tutte le altre patologie associate.
La prima sperimentazione clinica umana prese in considerazione un vaccino composto dal virus vivo e ricombinante che esprimeva la glicoproteina gp350.
Questa glicoproteina è normalmente espressa sull’involucro del virione (particella virale) e trasporta la frazione proteica che permette al virus di aderire alle cellule B dell’ospite (Figura 4). Purtroppo, i numeri di questa prima sperimentazione furono troppo bassi per dimostrare l’effettiva efficacia del vaccino.
In seguito, un altro vaccino gp350 ricombinante e prodotto nelle cellule ovariche dei criceti cinesi fu testato in diversi studi che si sono susseguiti fino agli anni più recenti. Dalla raccolta di tutte le prove sperimentali condotte finora è possibile concludere che:
- la vaccinazione basata sull’EBV gp350 monomerico riduce, nella fase 2 del trial clinico, l’incidenza della mononucleosi ma non quella dell’infezione
- altre formulazioni con forme monomeriche di gp350, particelle simili a quelle virali e nanoparticelle si dimostrano più efficienti
- vaccini che includono glicoproteine virali aggiuntive, proteine litiche o di latenza possono migliorare l’efficacia del vaccino gp350 EBV
Sono necessari ulteriori studi volti a individuare marcatori di neoplasie correlate all’EBV, definire l’epidemiologia dei casi e sviluppare un piano di collaborazione tra accademici, industrie e organizzazioni governative per accelerare lo sviluppo del vaccino.
Conclusione
Chissà quanti di voi, dopo aver letto questo articolo, inizieranno a vedere il bacio come un ponte di saliva tra la nostra salute e la mononucleosi? E quanti, invece, continueranno a preferire l’atteggiamento romantico di Edmond Rostand secondo cui il bacio è un apostrofo rosa tra le parole “t’amo”?
Bibliografia
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Collegamenti esterni
- Mononucleosi infettiva – Manuale MSD
- Epstein-Barr Virus and Infectious Mononucleosis – Centers for Disease Control and Prevention
- Infectious Mononucleosis – Hopkins Medicine