La Nuova Zelanda è nota per la fauna unica nel suo genere e la prima cosa che salta subito all’occhio è la mancanza di mammiferi terrestri; a causa della condizione insulare del luogo, infatti, i mammiferi non sono stati in grado di colonizzare l’arcipelago. Lo stesso però non è valso per gli uccelli, i quali hanno talvolta raggiunto anche dimensioni eccezionali: la Nuova Zelanda, fino a pochi secoli fa, era non a caso dominata dai moa, dei giganteschi uccelli senza ali, spazzati poi via dai Maori.
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Morfologia generale dei moa
Una caratteristica unica dei moa era quella di non possedere gli arti anteriori (uccelli atteri, ossia senza ali). Solitamente, gli uccelli non volatori si limitano a ridurre la lunghezza delle ali, senza però mai perderli completamente; nei moa, invece, le ali erano del tutto assenti, non essendo nemmeno presenti come organi vestigiali[1]. Questa caratteristica conferiva ai moa un aspetto molto allungato, dovuto anche alla presenza di un lungo collo.
Gli arti posteriori, al contrario, sono molto sviluppati, con tarsi-metatarsi però ridotti rispetto alla tibia. Tale riduzione comporta peggiori prestazioni in velocità, ma miglior capacità nello scaricare il peso a terra: in un ambiente principalmente forestale e intricato, con nessun predatore terricolo alle calcagna, questi adattamenti fisici risultarono vincenti.
La postura dei moa era atipica se paragonata ad altri uccelli atteri moderni. Il collo, a riposo, sembra infatti che venisse mantenuto in posizione orizzontale, parallelo al terreno, e non in posizione eretta. Questo potrebbe essere un altro adattamento all’ambiente forestale, in quanto avrebbe permesso ai moa di muoversi agevolmente nella coltre vegetativa[1].
Il becco dei moa
Il becco dei moa variava molto in taglia e forma, a causa delle diverse preferenze alimentari delle varie specie.
I dinorniti (genere Dinornis), ad esempio, possedevano un becco lungo e incurvato, adatto ad una dieta mista che comprendeva erbe ma anche fogliame. Il becco appuntito del moa degli altopiani, invece, era adatto a tagliare come una cesoia la parte apicale dei rami di alberi e di graminacee. Il becco corto e robusto di Anomalopteryx, al contrario, era probabilmente adattato a strappare le parti coriacee delle piante[1].
Nel complesso, dunque, tutte le specie di moa erano brucatori o erbivori misti e nessuna specie era strettamente pascolatrice. Non a caso, all’interno di vari coproliti (ossia resti fecali fossilizzati) neozelandesi attribuiti ai moa sono state rinvenute varie specie di piante, tra cui faggi australi (Nothofagus sp.), poacee, ciperacee e felci, ma anche gastroliti, ossia pietre ingoiate per triturare il cibo nel tratto digestivo[2].
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Principali specie di moa
I moa furono tra i primi uccelli a colonizzare la Nuova Zelanda e presentavano forme relativamente diversificate, con ben 6 generi e 9 specie descritti fino ad oggi. A prima vista, i moa sembrerebbero simili a struzzi ed emù, ma in realtà sono con essi solo lontanamente imparentati (moa, struzzi ed emù sono tutti uccelli del gruppo dei paleognati). Infatti, i loro parenti attuali più stretti sono i Tinamidi, uccelli volanti vagamente simili a pernici[1].
I moa presentavano forme piuttosto variabili, anche a causa della diversità di habitat neozelandesi. L’isola del Nord, infatti, possiede principalmente un clima subtropicale caldo, ascrivibile ad un clima oceanico caldo; l’isola del Sud, al contrario, presenta temperature più rigide, con temperature invernali spesso sottozero e catene montuose con climi subalpini.
Moa gigante
Il genere più grande di moa, Dinornis, era diffuso in quasi ogni habitat delle due isole. Chiamati volgarmente moa giganti o dinorniti, questi uccelli possedevano un altissimo grado di dimorfismo sessuale (differenze morfologiche tra maschi e femmine): i maschi erano di ridotta taglia, con un peso tra 34 e 85 kg, mentre le femmine, più grandi, potevano raggiungere i 240 kg e i 3.6 metri di altezza. Le ragioni di questa differenza di taglia sono tutt’oggi sconosciute, ma si ipotizza che una ridotta taglia avrebbe permesso ai maschi di covare le uova senza rischiarne la rottura o a ridurre la competizione intraspecifica[3, 4].
Moa di montagna
Una forma bizzarra di moa è rappresentata Megalapteryx didinu, o moa degli altipiani, adattatosi a vivere nei freddi climi subalpini delle Alpi Meridionali neozelandesi. Il moa degli altipiani era tra i più piccoli del gruppo, con un peso variabile fra 17 e 34 kg. Grazie a vari reperti mummificati, sappiamo che Megalapteryx possedesse un folto piumaggio anche sotto le zampe e attorno al becco, un probabile adattamento al freddo montano[5].
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Un’altra specie montana di moa di maggiori dimensioni era Pachyornis australis. Questa specie è detta anche moa crestato, per la presenza di una cresta piumata sul capo, che veniva usata probabilmente nel corteggiamento. Pachyornis australis presentava i migliori adattamenti alla grossa taglia, con gambe estremamente robuste che riducevano di molto lo stress osseo da carico[4, 6].
Moa delle boscaglie
La specie di moa più abbondante e comune su entrambe le isole neozelandesi era Anomalopteryx didiformis, o moa delle boscaglie. Con stime di popolazione che superano i 500.000 individui, questo moa di media taglia dominava gli habitat forestali non costieri di tutta la Nuova Zelanda. La loro densità media è stimata attorno ai 3 individui\km2, analoga a quella degli ungulati continentali[1, 6].
Un’estinzione fulminea
I moa sopravvissero con successo ai periodi glaciali del Pleistocene, ma non poterono nulla contro la forza distruttiva dell’uomo. Quando i popoli Maori raggiunsero per la prima volta la Nuova Zelanda, verso il 1300 d.C., riuscirono in meno di duecento anni ad eradicare i moa ed altri grandi uccelli delle due isole, a scopi prevalentemente di consumo. Al loro arrivo, era stimata la presenza di quasi 3 milioni di moa.
Nessun colonizzatore europeo ebbe l’occasione di vedere questi giganteschi uccelli atteri. Nonostante i moa avessero alcuni predatori, come la gigantesca aquila di Haast, la pressione predatoria dell’uomo non fu lontanamente paragonabile, oltre che inaspettata. I Maori inoltre, con l’uso del fuoco, distrussero grandi porzioni di foreste, frammentando ulteriormente l’habitat dei moa[1, 7].
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Nonostante la loro estinzione, ad oggi si possiedono molti resti organici di questi grandi uccelli, che hanno permesso in alcuni casi di sequenziarne il genoma (anche se lo studio non è ancora stato pubblicato)[8]: in futuro, magari, con tecnologie molecolari più avanzate, si potrà ricreare i moa tramite clonazione, contribuendo a preservare i fragilissimi e deturpati ecosistemi neozelandesi odierni.
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Perché i moa erano così grandi?
Spesso, quando una specie colonizza un ambiente circoscritto come un’isola, può andare incontro ad un processo chiamato gigantismo insulare, così come successe agli antenati dei moa. Questo processo evolutivo ha come causa principale la mancanza di competizione con altre specie ma anche la necessità di ridurre il tasso metabolico per abbassare il consumo di energia; il gigantismo può anche verificarsi per la mancanza di pressione predatoria[9]. Molte specie di uccelli che colonizzarono la Nuova Zelanda, non a caso, hanno gradualmente aumentato la propria taglia, perdendo la capacità di volare e diventando pienamente terricoli.
Queste condizioni non si sarebbero mai create se il micro-continente chiamato Zealandia non fosse riaffiorato dall’oceano 23 milioni di anni fa, formando le due attuali isole della Nuova Zelanda[10].
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Ed è proprio dopo l’emersione della Nuova Zelanda che cominciarono le prime ricolonizzazioni dell’arcipelago, prima ad opera delle piante e poi degli animali. In condizioni continentali, le nicchie ecologiche terrestri dell’isola sarebbero state occupate principalmente da mammiferi; questo, però, non si verificò in Nuova Zelanda, a causa appunto del suo isolamento geografico. Gli uccelli, al contrario, grazie alle loro capacità di volo, non hanno avuto problemi a colonizzare il nuovo sistema insulare, dove diedero poi origine ad una moltitudine di forme. E tra questi uccelli, troviamo appunto i moa.
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Conclusioni
I moa sono stati un esempio lampante della spinta evolutiva che ha portato degli animali ad occupare le nicchie più inaspettate: gli uccelli sono da sempre stati relegati (almeno parzialmente) alla vita aerea, salvo poche eccezioni moderne (come ratiti e pinguini) o passate (come i Gastornis, gli uccelli elefante e gli uccelli del terrore), mentre buona parte delle nicchie ecologiche terrestri del Cenozoico è stata da sempre occupata dai mammiferi.
I moa purtroppo sono però anche un esempio del forte impatto dell’uomo, sia nel passato che nel presente, capace di azzerare intere specie in pochissimo tempo, soprattutto le specie insulari. Bisognerà imparare da questi errori passati e attuali per evitare di peggiorare ulteriormente l’ecosistema già molto deteriorato di quest’isola unica e bizzarra.
Referenze
- Worthy, Trevor H., and Richard N. Holdaway. The lost world of the moa: prehistoric life of New Zealand. Indiana University Press, 2002.
- Horrocks, M., et al. (2004). Plant remains in coprolites: diet of a subalpine moa (Dinornithiformes) from southern New Zealand. Emu-Austral Ornithology, 104(2), 149-156;
- Brassey, C. A., et al. (2013). More than one way of being a moa: differences in leg bone robustness map divergent evolutionary trajectories in Dinornithidae and Emeidae (Dinornithiformes). PLoS One, 8(12), e82668;
- Olson, V. A., & Turvey, S. T. (2013). The evolution of sexual dimorphism in New Zealand giant moa (Dinornis) and other ratites. Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 280(1760), 20130401;
- Museum of New Zealand – Upland moa (Megalapteryx didinus);
- Latham, A. D. M., et al. (2020). A refined model of body mass and population density in flightless birds reconciles extreme bimodal population estimates for extinct moa. Ecography, 43(3), 353-364;
- Milberg, P., & Tyrberg, T. (1993). Naïve birds and noble savages. A review of man‐caused prehistoric extinctions of island birds. Ecography, 16(3), 229-250;
- Cloutier, A., et al. (2019). First nuclear genome assembly of an extinct moa species, the little bush moa (Anomalopteryx didiformis). BioRxiv, 262816;
- Pafilis, P., et al. (2009). Intraspecific competition and high food availability are associated with insular gigantism in a lizard. Naturwissenschaften, 96(9), 1107-1113;
- Bunce, M., et al. (2009). The evolutionary history of the extinct ratite moa and New Zealand Neogene paleogeography. Proceedings of the National Academy of Sciences, 106(49), 20646-20651.
Immagine di copertina di Mike Dickison, Wikimedia Commons (CC BY 4.0).