Per l’ovvia impossibilità di spostarsi dal luogo in cui sono nate, le piante istaurano spesso dei rapporti di collaborazione con gli animali. Esse si servono infatti di quest’ultimi per garantirsi un’efficiente impollinazione, per la dispersione dei semi o a scopi di difesa. Sono proprio questi tre elementi i pilastri sui quali è stata selezione e si regge una delle relazioni mutualistiche più studiate negli ultimi anni, ossia la mirmecofilia, cioè quel legame profondo instauratosi tra le piante ed alcune specie di formiche.
Federico Delpino e la nascita degli studi di mirmecofilia
Federico Delpino (1833-1905) è stato indiscutibilmente il più importante botanico italiano della seconda metà dell’Ottocento. Nonostante il suo grande valore, il fatto che abbia scritto esclusivamente in lingua italiana ha impedito a molti studiosi di accedere alla sua opera, cadendo pian piano nell’oblio.
Ad oggi le sue teorie ed i suoi studi sono stati riscoperti con grande interesse, in particolare per la moderna visione che Delpino aveva delle piante e della biologia vegetale in generale, che secondo lo scienziato forniva il modo più appropriato per valutare la trasformazione e l’evoluzione delle specie.
A lui si deve infatti la nascita dello studio della mirmecofilia, letteralmente “amore per le formiche”, che descrive una relazione positiva tra le formiche e altre specie. In particolare, egli si rese conto che più di 80 specie di piante riuscivano ad intrattenere relazioni positive con le formiche, beneficiando della loro protezione nei confronti di altre specie predatorie animali. I piccoli insetti ricevevano, in cambio, un “premio” per la loro diligenza, consistente in un succo molto zuccherino e nutriente situato nei nettari extra-fiorali della pianta.
E fu così che nei suoi anni di studio Delpino identificò e descrisse circa 3000 specie vegetali che intrattenevano relazioni di mutua utilità con le formiche, producendo una mole impressionante di lavoro riunita nel 1886 in una monografia interamente dedicata all’argomento, che ancora oggi rappresenta una pietra miliare della biologia vegetale.
Evoluzione della mirmecofilia
Le interazioni piante-formiche sono diverse ed abbondanti sulla Terra e sono una preziosa fonte per lo studio non solo del mutualismo, ma anche di altre relazioni biotiche, come la predazione e la competizione interspecifica. Un team di ricercatori ha recentemente provato a ricostruire su una scala spazio-temporale come e quando queste interazioni interspecifiche sono comparse e quali sono state le più importanti conseguenze dal punto di vista macroevolutivo.
Innanzitutto, la diversificazione evolutiva di molte linee arboree risale al Cenozoico (65 milioni di anni fa, circa), periodo che ha visto la transizione della dominanza ecologica dalle gimnosperme, il grande gruppo che comprende tutte le piante a seme ma prive di fiori e frutti (come i moderni pini ed abeti), alle angiosperme, gruppo che invece comprende tutte le piante dotate di fiori e frutti. Le caratteristiche uniche della riproduzione e della biologia delle piante a fiore hanno favorito, unitamente ad un aumento nella complessità dell’ecosistema terrestre, la nascita di nuove nicchie ecologiche, ben presto colonizzate e sfruttate da alcune specie di animali, tra le quali appunto le formiche.
Le formiche sono tra i gruppi di insetti più abbondanti del Pianeta, ed è stato provato che la loro diversificazione nelle varie linee evolutive è avvenuta in maggior misura proprio durante il periodo di dominanza delle angiosperme, quando le prime linee onnivore di formiche hanno cominciato ad incorporare nella loro dieta derivati vegetali dalle piante.
Ma quali sono state le strategie evolutive adottate dalle piante per attirare a se questi gruppi di insetti?
Innanzitutto, come già Delpino aveva documentato e minuziosamente descritto nel suo lavoro, le prime strutture che le piante da fiore hanno sviluppato, verso la metà del Cretaceo, per attrarre le formiche sono i nettari extra-fiorali. In poche parole, queste strutture sono rappresentate da piccoli organi secretori posti sui rami, sulle ascelle delle foglie o sui germogli, in grado di secernere un liquido sufficientemente viscoso e ricco di sostanze zuccherine assai appetibili.
Un’altra particolare struttura che è stata selezionata successivamente, verso la fine del Cretaceo e l’inizio del Paleogene (55 milioni di anni fa, circa) è il cosiddetto elaiosoma, una speciale pallina di grasso associata al seme, ricca di sostanze oleose molto energetiche e delle quali le formiche sono ghiotte. In realtà, come vedremo meglio più avanti, questa particolare interazione tra specie diverse assume sempre più i connotati di una vero e proprio scambio, dal quale ognuno dei due contraenti è convenientemente ripagato: la formica prende il seme, lo trasporta nel formicaio, mangia l’elaiosoma e lascia tutto il resto lì, in uno strato di terra sufficientemente fertile e umido, ideale per la futura dispersione del seme e la germinazione della pianta.
Infine, alcune piante hanno più tardivamente sviluppato, verso la fine del Paleogene e l’inizio del Neogene (23 Ma circa), una terza struttura accessoria denominata domatium: si tratta di una piccola camera cava in grado di ospitare e fornire protezione agli artropodi, molto comune tra il genere di alberi Acacia, del quale parleremo approfonditamente più avanti.
Abbiamo quindi capito che durante il corso dell’evoluzione le caratteristiche di alcune specie di piante sono state selezionate per attrarre a sé vari gruppi di formiche. Ma per quanto riguarda quest’ultime? Vi sono stati rilevanti cambiamenti morfologici e/o comportamentali in seguito all’istaurazione della simbiosi con le piante?
La risposta è sì, eccome! Gli studiosi hanno infatti rivelato come alcune linee onnivore di formiche abbiano iniziato pian piano ad integrare sempre di più nella loro dieta derivati vegetali di piante, in maniera assolutamente opportunistica, fino poi a diventarne dipendenti e adottare una dieta esclusivamente erbivora. Non solo, ma le formiche si sono dimostrate delle valide e fide alleate nella difesa della pianta da possibili attacchi da parte di altri insetti o mammiferi, favorendo quindi la riproduzione e la possibilità di sopravvivenza della pianta stessa.
Ecco che in virtù di questa dipendenza, le piante hanno poi evoluto la capacità di creare delle vere e proprie strutture in grado di ospitare i vari gruppi di artropodi (come appunto i domatium citati precedentemente), o degli organi in grado di produrre sostanze appetibili e nutrienti come “premio compensatorio” (vedi i nettari extra-fiorali).
Interazione pianta-formiche: compromesso equo ma con un pizzico di arte manipolatoria
Vedremo adesso come la cooperazione tra piante e formiche può arrivare talvolta a livelli di raffinatezza e complessità difficili da immaginare. Un esempio è dato dall’associazione fra il genere di formica Pseudomyrmex e numerose specie arboree appartenenti al genere Acacia dell’Africa o dell’America latina. Gli scienziati si sono accorti che questi alberi producono corpi fruttiferi che le formiche trovano a dir poco irresistibili, e che forniscono alle formiche anche di spazi appositi in cui vivere ed allevare le proprie larve.
Ovviamente tutto ciò ha un suo prezzo: le formiche si incaricano della difesa da qualunque aggressore animale o vegetale che sia, e lo fanno molto spesso con grande efficacia ed una buona dose di aggressività. Non è raro infatti osservare una colonia di formiche attaccare animali come elefanti o giraffe, aventi una taglia miliardi di volte superiore alla loro pur di evitare qualsiasi danno alla pianta.
Una bell’esempio di simbiosi mutualistica, ma siamo sicuri che le cose stiano esattamente così? Sotto la facciata di questo idillico rapporto sembrerebbe nascondersi una storia di inganno e di raffinata manipolazione. Tutti sanno che lo zucchero è il cibo preferito degli insetti, specie le formiche, quindi per lungo tempo si è creduto che fossero proprio le molecole di glucosio ad attrarre gli artropodi. Tuttavia, recenti studi hanno messo in luce che il nettare extra-fiorale non contiene solo zucchero: in esso si trovano altri centinaia di composti chimici, fra le quali molti alcaloidi e amminoacidi non proteici, come l’acido γ-amminobutirrico (GABA), la taurina e la β-alanina.
Tuttavia, queste sostanze svolgono un importante ruolo sul sistema nervoso degli animali, regolandone l’eccitabilità neuronale e, di conseguenza, anche il comportamento. Il GABA è noto per essere un potente neurotrasmettitore inibitorio sia nei vertebrati che negli invertebrati, e quindi non soltanto influenza le capacità cognitive delle formiche, ma ne induce anche dipendenza.
Ma non è finita qui: gli studiosi hanno anche scoperto che le acacie sono in grado di modulare la produzione di ogni singola sostanza del nettare, così da modificare di volta in volta il comportamento delle formiche, aumentandone l’aggressività o la mobilità sulla pianta. Però, davvero niente male!
A quale livello ed in quale misura il mutualismo può influenzare e modificare il genoma degli esseri viventi?
Le simbiosi, ossia le strette e molto spesso durature interazioni tra specie, prevedono un’evoluzione del genoma, con aumento e/o diminuzione dei tassi di evoluzione molecolare. Alcuni scienziati si sono posti il problema di come ed in quale misura una relazione mutualistica modifica il DNA e l’espressione di particolari geni negli organismi che beneficiano di tale rapporto.
Il lavoro dei ricercatori si è concentrato sul sequenziamento del genoma di sette specie di formiche che hanno evoluto in maniera convergente un rapporto di tipo obbligato con le piante; i risultati sono stati comparati con il sequenziamento del DNA di altre quattro specie di formiche che invece non sono solite instaurare relazioni mutualistiche con gli organismi vegetali.
Dalle analisi è emerso un dato molto interessante e significativo: elevati tassi di evoluzione molecolare sono stati riscontrati in maggior misura nelle specie simbiotiche con le piante, suggerendo così la presenza di più forze selettive nei confronti di questa particolare forma di interazione.
In sostanza, una volta che un organismo ha instaurato un rapporto di stretta associazione con il proprio partner simbiotico, deve saper adattarsi non solo al variare delle condizioni ambientali esterne, ma anche a quelle del suo simbionte e viceversa.
Questo implica una continua evoluzione da parte del genoma di ambedue gli organismi, in maniera tale da mantenere di volta in volta tutte quelle condizioni favorevoli di rapporto alla pari.
Ma vediamo di aiutarci con un piccolo esempio. È stato scoperto che alcune specie di Acacia, che abbiamo avuto l’occasione di citare più volte in questo articolo, hanno cominciato a produrre un nettare extra-fiorale senza saccarosio, rendendolo di fatto inappetibile per la maggior parte delle formiche. Ma se ciò ha contribuito a dissuadere le specie non obbligate dall’esplorazione dell’albero, ha dall’altra parte favorito, nelle specie mutualistiche, la perdita della capacità di digerire il saccarosio.
Non solo, i ricercatori hanno fatto un’altra interessantissima scoperta: è stata infatti provata una più rapida e significativa evoluzione nei geni espressi a livello del sistema nervoso nelle specie obbligate rispetto a quelle non obbligate. Questa potrebbe essere una delle spiegazioni riguardo la maggiore aggressività e le marcate differenze comportamentali osservabili nelle specie mutualistiche rispetto alle altre.
Alcune specie di formiche obbligate difendono strenuamente ed in maniera così assidua il proprio partner vegetale, che tale comportamento è senz’altro il frutto di numerose e varie forze selettive che hanno agito durante il percorso evolutivo.
Un esempio caratteristico proprio del nostro territorio italiano è rappresentato dalla Formica rufa. Questa specie molto particolare è in realtà originaria delle Alpi ma, durante il secolo scorso, si è deciso di introdurla anche nei boschi di conifere dell’Appennino, in particolare nel versante Tosco-Emiliano e nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Queste formiche rosse hanno l’abitudine di costruire nidi alti anche diversi centimetri utilizzando aghi di abete ed altri residui vegetali in prossimità dell’albero da difendere. Con il loro robusto apparato boccale si rendono infatti particolarmente utili distruggendo un considerevole numero di insetti dannosi alle piante e, in caso di pericolo, sono pronte a spruzzare a lunga distanza una sostanza tossica, tenendo così lontani i possibili disturbatori, uomo compreso!
Conclusioni
Da molti anni gli studiosi si concentrano sull’analisi del mutualismo tra gli organismi eucarioti e sulle possibili conseguenze dal punto di vista della stabilità ecologica e del mantenimento dell’equilibrio ambientale che queste relazioni possono avere sull’ecosistema.
Concentrandoci sulla relazione di interdipendenza tra formiche e piante abbiamo scoperto, con un breve viaggio nel tempo, quali sono state le principali strategie e “furbizie” evolutive messe in atto dalle due parti per la creazione ed il mantenimento di questa fine ed intelligente associazione, fin poi approfondire con una chiave di lettura genetica, le “impronte” lasciate dall’evoluzione nel genoma di ambedue gli individui.
I risultati e le scoperte fin qui ottenute dal mondo della ricerca, hanno in sostanza rivelato che ciò che i nostri occhi umani riescono a percepire ed osservare, non è che la minima parte delle infinite e complesse relazioni che intercorrono tra gli esseri viventi all’interno dell’ecosistema, e che solo imparando a rispettarle potremo riuscire a preservare il patrimonio naturale del nostro pianeta.
Articolo redatto in collaborazione con Nicola Anaclerio.
Referenze
- Ant–plant interactions evolved through increasing interdependence, Matthew P. Nelsen, Richard H. Ree, Corrie S. Moreau, Proceedings of the National Academy of Sciences ,Nov 2018, 115 (48) 12253-12258; doi: 10.1073/pnas.1719794115
- Comparative genomics reveals convergent ratesof evolution in ant–plant mutualisms, Benjamin E.R. Rubin and Corrie S. Moreau (2016), Nature Communications, doi: 10.1038/ncomms12679
- Ward PS, Branstetter MG.2017 The acacia ants revisited: convergentevolution and biogeographic context in an iconic ant/plant mutualism. Proc. R. Soc.B 284: 20162569. http://dx.doi.org/10.1098/rspb.2016.2569
- “Uomini che amano le piante. Storie di scienziati del mondo vegetale”, Stefano Mancuso , Giunti (2014).
- “Plant Revolution. Le piante hanno già inventato il nostro futuro”, Stefano Mancuso, Giunti (2017).