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Mimetismo: quando l’evoluzione diventa arte

Uno degli adattamenti evolutivi più strabilianti prodotti dalla natura è sicuramente quello del mimetismo, ossia la capacità di un organismo di imitare per vari aspetti un secondo organismo o una componente abiotica del proprio habitat, con lo scopo di trarne vantaggio. Questa definizione, sebbene piuttosto grossolana, intende in realtà abbracciare un vasto spettro di adattamenti mimetici; generalmente si tende infatti ad associare al mimetismo l’assunzione da parte di un animale di una qualche colorazione che lo nasconda alla vista dei predatori, mentre in realtà esistono anche casi in cui gli organismi assumono colorazioni vistose e appariscenti o addirittura in cui l’imitazione coinvolge sensi differenti dalla vista, come l’udito e l’olfatto!

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Tra i campioni indiscussi di mimetismo figurano sicuramente gli insetti, tra i quali possono essere rintracciati gli esempi più studiati e noti; degne di nota sono anche molte specie di molluschi, e in particolare di cefalopodi, nei quali si osserva la capacità dei singoli individui di mutare in pochi secondi la colorazione e la morfologia del tegumento per confondersi con le varie parti dell’ambiente circostante. Gli adattamenti mimetici sono largamente diffusi anche tra i vertebrati e, in minor misura, in alcuni gruppi di piante, come testimonia il mimetismo sessuale orchidee.

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Mimetismo criptico

Fig. 1 – Esempi di mimetismo criptico. (a) Esemplari di fasmidi del genere “Phyllium” (insetti foglia); (b) una seppia mimetizzata con una colonia di coralli.

Il mimetismo criptico, o criptismo, rappresenta una delle due principali tipologie di mimetismo visivo e probabilmente quella più conosciuta; esso consiste sostanzialmente nell’assunzione di una colorazione e/o di una forma che rende l’individuo simile all’ambiente circostante e quindi meno visibile. Ogni componente di un determinato habitat può in particolare fungere da modello ed essere imitato dagli organismi che lo abitano: i pesci bentonici (come sogliole e pastinache) tendono ad esempio a mimetizzarsi con il fondale sabbioso su cui vivono, i fasmidi (come insetti stecchi e insetti foglia) imitano egregiamente varie parti di piante, mentre numerose specie di cefalopodi (come seppie e polpi) hanno sviluppato complesse e a volte sconcertanti forme di imitazione rivolte a numerose componenti del loro ambiente. Quelli appena citati rappresentano solo una minima parte di tutti gli adattamenti criptici esistenti in natura e, sebbene potrebbe risultare sorprendente scoprire il grado di criptismo raggiunto da certi organismi, un loro semplice elenco sarebbe a dir poco noioso.

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Anche la semplice livrea dello squalo bianco è il risultato di un particolare adattamento criptico, detto contrombreggiatura: il dorso, infatti, ben si confonde con il colore scuro delle profondità marine, mentre il ventre scompone la sagoma dell’animale stagliata controluce.

Fig. 2 – Un paguro del genere “Dardanus” porta ancorate alla sua conchiglia due attinie del genere “Calliactis”.

Più interessante potrebbe invece risultare l’analisi di come il mimetismo criptico, a volte, sia il risultato non tanto di una particolare pigmentazione dell’epidermide, bensì di uno stretto rapporto simbiotico tra due organismi; è il caso di alcune specie di paguri, come Dardanus calidus, i cui individui vivono in associazione mutualistica con le attinie della specie Calliactis parasitica: in questo rapporto, il paguro aumenta le possibilità di movimento e di nutrizione del polipo, mentre quest’ultimo, da parte sua, fornisce al piccolo crostaceo protezione da eventuali predatori, nonché un sofisticato mascheramento.

Funzionalità evolutiva del mimetismo criptico

È abbastanza intuitivo il fatto che il mimetismo criptico porti ad un abbattimento del rischio di predazione e dunque ad un aumento della qualità di vita; la conoscenza scientifica non può però basarsi sul senso comune e richiede anzi esperimenti riproducibili (e confutabili) basati su dati e rilevazioni. Il valore adattativo del criptismo è stato ad esempio provato in numerosi studi, come quello condotto da Pietrewicz e Kamil (1977) su esemplari di ghiandaie (Cyanocitta cristata): essi allestirono in particolare un apparato sperimentale in cui all’uccello venivano mostrate in sequenza una serie di diapositive, alcune vuote e alcune recanti l’immagine di una falena su uno sfondo più o meno mimetico; se la ghiandaia beccava l’immagine di una falena veniva ricompensata con un premio in cibo e quindi sottoposta all’immagine successiva, mentre se l’immagine era vuota l’uccello poteva beccare un riquadro di avanzamento che faceva proiettare immediatamente la diapositiva successiva.

Ebbene, i due ricercatori misurarono che la ghiandaia faceva molti più errori se la falena era presentata su uno sfondo criptico, scambiando la diapositiva per una diapositiva vuota, piuttosto che se la falena era mostrata su uno sfondo contrastante.

E i camaleonti? Sin da bambini ci insegnano che sono in grado di cambiare colore per mimetizzarsi con l’ambiente (un caso di criptismo dunque), ma le cose potrebbero non stare esattamente così. Come e perché i camaleonti cambiano colore?

Mimetismo fanerico ed aposematismo

Fig. 3 – Colorazioni aposematiche. (a) La farfalla monarca mostra vistose ali con macchie rosso-arancioni e bianche e bordi neri; (b) gli anuri del genere “Dendorbates” sono tra gli anfibi più colorati ma anche più velenosi.

Il mimetismo fanerico (dal greco phanerós, “evidente”, “manifesto”), o di ostentazione, rappresenta l’altra grande categoria di adattamenti mimetici degli animali e consiste nell’imitazione della livrea di una specie tossica o pericolosa, la quale è dotata di una colorazione aposematica; l’aposematismo è in questo senso una strategia adottata da numerosi animali tossici o velenosi, o semplicemente dal sapore sgradevole, che adottano appunto livree appariscenti e vistose come avvertimento per i predatori. La farfalla monarca, Danaus plexippus è un tipico esempio di come una colorazione vistosa ed appariscente sia associata ad un sapore sgradevole dell’animale, che viene quindi volentieri evitato dai predatori; le rane del genere Dendrobates mostrano invece vivaci fantasie epidermiche che avvertono i predatori della tossicità del muco che ricopre la loro pelle.

Nella definizione di mimetismo fanerico ricadono, tra gli altri, il mimetismo batesiano e il mimetismo mülleriano.

Mimetismo batesiano

Fig. 4 – Alcuni mimi batesiani (a sinistra) a confronto con i loro modelli (a destra). (a) “Lampropeltis triangulum”, o falso serpente corallo; (b) “Micrurus nigrocintus”, o serpente corallo; (c) sirfide della specie “Helophilus pendulus”; (d) imenottero vespide della specie “Polistes dominula”.

Il mimetismo batesiano (dal biologo ed entomologo britannico H. W. Bates) si ha in quelle specie di animali innocui (mimo) che imitano la livrea aposematica di una specie tossica o in generale sgradevole (modello), così da essere evitate dai predatori in quanto associate ad un potenziale pericolo. È evidente come tra mimo e modello debba esistere una parziale sovrapposizione di nicchia ecologica, in particolare al livello spaziale e temporale, cosicché gli individui delle due specie possano condividere lo stesso areale e gli stessi ritmi circadiani e venire così in contatto simultaneamente con gli stessi predatori: se venisse meno questa condizione, infatti, i predatori non sarebbero in grado di associare alla specie innocua il pericolo caratteristico della specie imitata e la colorazione aposematica sortirebbe allora nelle prede l’effetto opposto.

Maestri di imitazione batesiana sono i sirfidi, piccoli insetti dello stesso gruppo di mosche e zanzare che imitano egregiamente la tipica livrea a bande gialle e nere di vespe ed api; tra i vertebrati è degno di nota il mimetismo del cosiddetto serpente “falso corallo” (Lampropeltis triangulum), innocuo, nei confronti del serpente corallo (Micrurus nigrocintus), invece piuttosto velenoso.

Mimetismo mülleriano

Fig. 5 – Mimetismo mülleriano tra le due specie di lepidotteri “Zygaena ephialtes” (a) e “Amata phegea” (b).

Il mimetismo mülleriano (dallo zoologo tedesco Fritz Müller) si ha quando due specie spesso filogeneticamente distanti ma entrambe nocive, o in generale pericolose, hanno subito una convergenza evolutiva tale per cui hanno sviluppato le medesime colorazioni aposematiche. Come nel mimetismo batesiano, anche in questo caso è essenziale che le specie coinvolte condividano lo stesso areale e le stesse abitudini, così da rafforzare il messaggio di avvertimento per i predatori. Il mimetismo mülleriano è evidente in molte specie di imenotteri, come api, bombi e vespe, che condividono tutte la colorazione a bande gialle e nere; allo stesso modo, le due specie inappetibili Zygaena ephialtes e Amata phegea, diffuse anche in Italia, condividono la medesima colorazione nera a macchie bianche.

L’evoluzione dell’aposematismo

Per una preda, una colorazione vistosa che ben contrasta con l’ambiente in cui vive sarebbe sicuramente svantaggiosa se non associata ad un pericolo o ad una caratteristica disgustosa della preda stessa; basti pensare al ruolo che i colori giocano negli organismi vegetali: un fiore viola con striature bianche attira sicuramente molti più impollinatori che non un fiore verde, così come un frutto maturo di un arancione vivido è ben volentieri mangiato da un animale.

Come si sono affermate allora le colorazioni aposematiche tra gli animali? Sono comparse prima rispetto alla non commestibilità o si sono evolute secondariamente? Entrambi questi due scenari sembrano in realtà verosimili a seconda delle specie che si considerano. Alcuni uccelli come il martin pescatore (Alcedo atthis) espongono una livrea piuttosto appariscente che, oltre ad essere primariamente correlata alla ricerca del partner e/o alla difesa del territorio, aumenta anche il rischio di predazione; si ritiene allora che la presenza di questo tratto abbia favorito la comparsa di un sapore disgustoso in queste specie. I bruchi della farfalla monarca (Danaus plexippus), al contrario, hanno di per sé un sapore sgradevole in quanto incorporano le tossine delle piante di cui si nutrono nei loro tessuti; è probabile allora che, contrariamente al caso del martin pescatore, la colorazione aposematica si sia evoluta secondariamente alla tossicità come vero e proprio messaggio di avvertimento.

Criptici o vistosi: quale alternativa?

A questo punto della trattazione, verrebbe naturale chiedersi quale adattamento mimetico sia più favorevole: sicuramente il criptismo permette di nascondersi molto più efficacemente dai predatori, ma allo stesso tempo rende difficoltosa la ricerca dei conspecifici; dall’altro lato, il mimetismo di ostentazione, essendo abbinato all’inappetibilità, fa ugualmente sì che il rischio di predazione diminuisca ma allo stesso tempo rende anche più semplice l’interazione con i conspecifici.

Gittleman e Harvey (1980) cercarono di stabilire se effettivamente una preda vistosa sia più facilmente riconoscibile rispetto ad una criptica. Essi offrirono a dei pulcini delle briciole di pane colorate, alcune delle quali erano state rese disgustose artificialmente; i due notarono che all’inizio i pulcini beccavano indistintamente le briciole dal colore contrastante con quello del pavimento (ad esempio briciole blu su pavimento verde o briciole verdi su pavimento blu) ma che, a lungo andare, essendo queste le briciole rese inappetibili, l’attenzione dei pulcini si orientava maggiormente verso quelle briciole criptiche con il pavimento (quindi briciole blu su pavimento blu e briciole verdi su pavimento verde). Ciò dimostrerebbe allora come una preda dalla colorazione vivace sia di fatto più visibile rispetto ad una criptica, ma come l’avere allo stesso tempo un sapore disgustoso faccia diminuire la frequenza di predazione.

Fig. 6 – Un esemplare maschio di “Poecilia reticulata”. Comunemente noto come “guppy”, questo piccolo pesce tropicale d’acqua dolce è molto apprezzato in acquariologia per la varietà dei colori e delle forme degli individui maschi.

Lo studio di Endler (1980) condotto su pesci d’acquario della specie Poecilia reticulata mira invece a stabilire come la colorazione di un animale possa adattarsi alle condizioni ambientali in cui vive. Gli esemplari maschi di Poecilia espongono livree molto più variopinte rispetto a quelle delle femmine e si ritiene che colori più accessi aumentino il vantaggio riproduttivo. Endler si propose di testare se tali colorazioni incidessero negativamente sul rischio di predazione; egli campionò allora una serie di torrenti di Trinidad e del Venezuela (areale di diffusione di Poecilia) con diverse comunità di predatori e notò che, laddove la pressione predatoria era maggiore, i maschi mostravano una colorazione più smorzata; non solo, ma emerse addirittura come una comunità con maschi non vistosi introdotta artificialmente in un torrente privo di predatori, nel giro di due anni, si arricchisse notevolmente di maschi appariscenti.

Endler dimostrò come, almeno i Poecilia, la colorazione dei maschi sia il risultato dell’interazione tra i vantaggi riproduttivi conferiti da una colorazione sgargiante con i vantaggi antipredatori garantiti invece da una colorazione più spenta.

Altri tipi di mimetismo

E se l’imitazione non coinvolge la vista ma altri sensi? Numerosi animali hanno sviluppato la capacità di ingannare le altre specie per trarne vantaggio utilizzando ad esempio le onde acustiche o le molecole segnale. I ragni del genere Cladomelea (Arthropoda, Chelicerata), conosciuti come ragni bolas, sono ad esempio in grado di secernere una sostanza chimicamente simile all’ormone sessuale di alcune falene che viene fatta roteare in aria con un filo di seta per attrarre con l’inganno le prede. Le farfalle del genere Maculinea utilizzano invece mimetismi sia chimici che acustici per far sì che i loro bruchi vengano allevati dalle formiche come fossero letteralmente parte del formicaio.

 

Bibliografia

  • Cott, H. B. (1940), Adaptative coloration in animals, Oxford University Press, Oxford.
  • Endler, J. A. (1980), Natural selection on colour patterns in Poecilia reticulata, “Evolution”, 34:76-91.
  • Gittleman, J. L., & Harvey, P. H. (1980), Why are distasteful prey not cryptic?, “Nature”, 286:149-150.
  • Krebs, J. R., & Davies, N. B. (2016), Ecologia e comportamento animale, Bollati-Boringhieri, Torino.
  • Pietrewicz, A. T., & Kamil, A. C. (1977), Visual Detection of Cryptic Prey by Blue Jays (Cyanocitta cristata), “Science”, 4278:580-582.
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