“Non esiste funzione senza anatomia”. Lo scrive alla fine del diciannovesimo secolo Camillo Golgi, premio Nobel per la medicina nel 1906, a proposito dei suoi studi sulle cellule nervose centrali e periferiche. In altre parole, la funzione rimodella la forma delle cellule e pertanto le osservazioni microscopiche diventano essenziali per comprenderne i meccanismi fisiologici.
Non è un caso che il primo a capire che i nervi fossero costituiti da un aggregato di fili e non rappresentassero una sorta di canale con una sostanza molle all’interno, come nel caso dei vasi sanguigni, fosse proprio Anton Van Leeuwenhoek nel 1715. Leeuwenhoek, ottico e naturalista olandese, è riconosciuto essere l’inventore del microscopio ottico; quindi, colui che per primo ha potuto osservare, in modo acuto e preciso, alcuni fenomeni naturali come la circolazione dei globuli rossi nei capillari, l’esistenza di cellule germinali maschili, la prima esatta identificazione della struttura lamellare del cristallino, la scoperta di protozoi e batteri chiamati “animaletti”. Ovviamente non è solo stata la disponibilità delle migliori lenti ottiche del periodo, che peraltro costruiva da sé, ma è stato anche l’applicazione scrupolosa del metodo sperimentale moderno, sostenuto da Galileo Galilei e perfezionato poi da Isaac Newton, che ha trasformato un autodidatta in un brillante ricercatore che verificava le ipotesi già formulate sulla base di dati precedenti e misurava il più possibile quantitativamente i fenomeni osservati.
Così scriveva Leeuwenhoek in una lettera alla Royal Society di Londra nel 1692 replicando alle critiche di certi suoi contemporanei:
Io so bene, Onorevoli Signori, che le relazioni che compongo e vi mando di tanto in tanto non sono sempre in accordo tra loro, e che vi si ritrovano delle contraddizioni; per questo voglio dire ancora una volta che è mia abitudine tenermi ai dati in mio possesso finché non sono meglio informato o finché le mie osservazioni non mi facciano volgere altrove; e non me ne vergognerò mai al punto di cambiare il mio metodo
Nasceva così la moderna microscopia, ovvero lo studio della natura su grandezze di piccola scala, che ancora oggi costituisce uno dei principali mezzi di indagine della moderna ricerca scientifica. Ma per comprendere meglio la nascita e l’evoluzione di questa scienza dobbiamo rifarci alle numerose intuizioni e scoperte che dai primi tentativi dell’Antichità hanno delineato lo sviluppo di questa disciplina fino alle stupefacenti osservazioni della scienza moderna.
La luce nella tradizione ellenica e islamica
Sebbene il microscopio sia un’invenzione relativamente recente, lo studio dei fenomeni luminosi ha interessato molte delle grandi menti dell’Antichità e originato dibattiti tra differenti scuole di pensiero; dobbiamo già a grandi pensatori come Aristotele, o Euclide, vissuti a cavallo tra il quarto e il terzo secolo a.C., la prima formalizzazione di cui si abbia testimonianza scritta del concetto di visione e di raggi luminosi. Già nel terzo secolo a.C. diverrà celebre, anche se non ancora dimostrato storicamente, l’utilizzo dei famosi specchi ustori di Archimede durante la II guerra punica.
Gli esempi più documentati, a questo proposito, sono quelli che provengono dal mondo romano. Infatti, è da tempo largamente accreditato l’uso che gli antichi romani facevano di sfere di vetro più o meno appiattite per concentrare i raggi del sole e ottenere il fuoco. La tecnologia delle lenti sembra essere ancora più antica della civiltà romana come dimostrano i reperti di Cnosso, risalenti addirittura all’età del bronzo, periodo collocato fra il 3500 e il 1200 a.C [1,2].
Dagli scavi dell’antica Pompei provengono, oltre ai prismi di cristallo, di straordinaria precisione e regolarità (usati per scomporre la luce nei colori dello spettro) anche piccoli vetri rotondi, leggermente convessi, capaci di fornire un’immagine nitida e ingrandita. Sfortunatamente mancano quasi del tutto fonti letterarie che parlino di questi oggetti come strumenti per la visione. É stato tramandato da Plinio il Vecchio come l’imperatore Nerone, forse miope, fosse solito assistere ai combattimenti dei gladiatori guardandoli attraverso un grosso smeraldo levigato.
Tornando a Euclide, sottolineiamo che fu autore dei famosi cinque postulati della geometria che contengono i concetti di punto, retta e piano; questi concetti fondamentali confluirono nell’opera Ottica e Catottrica ove sono contenuti elementi di prospettiva, lo studio della riflessione negli specchi piani e sferici e, per la prima volta, viene definito il concetto di raggio visuale come privo di struttura fisica. Ciò permette a Euclide di estendere il metodo tipico delle dimostrazioni geometriche al campo dei fenomeni luminosi[3].
La natura di tali assiomi, tuttavia, risulta fortemente condizionata dall’idea che la visione avvenga per raggi emessi dall’occhio: teoria estromissiva della luce. Per arrivare a una teoria della visione più avanzata si dovette attendere fino al decimo secolo, con le teorie dell’arabo Alhazen (965-1039). Per Alhazen, l’occhio non può “sentire” l’oggetto se non per mezzo di raggi che questo gli invia con velocità finita; la luce deve avere un’esistenza reale perché quando è molto intensa può danneggiare gli occhi e generare immagini persistenti[4].
L’invenzione del microscopio
Dobbiamo aspettare fino all’età barocca per vedere il nascere del vero e proprio microscopio antesignano di quelli moderni. Il Seicento costituisce un periodo fecondo in molti paesi per le scienze in generale, anzi si dovrebbe dire che esso vide una vera e propria rivoluzione scientifica con Bacone, Boyle, Copernico, Leibniz, e molti altri. Bisogna però dire che nella storia della microscopia non c’è una data saliente paragonabile al 1609, anno in cui Galileo Galilei (1564-1642) venne in possesso di un rudimentale cannocchiale.
Non è un caso, inoltre, che l’Olanda sia stato il luogo di nascita di uno strumento come il microscopio, dato che questo Paese nel Seicento rappresentava un importante crocevia commerciale per il settore tessile e, allo stesso tempo, per la produzione di ceramiche e maioliche. Da queste ultime botteghe, forse come prodotto secondario della lavorazione, vennero con ogni probabilità le gocce di vetro fuso che venivano usate come piccole lenti di ingrandimento dai produttori di tessuti per meglio controllarne la trama in fase di produzione. Fu questo il primo utilizzo che Antoni Van Leeuwenhoek (1632-1723), inizialmente amministratore di un negozio di stoffe, fece delle gocce di vetro solidificato; successivamente, probabilmente in seguito al suo interessamento alle scienze naturali per le quali era naturalmente portato, iniziò a sviluppare l’idea che queste lenti rudimentali potessero essere migliorate ed impiegate per investigare oggetti di altra natura.
Quello di Van Leeuwenhoek può dunque essere considerato il vero primo microscopio in quanto appositamente concepito e ottimizzato all’uso per scopo di ricerca scientifica. Non a caso, al tempo egli veniva citato come il geniale ricercatore che
[…] ha progettato microscopi che superano di molto quelli che si sono visti finora…
Il microscopio di Leeuwenhoek consiste infatti in una singola lente montata su un supporto metallico dotato di un apposito porta-campioni con messa a fuoco regolabile mediante un meccanismo a vite, e prevede l’utilizzo di illuminazione artificiale. Questi elementi, oltre a costituire, da quel momento in poi, i fondamenti di qualunque microscopio ottico, presuppongono una metodologia di studio dei fenomeni naturali di sapore già moderno.
Leeuwenhoek fu ricoperto di riconoscimenti ufficiali, il suo laboratorio fu visitato da studiosi e personaggi politici di tutto il mondo (celebre la visita dello zar Pietro il Grande di Russia). Leeuwenhoek muore all’età di 91 anni, il 26 agosto 1723, dopo aver visto l’edizione latina della completa collezione delle sue numerosissime lettere e relazioni, uscita nel 1722 sotto il titolo di “Arcana Naturae”[5].
Gli sforzi degli studiosi nei secoli successivi saranno completamente rivolti a costruire microscopi più potenti e a sistematizzare, classificare e quantificare il micromondo appena scoperto. A questo proposito è fondamentale il contributo dell’inglese Robert Hooke (1635-1703), più facilmente ricordato per i suoi studi sull’elasticità che per quelli sulla microscopia ottica. Hooke, studioso a tutto campo, apportò migliorie al microscopio, dotandolo di nuovi sistemi ottici e di un nuovo sistema di illuminazione. Ciò gli permise di effettuare una serie di scoperte, come quella delle cavità del sughero, separate da pareti, che chiamò cellule. In polemica con Isaac Newton, probabilmente il maggiore scienziato del tempo, sostenne l’idea di una teoria ondulatoria della luce in opposizione alla teoria corpuscolare[6].
L’evoluzione della microscopia tra Ottocento e Novecento: dal microscopio ottico al microscopio elettronico
I miglioramenti via via introdotti nei microscopi composti costruiti nel Settecento riguardarono essenzialmente la struttura meccanica. Benché si fosse raggiunto un certo avanzamento nelle tecniche di lavorazione delle lenti, le prestazioni ottiche erano ancora scadenti. Ciò era dovuto sia alla qualità del vetro, sia ai due gravi difetti delle lenti: l’aberrazione di sfericità e l’aberrazione cromatica, che determinavano immagini sfocate e iridescenti. Peraltro, ogni miglioria avveniva sempre e soltanto su base empirica e si trattava pertanto di prodotti di fattura artigianale. Per essere corrette, queste aberrazioni richiedono l’accoppiamento di più lenti e pertanto si dovette aspettare la metà del diciannovesimo secolo perché sistemi siffatti potessero essere realizzati. Da quel momento studi teorici e progresso tecnologico procedettero di pari passo. La figura più rappresentativa di questo periodo fu il tedesco Ernst Abbe (1840-1905), che trasformò il microscopio da uno strumento qualitativo a uno quantitativo; a lui sono dovuti molti dei principi alla base della moderna tecnologia dell’ottica dei microscopi e delle lenti in generale; Abbe fu collaboratore di Carl Zeiss (1816-1888) nelle celebri officine ottiche di Jena. Ricavò l’espressione, che porta il suo nome (numero di Abbe), per caratterizzare il potere dispersivo del vetro e mise in relazione la risoluzione dell’obiettivo di un microscopio in funzione della sua apertura numerica[7].
Dal 1900 a Jena operò anche August Kohler (1866-1948), che si occupò di microfotografia e mise a punto un sistema ormai universalmente adottato di illuminazione per i microscopi; alla fine dell’Ottocento sono già sul mercato ottimi strumenti diritti e rovesciati.
Nel 1903 Richard Zsigmondy (1865-1929) sviluppa il cosiddetto ultramicroscopio, che permette lo studio di particelle colloidali aventi dimensioni al di sotto della lunghezza d’onda della luce; e nei decenni successivi il ritmo non rallentò: nuove tecniche come il contrasto di fase, i metodi interferenziali e la microscopia a riflessione hanno aperto nuovi campi di applicazione mentre altre tecniche note da tempo furono migliorate, come nel caso dei microscopi a fluorescenza, a contrasto interferenziale e a radiazione polarizzata.
Già negli anni ’30 del Novecento, con la definizione delle particelle elementari come l’elettrone e l’introduzione del dualismo onde/corpuscolo per spiegarne il comportamento, i tempi erano maturi perché i limiti nella risoluzione spaziale dei microscopi ottici, imposti dalla lunghezza d’onda della luce, potessero essere superati nell’ambito di una prospettiva completamente nuova: la microscopia elettronica. Il primo microscopio elettronico fu costruito nel 1933 dai fisici tedeschi Ernst Ruska (1906-1988) e Max Knoll (1897-1969). Lo stesso Ruska, molti anni dopo, si riferirà a quei tempi come un fecondo periodo di studio e ricerca:
Dopo la laurea (1931), la situazione economica in Germania era diventata molto difficile e non sembrò possibile trovare una posizione soddisfacente presso l’Università o nell’Industria. Fui dunque lieto di poter continuare la mia attività a titolo gratuito come studente di dottorato presso l’Istituto delle Alte Tensioni…”[8]
Il tardo Novecento e la microscopia a scansione di sonda
É ancora la progressiva sistematizzazione delle leggi della meccanica quantistica a suggerire nuove soluzioni per investigare il mondo microscopico con sempre maggior dettaglio, spingendosi fino a svelarne la natura intima, ossia le molecole e gli atomi. Diversamente da quanto accaduto in precedenza, negli anni ’80 alcune idee brillanti furono sviluppate in contesti già intellettualmente aperti e, il che non guasta, adeguatamente provvisti di risorse umane, tecnologiche ed economiche. É dall’idea di George Gamow (già scopritore della cosiddetta Radiazione Cosmica di Fondo) dell’esistenza dell’effetto tunnel, formulata nel 1928, che due fisici tedeschi, Gerd Binnig (1947) e Heinrich Rohrer (1933-2013) idearono nel 1981, mentre lavoravano presso i Laboratori di Ricerca della IBM a Zurigo, il primo Microscopio a Scansione Tunnel[9]. Questo microscopio utilizza una sottile sonda ad ago per rilevare una debole corrente elettrica tra la sonda e la superficie del campione studiato, che può venire investigato fino a una risoluzione in teoria inferiore alla dimensione di atomi e molecole. Questa scoperta valse il Premio Nobel per la Fisica 1986 ai loro scopritori. É piuttosto rimarchevole che il premio fu consegnato, piuttosto tardivamente, anche a Enrst Ruska “Per il suo lavoro fondamentale nell’ottica elettronica, e per la progettazione del primo microscopio elettronico”. Nello stesso contesto, ma basato sulla forza elettrica che gli atomi di una superficie esercitano su una piccola sonda posto nelle loro vicinanze, viene inventato (con la collaborazione dello stesso Binning) il Microscopio a Forza Atomica (1982) la cui realizzazione vede il contributo congiunto di altri studiosi, tra cui Calvin Quate (1923-2019) e Christoph Gerber (1942). Questo microscopio permise di estendere l’applicazione delle microscopie a scansione di sonda a una vasta categoria di campioni, tra cui quelli biologici.
Per il suo elevato spettro di varianti e applicazioni questa tecnica costituisce a oggi, con ogni probabilità, quella più versatile per lo studio delle superfici nel campo delle nanotecnologie. A oggi, infatti, le microscopie sono rivolte a ricavare informazioni sempre più complete riguardo la natura delle superfici e i moderni microscopi integrano, nello stesso strumento, diverse tecniche per adattarsi allo studio di campioni di diversa natura[10, 11].
Dal rinascimento dell’ottica al nanoscopio
La messa a punto di sorgenti laser che avviene nella seconda metà del ventesimo secolo, porta a un nuovo sviluppo di un campo più classicamente ottico, anzi si può dire che costituisca la più importante scoperta in ottica dopo quella dei raggi X. Il laser a rubino è stato il primo a essere realizzato nel 1960. Le caratteristiche della luce laser (estrema coerenza, alte intensità e lunghezza d’onda unica) consentono di evitare fenomeni di aberrazioni e diffrazioni tipiche invece della luce prodotta da tradizionali lampade a incandescenza[12].
Nel 1955, in occasione della sua tesi di dottorato in matematica, Marvin Lee Minsky (1927-2016), uno dei fondatori dell’intelligenza artificiale, teorizzò il microscopio confocale, uno strumento ottico con una risoluzione e una qualità dell’immagine senza precedenti per l’epoca. Come egli stesso racconta:
Nel 1956 brevettai il mio microscopio confocale, ma il brevetto scadde prima che qualcuno ne costruisse un secondo. Non ci prendemmo nemmeno la briga di brevettare il display o il logo, credendo che fossero invenzioni totalmente ovvie. Sembra che l’ovvietà non sia rilevante per il brevetto[13].
Un microscopio confocale si differenzia strutturalmente dal tradizionale microscopio a fluorescenza per l’impiego della sorgente laser ma soprattutto per la presenza di un diaframma lungo il percorso ottico che permette di escludere il segnale proveniente dalle porzioni sopra e sotto il fuoco del campione, fornendo così un’immagine per la prima volta con informazioni tridimensionali. In realtà il microscopio confocale entra nei laboratori solo alla fine degli anni ‘80 quando la tecnologia laser e computeristica diventano relativamente accessibili e sufficientemente potenti. Attualmente è uno strumento di fondamentale importanza nella ricerca scientifica biomedica[14, 15].
Il microscopio confocale rappresenta, per il campo dell’ottica, non un traguardo tecnologico ma un punto di partenza per il fiorire di nuove tecniche di indagine basate sulla tecnologia del laser e sull’impiego di nuovi marcatori fluorescenti, come nel caso della microscopia TIRF (Total internal Reflection Fluorescence), del Live Cell Imaging, della microscopia confocale spettrale, dell’uso di differenti tecniche di analisi morfo-funzionale tra le quali annoveriamo la FRAP (Fluorescence Recovery After Photobleaching), la FRET (Fluorescence Resonance Energy Transfer), la FLIM (Fluorescence Lifetime Imaging), l’FCS (Fluorescent Correlation Spectroscopy) e infine dell’impiego del laser multifotone per ottenere un notevole incremento del potere di penetrazione della luce all’interno del campione[16].
I primi anni di questo secolo sono inoltre caratterizzati dallo sviluppo di nuove idee geniali che hanno portato la risoluzione ottica oltre i limiti imposti dalla natura della luce. Parliamo infatti di super-risoluzione, realizzata grazie a tre principali differenti approcci: la microscopia STED sviluppata da Stefan Hell (1962), premio Nobel per la chimica nel 2014, la microscopia a luce strutturata che deve la sua nascita a Mats Gustafsson (1960-2011), e la microscopia di localizzazione, introdotta nei laboratori di Harward da Xiaowei Zhuang (1972), in grado di visualizzare una singola molecola con una risoluzione 10 volte maggiore rispetto la microscopia ottica tradizionale. L’introduzione delle tecniche a super-risoluzione portano i moderni microscopi ottici, che quindi possono essere ragionevolmente chiamati “nanoscopi”, a dialogare sempre di più con i microscopi elettronici per una migliore integrazione delle analisi morfologiche. Oggi il microscopio è uno strumento insostituibile in laboratorio, ed è diventato il simbolo stesso della ricerca scientifica[17, 18].
Il futuro della microscopia
Il microscopio è stato senz’altro una delle più grandi rivoluzioni nella storia della scienza, e ha segnato la nascita della microbiologia, della citologia e della biologia cellulare. I passi da gigante che la ricerca medica ha fatto negli ultimi 100-150 anni, con tutto quello che ne è seguito, sarebbero stati impensabili senza il microscopio.
Le nuove frontiere della tecnica vedono già il connubio tra le informazioni prodotte dai microscopi e l’impiego dell’intelligenza artificiale. Questa nuova disciplina, chiamata Deep Learning, è in grado di analizzare le immagini prelevate con i microscopi e può essere in grado di cambiare radicalmente la microscopia e aprire la strada a nuove scoperte. Ma di tutto ciò si era già accorto Mats Gustafsson, uno dei padri della super-risoluzione, quando diceva: “Una volta aggiunto un computer tra il microscopio e l’osservatore umano, l’intero gioco cambia. A quel punto un microscopio non è più un dispositivo che deve generare un’immagine direttamente interpretabile. Ora è un dispositivo per registrare informazioni”.
A questo punto, sarebbe lecito chiedersi fino a quale limite è possibile spingersi nella ricerca e nello studio della microscopia: il mondo microscopico costituisce un serbatoio pressoché inesauribile di informazioni: la materia possiede proprietà strutturali, chimiche e fisiche che riflettono l’impronta data dalle costanti fondamentali e dall’omogeneità delle leggi fisiche scaturite nei primi istanti dell’Universo e le varianti possibili, la maggior parte ancora al di fuori della nostra comprensione, costituiscono la inimmaginabile varietà del mondo che osserviamo[19, 20].
Bibliografia
- Gli antichi romani sapevano creare lenti da vista e già pensavano al laser… e al cinema
- Plantzos D – Crystals and Lenses in the Graeco-Roman World – American Journal of Archaeology Vol. 101, No. 3 (Jul., 1997), pp. 451-464
- Scienza greco-romana. Ottica e teoria della luce – Enciclopedia Treccani
- La civiltà islamica: teoria fisica, metodo sperimentale e conoscenza approssimata. Ibn al-Hayṯam e la nuova fisica – Enciclopedia Treccani
- http://www.funsci.com/fun3_it/antoni/vlit.html
- Hooke R – Micrographia – 1665
- La seconda rivoluzione scientifica: scienze biologiche e medicina. La microscopia da Abbe al microscopio elettronico – Enciclopedia Treccani
- The 2nd Gate To Microcosm -Ernst Ruska Memorial
- Futterman J, Hawkes PW – Ernst Ruska’s Wartime Generosity – Phisics Today Volume 44, Issue 3, March 1991
- Mai W – Fundamental Theory of Atomic Force Microscopy
- http://www.raiscuola.rai.it/articoli/il-microscopio-a-effetto-tunnel-storia-della-scienza/7831/default.aspx
- AA VV. Enciclopedia della Scienza e della Tecnica. A. Mondadori Ed. 1965
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- E. Perucca, Ottica. UTET 1960
- V. Ronchi, Storia della luce, Editori Laterza 1983
- P. Sapuppo, A. Diaspro, M. Faretta, Microscopia Confocale 2006
- A. Diaspro, Expedition into the Nanoword. An Exiciting Voyage from Optical Microscopy to Nanoscopy. Springer 2020
- What’s New on MicroscopyU
- E. Segre, Personaggi e scoperte della fisica classica. A Mondadori Ed. 1996
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