L’introduzione del termine microplastiche risale al 2004 ed è utilizzato per descrivere una miscela di particelle plastiche con dimensioni variabili da 5 mm a qualche micrometro. I fenomeni che si trovano alla base della diffusione delle microplastiche sono quattro, ossia il deterioramento e la frammentazione di oggetti plastici, il rilascio diretto mediante scarichi domestici e industriali, la perdita accidentale e lo scarico diretto di rifiuti.  Le microplastiche che vengono appositamente prodotte in dimensioni minime vengono chiamate microplastiche primarie e sono impiegate in diversi ambiti produttivi, tra cui l’industria cosmetica. Le microplastiche primarie vengono rilasciate in ambiente acquatico principalmente mediante gli scarichi civili e industriali e gli impianti di depurazione delle acque[1] e una parte di esse deriva proprio dall’impiego di prodotti cosmetici arricchiti con le cosiddette microperle.
Quante sono le microplastiche provenienti dai cosmetici?
In uno studio condotto in Cina nel 2017[2] è emerso che l’80% delle microperle rilasciate negli ecosistemi acquatici deriva dalla non-rimozione da parte degli impianti di depurazione delle acque, mentre il 20% di queste deriverebbe da immissione diretta. A tal proposito è necessario fare una precisazione: gli impianti di trattamento delle acque svolgono il loro lavoro in modo efficiente; infatti, ove presenti, questi riescono a trattenere tra il 97% e il 99% delle microplastiche[3]. Ne deriva, dunque, che il problema non risiede nell’inefficienza di questi sistemi di trattamento, ma nel massiccio quantitativo di microplastiche che ogni giorno vengono scaricate verso gli impianti di depurazione. Malgrado i dati non siano confortanti, la quantità di microperle immesse nell’ambiente costituisce appena lo 0,03% di tutte le microplastiche rilasciate dalla Cina.
Per quanto riguarda il contesto Europeo, sono state 4 360 le tonnellate di microperle impiegate nel 2012 e, di queste, circa il 93% sarebbe rappresentato da microperle in polietilene contenute nei prodotti cosmetici che quotidianamente vengono impiegati[4].
Complessivamente, dunque, le microplastiche presenti in ambiente e derivanti direttamente dall’impiego di prodotti cosmetici sono lo 0,1%, mentre la restante parte deriva da altri tipi di microplastiche primarie (pellet industriale) e, soprattutto, dal deterioramento di oggetti plastici di dimensioni maggiori (le cosiddette microplastiche secondarie). Dai dati forniti dalla Cosmetics Europe e aggiornati al 2015, l’ammontare di microplastiche cosmetiche usate per persona corrispondeva a circa 12 mg/giorno per un’emissione complessiva di 3 215 tonnellate[4]. A questo proposito, nel 2017, è stato stimato che gli stati Europei, insieme a quelli dell’Asia centrale, contribuirono a queste immissioni per il 15,9%. Infatti, pur non essendo sempre riportati nella lista degli ingredienti, moltissimi prodotti per la cura della persona contengono microplastiche: secondo quanto è emerso in uno studio condotto in Polonia nel 2020, il 55% dei prodotti cosmetici analizzati conterrebbe polietilene[5].
Perché le microplastiche sono nei cosmetici?
A partire dalle fine degli anni Novanta, grazie al costo inferiore e alla maggior versatilità , le microsfere sintetiche hanno soppiantato quelle minerali nell’industria cosmetica. Le microplastiche primarie vengono appositamente aggiunte in prodotti per la cura del corpo al fine di conferir loro particolari proprietà . Esse sono infatti contenute nei cosmetici allo scopo di esfoliare la pelle, per donare luminosità , per promuovere una sensazione setosa e per controllare l’effetto opacizzante.
La quantità di microsfere contenute nei cosmetici varia dallo 0,05% al 12% in base alla tipologia di prodotto considerato. In linea di massima, si tratta di microparticelle di polietilene (circa il 90%) con dimensioni variabili tra 164 e 327 micrometri (un globulo rosso ha un diametro di 8 micrometri e quello di un capello varia tra 65 e 78 micrometri!) e morfologie differenti in funzione della finalità del prodotto.
Per comprendere a pieno quella che è l’effettiva valenza delle microplastiche nei cosmetici è necessario citare in modo specifico anche i glitter[6]. Questi, infatti, sono presenti in moltissimi prodotti per la cura del corpo che vengono impiegati quotidianamente: basti pensare agli ombretti e alle polveri illuminanti. Raramente, però, vengono considerati per quello che sono, ossia microplastiche. Pur non essendo in forma di microsfera infatti, sono comunque frammenti metallizzati di polietilenetereftalato (PET).
All’interno dei cosmetici arricchiti con microplastiche è possibile distinguere due diverse categorie di prodotti: quelli destinati ad essere risciacquati (come scrub ed esfolianti) e i cosiddetti leave-on (come fondotinta, eyeliner, mascara, rossetti, ombretti, deodoranti, lozioni per il corpo e smalti per unghie). Fare questa distinzione è fondamentale. Infatti, se solo tra il 14% e il 90% delle microplastiche presenti nei prodotti leave-on viene disperso mediante lo scarico, tutte le particelle contenute nei prodotti destinati al risciacquo sono invece destinate a finire agli impianti di depurazione delle acque e, in parte, ai corpi idrici superficiali. Ne risulta che possono essere tra 4 594 e 94 500 le particelle derivanti da prodotti cosmetici e potenzialmente disperse nei corpi idrici per ogni singolo uso[7]!
Microplastiche nell’ambiente
Tutti gli ambienti naturali sono ormai interessati dalla presenza di microplastiche. Nonostante questo, gli ecosistemi più colpiti sono sicuramente quelli acquatici. Si stima infatti che ogni anno 4 812,7 milioni di tonnellate di plastica vengano introdotte negli oceani di tutto il mondo, mediante scarico diretto o per trasporto dall’ambiente terrestre[8]. Per via della loro enorme diffusione e degli effetti ecotossicologici che queste possono avere sugli organismi acquatici[9], le microplastiche sono state classificate come contaminanti emergenti.
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Le dimensioni molto ridotte rappresentano la problematica principale rispetto alla massiccia presenza di particelle plastiche in acqua. Queste fanno sì che siano difficili da individuare ma, al contempo, facilmente ingeribili/respirabili dagli organismi acquatici. Oltre ai danni di tipo fisico che l’ingestione può provocare, le microplastiche riescono in questo modo ad entrare nella rete trofica, fungendo potenzialmente da vettori per una serie di sostanze tossiche già presenti in acqua o contenute nella stessa struttura polimerica[10].
Inoltre, pensando alle microplastiche correttamente trattenute dagli impianti di depurazione delle acque, bisogna tenere in considerazione che queste si accumulano all’interno dei fanghi di depurazione, tanto che, per ogni chilogrammo (peso secco) di fango, si stima la presenza di migliaia di particelle plastiche. Questo aspetto è piuttosto delicato, soprattutto se si pensa che l’Europa impiega il 60% dei fanghi di depurazione a scopo agricolo o come materiale di riempimento, sottintendendo il trasferimento delle microplastiche in ulteriori comparti ambientali[11].
Interventi legislativi per le microplastiche nei cosmetici
In un’ottica di tutela ambientale, è stato doveroso intraprendere delle azioni legislative che ponessero dei limiti all’impiego smodato di microperle nei prodotti cosmetici.
A tale proposito, nel 2014, la Commissione Europea ha pubblicato una direttiva (2014/893/EU) che vieta l’utilizzo del marchio Ecolabel (garanzia dei prodotti a minimo impatto ambientale) per tutti i cosmetici destinati ad essere risciacquati e che contenessero le famose microsfere.
A partire dal 2017, poi, alcune Nazioni hanno iniziato a vietare l’utilizzo di queste sostanze all’interno dei prodotti cosmetici; nel 2020 è iniziata la messa al bando dell’impiego di microplastiche nei cosmetici, e si prevede che queste vengano completamente rimpiazzate nel corso del 2021. Nel frattempo, tuttavia, le maggiori aziende produttrici avevano già volontariamente deciso di utilizzare delle alternative naturali.
In Italia, l’uso di microplastiche all’interno di prodotti destinati ad essere risciacquati è stato vietato a partire dal 1 gennaio 2020 (DPR 205/2017).
Con particolare attenzione al contesto Europeo, queste azioni hanno risolto il problema solo in parte. La messa al bando, infatti, riguarda principalmente le microsfere contenute nei prodotti esfolianti destinati al risciacquo. I prodotti cosmetici che non rientrano in questa categoria (prodotti leave-on) e quelli contenenti glitter non sono invece stati considerati da un punto di vista legislativo. Questa è una carenza da non sottovalutare: oltre il 50% dei glitter presenti nei cosmetici viene disperso attraverso gli scarichi domestici[6]. Ne deriva che il tentativo di salvaguardia ambientale sia solo parziale, al momento. Fortunatamente, l’intervento dell’ECHA (European Chemicals Agency) ha in parte colmato questa mancanza sancendo che le microparticelle plastiche debbano essere totalmente eliminate da tutti i prodotti cosmetici, siano essi destinati ad essere risciacquati o meno.
Il tentativo Europeo è al momento l’unico esempio di messa al bando totale delle microplastiche all’interno dei prodotti cosmetici. L’obbiettivo è quello di rendere operative tali restrizioni per la fine del 2022.
Conclusioni
Le microplastiche sono purtroppo presenti in qualunque ecosistema naturale. Sono state rilevate in atmosfera, negli oceani, nel suolo e perfino sui ghiacciai. Nonostante questo, il comparto che risulta essere più duramente minacciato da questa nuova forma di inquinamento è quello acquatico. Sono infatti quasi 5 000 le tonnellate di plastica che ogni anno vengono disperse negli oceani di tutto il mondo.
Accanto alle preponderanti microplastiche (secondarie) che derivano dalla frammentazione e dal deterioramento di oggetti plastici di dimensioni maggiori, vi è il contributo apportato dalle microplastiche primarie, cioè quelle appositamente prodotte in dimensione micrometrica. In particolare, circa il 93% delle 4 360 tonnellate di microperle impiegate in Europa, deriverebbe dalle microplastiche contenute nei prodotti cosmetici. Pur sembrando questa un’inefficienza degli impianti di depurazione delle acque, questi trattengono circa il 97% delle particelle. Dunque, solo il 3% delle particelle sfugge agli impianti di trattamento; questo dato, tuttavia, se moltiplicato per il mostruoso quantitativo di microplastiche rilasciate quotidianamente attraverso gli scarichi domestici, si traduce in un numero che va da 4 594 a 94 500 particelle immesse negli ecosistemi acquatici per ogni singolo uso.
Alla luce degli impatti che queste hanno sugli ecosistemi acquatici, è stato doveroso intraprendere delle azioni legislative per limitare l’impiego di queste sostanze e mitigarne gli effetti avversi in ambiente. Nonostante siano stati fatti diversi passi avanti, vi sono ancora delle controversie che necessitano di essere risolte al fine di raggiungere uno stile di vita che sia veramente sostenibile.
Referenze
- Horton, A. A., et al. (2017). Microplastics in freshwater and terrestrial environments: Evaluating the current understanding to identify the knowledge gaps and future research priorities. Science of the total environment, 586, 127-141;
- Cheung, P. K., & Fok, L. (2017). Characterisation of plastic microbeads in facial scrubs and their estimated emissions in Mainland China. Water research, 122, 53-61;
- Gies E. A. et al., (2018). Retention of microplastics in a major secondary wastewater treatment plant in Vancouver, Canada. Marine Pollution Bulletin, 133, 553-561;
- Gouin T., et al., (2015). Use of Micro-plastic beads in Cosmetic Products in Europe and their Estimated Emissions to the North Sea Environment. Sofw Journal, 141, 3;
- Piotrowska, A., et al. (2020). Composition of scrub-type cosmetics from the perspective of product ecology and microplastic content. Toxicology and Environmental Health Sciences, 1-7;
- Anagnosti L., et al., (2021). Worldwide actions against plastic pollution from microbeads and microplastics in cosmetics focusing on European policies. Has the issue been handled effectively? Marine Pollution Bulletin, 162, 111883;
- Napper I. E., et al., (2015). Characterisation, quantity and sorptive properties of microplastics extracted from cosmetics. Marine Pollution Bulletin, 99, 178-185;
- Aljaibachi, R., & Callaghan, A. (2018). Impact of polystyrene microplastics on Daphnia magna mortality and reproduction in relation to food availability. PeerJ, 6, e4601;
- Bellasi, A., et al. (2020). Microplastic contamination in freshwater environments: A review, focusing on interactions with sediments and benthic organisms. Environments, 7(4), 30;
- Engler, R. E. (2012). The complex interaction between marine debris and toxic chemicals in the ocean. Environmental science & technology, 46(22), 12302-12315.
- Guerranti C., et al., (2019). Microplastics in cosmetics: Environmental issues and needs for global bans. Environmental Toxicology and Pharmacology, 68, 75-79.
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