Con il termine “microbial loop” (catena microbica) si intende descrivere un processo basilare nella catena trofica degli ecosistemi acquatici, siano essi marini, lentici o lotici. Il carbonio organico disciolto (DOC) è reintrodotto nella catena alimentare, raggiungendo anche i classici livelli trofici più alti, perché incorporato nella biomassa batterica e associato, in seguito, a reti trofiche formate da phytoplankton-zooplankton-nekton.
Storia del “microbial loop”
Verso gli anni ’70 e ’80 del Novecento, i biologi Pomeroy ed Azam coniarono questo nuovo termine per sottolineare l’importanza dei batteri nei flussi di materia ed energia all’interno dei sistemi acquatici marini, importanza che fino ad allora era stata attribuita esclusivamente al phytoplankton. I primi studi in ecologia marina che miravano ad investigare il ruolo dei batteri all’interno delle reti trofiche aveva dato risultati insufficienti per appurare l’importanza del loro ruolo: i tradizionali metodi di conta batterica avevano fornito numeri molto più piccoli rispetto al reale numero di batteri presenti nelle acque marine. Solo grazie ad una tecnica diretta di conta al microscopio fu possibile apprezzare l’elevata concentrazione batterica in questo ambiente (dell’ordine di 1 milione di cellule per millilitro). Inoltre, sviluppi sui saggi di crescita batterica hanno che una larga parte (circa il 50%) della produttività primaria netta (PPN) è svolta dai batteri marini.
Fu proprio nei primi anni Ottanta che Azam, insieme ad alcuni oceanografi, pubblicò una sintesi della loro discussione sulla rivista “Marine Ecology Progress Series“, intitolata “The Ecological Role of Water Column Microbes in the Sea“, dove per la prima volta compare il termine “microbial loop”, sottolineando l’importanza dei batteri nella rete trofica e soprattutto nel ricircolo dei nutrienti.
Come funziona il “microbial loop”?
In generale, il DOC è introdotto nell’ambiente acquatico attraverso vari processi che coinvolgono diversi livelli trofici: lisi batterica, perdite o essudati del carbonio fissato dal phytoplankton, prodotti di rifiuto dagli organismi acquatici e componenti organiche lisciviabili di piante terrestri e suolo. Il ruolo dei batteri è quello di degradare la materia organica disciolta (DOM) e particellata (POM) e di utilizzarla per guadagnare energia necessaria per la crescita. Questo è proprio il “microbial loop”: recupero della sostanza organica disciolta da parte di batteri appartenenti a gruppi tassonomici e specie diversi. Vediamo, dunque, quali sono i principali attori di questo fenomeno.
Chi effettua il “microbial loop”?
Insieme a batteri eterotrofi, protisti fagotrofi e phytoplankton sono stati trovati altri giocatori attivi nel processo del “microbial loop” (Fig.1). In particolare, è stato trovato che un procariote unicellulare fotosintetico, come Synechococcus, riveste un ruolo sostanziale nella produzione primaria; inoltre è stato scoperto che alcuni minuscoli proclorofiti (gruppo di batteri fotosintetici che sono parte importante del picoplankton) dominano il processo fotosintetico in acque oceaniche oligotrofiche. Un altro importante giocatore nel “microbial loop” è il batterio Roseobacter, che rientra nella categoria dei batteri fotoeterotrofi aerobi; questi ultimi non sono in grado di effettuare una classica fotosintesi ma possono generare ATP a partire dall’energia luminosa, attraverso una batterioclorofilla a.
Certamente il più importante tra i nuovi gruppi funzionali è costituito dai virus. Infatti, è stato visto che le particelle virali raggiungono una densità , in una colonna di acqua marina, pari a 1 miliardo di cellule per millilitro. Inoltre molti studi stanno chiarendo il ruolo dei virus in questo processo: sembra, infatti, che quasi tutti i batteri abbiano un virus specifico dell’ospite. Studi in laboratorio hanno messo in evidenza la forte dinamicità dei sistemi virus-ospite, l’evoluzione della resistenza e la capacità dei virus di indurre la lisi e dunque il recupero e il riciclo della sostanza organica disciolta da parte dei batteri. Molto probabilmente, si pensa che i virus giochino un ruolo fondamentale anche nel guidare cambiamenti successivi nel biota batterico e nel sostenere una più alta diversità di specie microbiche all’interno del plankton.
Un’aggiunta ulteriore alla complessità del “microbial loop” è dovuta al fenomeno della mixotrofia. Esistono infatti protisti mixotrofi, ovvero sia fagotrofi che fototrofi. Esistono differenti tipi di mixotrofia. Ad esempio, alcuni protozoi (soprattutto ciliati) si nutrono di alghe fototrofiche ma conservano i cloroplasti in uno stato funzionale per alcuni giorni e sono in grado di utilizzare i fotosintati – la cosiddetta ritenzione dei cloroplasti. Altri protozoi, invece, possiedono già dei cloroplasti, potendo così essere sia fototrofi che fagotrofi (come alcuni dinoflagellati).
Conclusioni
Sebbene il processo sia stato descritto principalmente tenendo conto dell’ecosistema marino, come anche detto in precedenza, bisogna ricordare che è un fenomeno fondamentale per i flussi di materia ed energia di tutti i sistemi acquatici, anche lacustri e fluviali. Pur cambiando la tipologia di biota e dunque i protagonisti della classica rete trofica e pur essendo molto diversificati gli aspetti fisico-chimici dei sistemi stessi, il processo del “microbial loop” rimane generalmente identico. Ciò non fa altro che avvalorare sempre di più l’idea che a partire dai tempi di Azam prendeva sempre più piede, ovvero che sono batteri e virus a sostenere e tenere in vita la complessa e complicata rete sui cui si basano questi ecosistemi.
Fonte: T. Fenchel / Journal of Experimental Marine Biology and Ecology 366 (2008) 99–103