Helen Fisher, antropologa americana che insegna alla Rutgers University, nel New Jersey, studia da anni le menti degli innamorati per comprendere scientificamente i meccanismi dell’amore. Assieme al suo team di ricerca, la Fisher ha sottoposto a risonanza magnetica il cervello di una cinquantina di persone – alcune avevano recentemente iniziato una nuova storia, altre erano da poco state lasciate e altre ancora dichiaravano di essere innamorate del proprio partner da molti anni – per analizzare e confrontare le attività delle varie regioni cerebrali da un punto di vista biochimico.
È stato evidenziato che una persona innamorata presenta attività neuronale nelle stesse regioni del cervello che sono attivate dalla cocaina o altri tipi di droghe, come il nucleus accumbens e l’area tegmentale ventrale, che sono adibite alla produzione e alla distribuzione della dopamina, e come il nucleo caudato, regione cerebrale primitiva che sembra avere un ruolo nell’interazione tra pensiero e sensazioni. In particolare, il ruolo della dopamina, neurotrasmettitore che attiva e alimenta il sistema di ricompensa cerebrale, risulta un fattore chiave, in quanto connesso al desiderio, alla motivazione e alla concentrazione. Come la stessa ricercatrice dichiara, ‘ Innamorati e drogati presentano un comportamento simile: entrambi vogliono di più’.
Helen Fisher afferma inoltre che l’amore romantico ha un effetto più potente del desiderio sessuale.
Le risonanza magnetiche hanno evidenziato, infatti, che una delle regioni cerebrali coinvolte nell’innamoramento si trova a stretto contatto con le regioni cerebrali che controllano il desiderio di mangiare e bere, rendendolo un meccanismo di sopravvivenza primordiale, in quanto deriva dalla scelta di un particolare individuo come compagno, con cui non solo accoppiarsi ma con cui crescere la prole.
Interessante anche evidenziare che le nuove relazioni amorose producono gli stessi effetti neurochimici delle relazioni a lungo termine, con un’unica differenza: coloro che sono innamorati da poco manifestano attività in regioni cerebrali collegate all’ansia, mentre per chi ha lo stesso partner da lungo tempo, all’ansia prendono il posto attività legate alla calma e alla soppressione del dolore.
Infine, emergono anche delle differenze tra la risposta femminile e quella maschile all’innamoramento:
Il cervello maschile si attiva prevalentemente in associazione agli stimoli visivi, mentre quello femminile è connesso alla memoria. La Fisher lo giustifica così: Nella preistoria, l’uomo sceglieva una compagna assicurandosi, dal suo aspetto, che fosse in salute e di un’età appropriata, mentre la donna faceva riferimento al comportamento del suo potenziale compagno fino a quel momento, per poter scegliere, sulla base dei suoi successi e insuccessi passati, un buon padre per la prole futura.
Studi più recenti, riassunti nel libro ‘Why him? Why her?’ puntano a comprendere, oltre i meccanismi dell’amore, anche le regole dell’attrazione e del successo di una relazione sentimentale.
Secondo la scienziata, ci sarebbero quattro tipi di personalità, associate a differenti livelli ormonali nel sangue: l’Esploratore, con elevati livelli di dopamina, il Costruttore, con prevalenza di serotonina, il Direttore, dominato dal testosterone e il Negoziatore, influenzato per lo più dagli estrogeni. E gli Esploratori così come i Costruttori sono attratti dai propri simili, mentre i Direttori e i Negoziatori sono attratti dai propri opposti, cioè gli uni dagli altri. Sulla base di questa categorizzazione, sarebbe possibile stabilire con quali partner ci sarebbe più affinità sentimentale.
‘Che l’amore sia tutto quel che c’è, è tutto ciò che sappiamo dell’amore’ scriveva Emily Dickinson. Ma forse, alla luce di questi studi, non è più vero…