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I mammiferi non riescono ad evolversi abbastanza velocemente per evitare l’estinzione causata dall’uomo

È opinione comune nella comunità scientifica (e non solo) che siamo entrati in un era in cui l’uomo e le sue attività, sono la principale causa delle modifiche ambientali e climatiche sulla Terra e i cui effetti sono talmente significativi che saranno osservabili anche tra milioni di anni. Tristemente noto è il fatto che questa epoca sia segnata dalla sesta estinzione di massa, infatti è stato calcolato che più di 400 specie potrebbero scomparire entro il 2050 a causa proprio delle nostre azioni dirette e indirette e del nostro stile di vita.

Il nostro pianeta ha attraversato ben 5 catastrofici sconvolgimenti negli ultimi 450 anni a causa di cambiamenti ambientali talmente drammatici da portare alla scomparsa di un gran numero di specie animali e vegetali, ma l’evoluzione ha sempre lentamente (molto lentamente) recuperato e ristabilito la diversità biologica perduta. Tuttavia, questa volta potrebbe non essere altrettanto “facile”.

Il processo di speciazione e l’albero filogenetico

La nascita di una nuova specie a partire da una preesistente prende il nome di speciazione, cioè l’adattamento di alcuni individui ad un nuovo ambiente (isolamento geografico) dovuto al prevalere di alcuni caratteri genetici vantaggiosi nel nuovo contesto, che erano uno svantaggio nel contesto precedente. Le barriere geografiche o fisiologiche provocano poi una divergenza sempre maggiore tra le due specie, portando con il passare del tempo ad una differenziazione crescente[1].

I fringuelli di Darwin, by John Gould

L’esempio tipico è quello dei “fringuelli di Darwin”: nelle Galapagos, originariamente si è stabilita una specie di fringuello, il Geospiza magnirostris con il becco grande e smussato, adatto a frantumare i semi dal guscio spesso. Alcuni fringuelli, tuttavia, possedevano un becco piccolo e sottile, formatosi a causa di mutazioni in un gene che ne influenza la morfologia. Questi pochi individui, mentre nell’ambiente da cui proveniva il fringuello non sopravvivevano perché non riuscivano a frantumare i semi, nel nuovo ambiente delle Galapagos hanno trovato fonti di nutrimento alternative più facilmente reperibili, come insetti e nettare di fiori, quindi sono riusciti a moltiplicarsi e a formare una nuova specie detta Geospiza parvula[2].

Disegno di Charles Darwin sugli alberi filogenetici (On the Origin of Species, 1837)

Si può quindi tranquillamente dire che ogni specie contiene un potenziale di biodiversità nascosto nel suo genoma, ossia può potenzialmente portare alla nascita di una quantità inimmaginabile di specie che possono adattarsi agli ambienti più disparati. Secondo questa idea di evoluzione, è facile capire il concetto di alberi filogenetici: se considero una specie come un ramo, questa darà vita a tanti rametti più piccoli che saranno rispettivamente tutte le specie che si sono formate a partire da questa. Inoltre ogni rametto può dar vita ad altri rametti a sua volta e così via. Gli stessi meccanismi dell’evoluzione possono anche portare all’estinzione di altre specie che non si adattano ai cambiamenti del territorio, come cambiamento climatico, comparsa di nuovi predatori (tra cui l’uomo), competizione tra specie etc.

L’estinzione causata dall’uomo e l’estinzione della megafauna

L’estinzione di una specie si può quindi figurativamente immaginare come il taglio di un ramo dell’albero filogenetico, eliminando la possibilità di evoluzione di nuove specie e cancellando tutta la biodiversità che essa contiene, sia espressa che latente.

L’uomo moderno ha vissuto sulla terra da circa 150.000 anni e in un tempo insignificante (la Terra ha circa 4,6 miliardi di anni!) ha portato all’estinzione di più di 300 specie di mammiferi. Sicuramente l’estinzione di qualunque specie comporta una significativa perdita, tuttavia si possono distinguere perdite di biodiversità con gravità maggiore, come affermato dal paleontologo Matt Devis in “Megafauna Ecosystem Ecology from the Deep Prehistory to a Human-Dominated Future” della Carlsberg Foundation’s Semper Ardens: alcuni animali come il leone marsupiale australiano Thylacoleo , o la strana Macrauchenia sudamericana, ma anche i grandi mammiferi (megafauna) come i bradipi giganti e le tigri dai denti a sciabola, quando si estinsero erano evolutivamente distinti e avevano solo pochi parenti stretti, quindi portarono via con sé interi rami dell’albero evolutivo della vita, le loro funzioni ecologiche uniche e i milioni di anni di storia evolutiva che rappresentavano.

In altre parole tagliare un ramo che sta alla base dell’albero filogenetico ed è ancora poco sviluppato, anche se successo 10.000 anni fa, ha sicuramente portato ad una perdita di biodiversità fino ad i giorni nostri.

A ciò si aggiunge il fatto che molte delle specie di mammiferi attuali sono ad alto rischio di estinzione, in particolare i grandi mammiferi come il rinoceronte nero e gli elefanti asiatici, due specie sopravvissute di un grande ordine di mammiferi giganti e con poche probabilità di sopravvivere alla fine del secolo.

L’estinzione di queste classi corrisponde a tagliare un grande ramo sull’albero filogenetico e alla perdita di una biodiversità ancora più elevata.

Meglio prevenire che curare

Il team di ricercatori di Matt Davis e Jeans-Christian Svenning hanno recentemente pubblicato i risultati di uno studio[4] su PNAS “Mammal diversity will take millions of years to recover from the current biodiversity crisis” in cui spiegano che attraverso simulazioni informatiche avanzate hanno stabilito il tempo di recupero della biodiversità e della varietà di specie perse durante le estinzioni passate e quelle imminenti future.

Considerando un best-case scenario in cui l’uomo smette di causare la scomparsa delle specie e riduce il suo impatto sull’ambiente, facendo diminuire il tasso di estinzione delle specie attualmente esistenti, comunque per ristabilire la biodiversità persa in passato potrebbero volerci ancora 5 – 7 milioni di anni e per le perdite che si avrebbero nei prossimi 50 anni ci vorrebbero dai 3 ai 5 milioni di anni. Questo tempo si accorcerebbe di dieci volte se gli esseri umani si estinguessero come specie.

Considerando questo scenario insensatamente ottimistico, il tempo che dovrebbe impiegare l’evoluzione per ricostituire la biodiversità perduta non è comunque compatibile con la velocità di estinzione che stiamo causando con il nostro modo di vivere, che nel lungo periodo potrebbe portare alla perdita di una diversità tale da non permetterne affatto il recupero.

Per questo motivo è necessario un cambiamento rapido nel comportamento delle persone, perché preoccuparsi di prevenire questa perdita di biodiversità è molto più semplice che provare a recuperarla successivamente.

Bibliografia

  1. Davis M., Faurby S. e Svenning J.C. PNAS, 2018 115 (44) 11262-11267 Link
  2. Aarhus University, Mammals cannot evolve fast enough to escape current extinction crisis, 2018 Link

Collegamenti esterni

  • Il concetto di specie e la speciazione, Sapere.it, Link.
  • La genetica del becco dei fringuelli delle Galapagos, Pikaia, Link.
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