Con l’arrivo della stagione calda ognuno di noi sente il bisogno di passare un po’ di tempo all’aria aperta, facendo magari trekking lungo un sentiero o organizzando qualche gita di gruppo in campagna. Questo più stretto contatto con la natura non urbanizzata porta però inevitabilmente anche ad incontrare i suoi abitanti, alcuni dei quali sono spesso tutt’altro che desiderati. La vedova nera mediterranea, Latrodectus tredecimguttatus, o malmignatta, è proprio uno di questi: la sua fama è sicuramente dovuta alla parentela che ha con la cugina americana, Lactrodectus mactans, inserita tra i ragni più velenosi al mondo, ma anche a tutta una serie di inutili allarmismi diffusi purtroppo dai media sulla presunta letalità del morso di questo ragno.
In questo articolo andremo ad analizzare vari aspetta della biologia della malmignatta, dai tratti morfologici e comportamentali distintivi fino alla distribuzione geografica, alla composizione chimica del veleno e alla sindrome che esso causa nell’uomo, per capire quali siano i rischi reali associati al morso di questo animale.
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Caratteri morfologici distintivi
La malmignatta è uno dei ragni delle nostre zone più facilmente identificabili, grazie alla sua colorazione caratteristica e all’assenza di altre specie simili o mimetiche. Il corpo risulta diviso in due regioni, il prosoma anteriore e l’opistosoma posteriore, e risulta uniformemente nero e lucido. L’opistosoma, dalla forma notevolmente globosa, presenta delle tipiche macchie rosse variamente distribuite: generalmente si osservano una striscia curva anteriore, tre file longitudinali di macchie e un’ulteriore coppia di piccole macchie laterali, per un totale di tredici (da cui il nome scientifico della specie).
Sul ventre sono poi presenti due ulteriori macchie rosse di solito triangolari che nel complesso formano la sagoma di una sorta di clessidra; in alcuni individui possono tuttavia essere presenti due sole strisce rosse parallele. Si ritiene che tale colorazione possa avere una valenza aposematica nei confronti di potenziali predatori, in quanto indicativa della presenza di un veleno altamente neurotossico.

A scapito del nome fortemente evocativo, non è comunque raro imbattersi in individui con un numero di macchie minore di tredici, a causa ad esempio della fusione o riduzione di alcune di esse. Il dimorfismo sessuale (ossia la differente morfologia del corpo tra i due sessi) si evidenza sia nelle dimensioni degli individui che nella colorazione: i maschi adulti sono infatti lunghi in media 5-7 mm e presentano macchie rosse bordate di bianco, mentre le femmine raggiungono i 10-15mm e da adulte presentano macchie completamente rosse (da giovani presentano anch’esse macchie con bordo bianco).
Per un occhio attento e non aracnofobico, nei maschi si nota anche un ingrossamento del secondo paio di appendici del prosoma, i pedipalpi (simili a zampe ma più piccoli), i quali vengono utilizzati durante la copulazione per introdurre lo sperma nelle vie genitali della femmina.
Comportamento
La ragnatela
Sebbene molti ragni caccino attivamente le proprie prede appostandosi ad esempio all’agguato o avvicinandosi di soppiatto ad esse, la maggior parte delle specie, vedove nere incluse, utilizza invece la propria seta per costruire le trappole che tutti conosciamo.

La ragnatela delle vedove nere è della tipologia a groviglio, ma a discapito del nome risulta piuttosto ben organizzata. Essa in particolare è generalmente costruita a forma di cupola poco tesa agganciata a ramoscelli e ad erba medio-alta oppure sotto rocce sporgenti; la vera e propria trappola è rappresentata da dei fili di seta pendenti e ricoperti di goccioline collose alle quali le prede restano invischiate. La vedova nera mediterranea, nell’attesa di consumare il proprio pasto, resta nascosto per la maggior parte del tempo all’interno di un rifugio a forma di conca, anch’esso di seta, posizionato nella parte alta della struttura.
Il ragno costruisce la propria tela solo di notte e impiega fino a diversi giorni per portarla a termine; in compenso, le prede sono rappresentate per lo più da insetti di grossa taglia, soprattutto ortotteri, e anche da alcuni ragni girovaghi.
Riproduzione e cannibalismo sessuale
I ragni del genere Latrodectus devono il loro nome comune di “vedove” all’abitudine delle femmine di uccidere e divorare il maschio dopo l’accoppiamento. Tale comportamento sembrerebbe però di fatto essere tipico solo di alcune specie, come la vedova marrone (L. geometricus) e il ragno dal dorso rosso (L. hasselti), entrambe australiane; per la più famigerata vedova nera americana (L. mactans) sembrerebbe invece che il maschio abbandoni la tela della femmina incolume nella maggior parte dei casi, mentre il maschio di altre specie (ad esempio L. curacaviensis) addirittura soggiornerebbe sulla tela della femmina per alcune settimane nutrendosi anche delle sue prede.

Le femmine di L. tredecimguttatus, sebbene meno esotiche, sembrerebbero essere tuttavia delle efferate cannibali sessuali di mariti. Il maschio, in particolare, poco prima di giungere all’età riproduttiva, si porta sulla tela di una femmina, dove compie l’ultima muta; subito dopo, esso lega alcuni fili di seta attorno alle zampe della femmina e porta a termine l’accoppiamento. A questo punto la femmina si libera dai fili e uccide il maschio per cibarsene; in un secondo momento, essa costruirà vari ovisacchi di tela sferici bianco-gialli attorno alla propria tana.
Omicidio o suicidio? In Latrodectus hasselti, in cui il cannibalismo sessuale risulta notevolmente diffuso, è stato osservato in realtà che non è la femmina ad attaccare il partner, bensì è il maschio che si offre spontaneamente come cibo: al termine dell’accoppiamento, infatti, il maschio si capovolge sottosopra letteralmente di fronte alla bocca della femmina, in una sorta di sacrificio per la prole. I maschi che di fatto si lasciano divorare sembrano avere un successo riproduttivo maggiore rispetto a quelli che invece riescono a scappare. Tale peculiare comportamento non è stato però registrato in altre specie di Latrodectus, o a causa della sua assenza effettiva o per la mancanza di studi specifici.
Inquadramento tassonomico
Latrodectus tredecimguttatus appartiene alla famiglia di ragni Theriididae (Chelicerata, Araneae) ed è comunemente conosciuta con i nomi di malmignatta, vedova nera mediterranea o vedova nera europea; in letteratura è presente anche con il nome scientifico Latrodectus lugubris, con particolare riferimento agli esemplari asiatici. Fino al secolo scorso, la vedova nera mediterranea è stata spesso considerata una sottospecie della cugina americana, Latrodectus mactans.
Distribuzione geografica ed habitat
I ragni del genere Latrodectus sono praticamente presenti sulla maggior parte delle terre emerse, incluse innumerevoli isole. Questa vasta distribuzione è probabilmente dovuta alla presenza di molte specie sinantropiche, ossia strettamente associate ad ambienti urbani o ad attività agricole; si ritiene infatti che la colonizzazione di molti territori sia stata mediata proprio dagli spostamenti umani, ad esempio attraverso il commercio: non a caso è stato ad esempio suggerito che il genere Latrodectus non sia nativo dell’Australia ma sia stato introdotto attraverso le imbarcazioni, in quanto i primi avvistamenti erano circoscritti ai soli ambienti portuali.
La vedova nera mediterranea è ad oggi il più grande teridide europeo ed ha un areale che copre tutto il bacino del Mediterraneo e si estende fino alla Cina. In Italia è presente lungo tutta la costa tirrenica, nonché in Puglia e in Sardegna, dove abita soprattutto terreni brulli, aridi e rocciosi, ma anche prati aperti, purché a clima mediterraneo.
Il veleno: composizione e meccanismo di azione
Essendo predatori più o meno attivi, la maggior parte dei ragni è dotata di ghiandole velenifere al livello del primo paio di appendici del prosoma (i cheliceri). La funzione primaria del veleno è sicuramente quella di paralizzare le prede così da rendere la loro consumazione più sicura per il ragno, mentre l’effetto letale rappresenta una caratteristica sviluppatasi secondariamente.
Nutrendosi per lo più di altri invertebrati, la tossicità del veleno dei ragni è generalmente rivolta solo a questi animali e raramente è estensibile ai vertebrati di grossa taglia. Non a caso, delle oltre 40 000 specie di ragni, solamente 200 possono essere considerate pericolose per l’uomo; di queste, quelle potenzialmente letali appartengono a soli quattro generi, tra i quali vi è proprio Latrodectus (gli altri sono: Atrax, australiano; Loxosceles, a cui appartiene il ragno violino L. rufescens; Phoneutria, a cui appartiene il ragno delle banane P. nigriventer).
Il veleno della malmignatta è un cocktail di almeno 146 tossine proteiche, suddivisibili in cinque famiglie in base alla funzione:
- le neurotossine rappresentano il vero e proprio principio attivo del veleno, andando ad agire al livello del sistema nervoso per paralizzare la vittima;
- le tossine accessorie incrementano l’azione delle neurotossine, promuovendone ad esempio il legame con le specifiche molecole target;
- gli inibitori di proteasi sono in grado verosimilmente di proteggere le tossine dall’azione delle proteasi fisiologiche dell’ospite, ossia da quegli enzimi in grado di digerire le proteine;
- le proteasi presenti nel veleno potrebbero avere un ruolo sia nell’attivazione delle neurotossine a partire dai loro precursori inattivi, sia nel promuovere la parziale digestione esterna della preda;
- tossine dalla funzione ancora ignota (più del 30% del totale).
La latrotossina
Il principale componente del veleno della malmignatta è l’α-latrotossina (abbreviata in α-LTx), una potente neurotossina in grado di bloccare la trasmissione dell’impulso nervoso nei motoneuroni e portare di conseguenza alla paralisi muscolare.
La forma attiva dell’α-LTx è un omotetramero, ossia risulta formata da quattro subunità proteiche uguali tra loro, dette monomeri. Ogni monomero ha un peso molecolare di circa 130kDa (l’emoglobina umana pesa ad esempio 64kDa) e, da solo, non è in grado di dare alcun effetto tossico; ognuno presenta inoltre tre domini funzionali, chiamati ala (wing), corpo (body) e testa (head). In soluzione, i monomeri tendono spontaneamente ad associarsi per lo più a coppie, a dare dei dimeri, anch’essi non biologicamente attivi. La formazione dei tetrameri è favorita dalla presenza di cationi bivalenti in soluzione, come calcio e magnesio; proprio il calcio è non a caso uno dei principali ioni presenti nel liquido extracellulare, compreso quello delle sinapsi neuronali. Risulta allora evidente come l’α-LTx passi alla sua forma biologicamente attiva solamente una volta entrata nell’organismo ospite.

La particolare struttura tridimensionale della forma attiva dell’α-LTx evidenzia la presenza di una sorta di poro centrale che potrebbe essere coinvolto nel meccanismo di azione vero e proprio della tossina: si ritiene infatti che, una volta attivata, la proteina vada a costituire sulla membrana cellulare un canale per i cationi, il quale permetterebbe la libera diffusione dei cationi stessi da un lato all’altro della membrana.
Tale meccanismo è proprio alla base della trasmissione dell’impulso nervoso e del funzionamento delle sinapsi chimiche: l’ingresso di cationi, e più specificatamente del calcio, all’interno della terminazione sinaptica determina infatti il rilascio di neurotrasmettitori. L’α-LTx, generando quindi un flusso di cationi, stimola il rilascio incontrollato di neurotrasmettitori e blocca di conseguenza l’attività sinaptica.
Modi di azione alternativi sono stati osservati in seguito all’esposizione a basse dosi: in questi casi, invece di costituire esse stessa un canale, la tossina lega dei recettori di membrana specifici (neurexina e latrofilina/CIRL) innescando varie risposte intracellulari non ancora ben caratterizzate. L’effetto finale è comunque quello di stimolare il rilascio di neurotrasmettitori.
Pericolosità per l’uomo
I morsi di vedova nera provengono dai soli individui femmine, in quanto le zanne velenifere dei maschi sono troppo piccole per poter penetrare la pelle umana. Sebbene il veleno sia indubbiamente pericoloso per l’uomo, in Italia la probabilità di essere morsi da una malmignatta è molto bassa, o comunque nettamente minore alla probabilità di essere morsi da una vedova nera negli Stati Uniti: L. tredecimguttatus, infatti, raramente frequenta ambienti urbani, essendo di fatto molto più diffusa in spazi aperti e brulli; la cugina americana L. mactans, al contrario, abita frequentemente anche le latrine esterne isolate, costituendo quindi un vero e proprio pericolo per gli utilizzatori.
Va inoltre sottolineato che il veleno della vedova nera mediterranea, così come quello degli altri ragni, è nato per attaccare le prede e paralizzarle; il suo utilizzo come arma difensiva è con tutta probabilità una caratteristica allora evolutasi secondariamente. La produzione di veleno all’interno delle apposite ghiandole risulta inoltre notevolmente dispendiosa dal punto di vista energetico; il ragno eviterà allora qualsiasi spreco di veleno e ne inietterà una dose consona solo in condizioni di estrema necessità: non a caso, si registra un discreta quantità di morsi cosiddetti “a secco”, ossia senza una somministrazione associata di veleno.
D’altronde se si sentisse minacciata, la malmignatta tenterebbe in primo luogo di nascondersi, o comunque di darsi alla fuga: anche il semplice morso risulta allora una strategia di difesa utilizzata solo in condizioni estreme, ad esempio nei casi in cui venisse accidentalmente maneggiata o schiacciata.
Sintomi e decorso del latrodectismo
Il latrodectismo è la sindrome derivante dall’avvelenamento da vedova nera e può essere diagnosticato facilmente nel caso in cui la vittima sia consapevole di essere stata morsa dal ragno. Il morso di per sé, tuttavia, non risulta particolarmente doloroso e può quindi passare talvolta inosservato.
La sindrome inizia a manifestarsi dopo circa un’ora dall’inoculo del veleno con dolori localizzati inizialmente ai linfonodi e poi ai muscoli: va infatti ricordato che, sebbene l’α-LTx agisca anche al livello delle sinapsi neurone-neurone, il suo principale bersaglio è rappresentato dalle sinapsi neurone-muscolo (giunzioni neuromuscolari). Forti crampi muscolari, irrigidimento dei muscoli addominali, espressioni facciali corrucciate e piloerezione, non a caso, costituiscono nel complesso importanti caratteri diagnostici dell’avvelenamento.
Contemporaneamente, a seconda del soggetto colpito, possono svilupparsi sudorazione, malessere, nausea, vomito, febbre, ipertensione e tremore. Circa un paziente su quattro sviluppa l’avvelenamento sistemico, generalmente entro 12 ore dall’inoculo (a volte anche dopo giorni), ma di solito i sintomi restano circoscritti nei dintorni della sede del morso.
Gli effetti dell’avvelenamento sono comunque molto variabili tra gli individui, a seconda ad esempio dello stato di salute e della sensibilità individuale: emorragie celebrali, insufficienza renale, coagulazione intravascolare disseminata e psicosi sono tra le complicazioni più gravi che possono sopraggiungere in soggetti già debilitati.
La mortalità associata al latrodectismo oscilla tra il 5 e il 10% dei casi a seconda del continente, ma si ritiene tuttavia che tali valori siano sovrastimati. Di tredici morti certe registrate in Australia, l’ultima delle quali risalente al 1955 (un anno prima dell’introduzione dell’antidoto), solamente sei presentano una cartella clinica dettagliata: la morte è sopraggiunta in media al nono giorno di decorso e le cause precise sono di difficile identificazione in quanto spesso il latrodectismo era associato a numerose altre complicazioni.
Trattamento
Il latrodectismo viene spesso curato con trattamenti sintomatici, come ad esempio la somministrazione di analgesici per attenuare il dolore; molti soggetti colpiti, di fatto, mostrano una sintomatologia locale che si risolve nel giro di qualche ora o giorno. L’utilizzo dell’antidoto è fortemente consigliato nei casi di forte dolore o di latrodectismo sistemico; dal momento inoltre che l’agente eziologico della sindrome sembra essere piuttosto omogeneo tra le varie specie di Latrodectus, si ritiene che gli antidoti provenienti da diverse parti del mondo possano essere utilizzati anche altrove.
L’utilizzo dell’antidoto in Australia ha letteralmente abbattuto la mortalità del latrodectismo dalla sua introduzione (1956) e mostra una percentuale di reazioni allergiche minima (0,5-0,8%). La situazione è invece all’opposto negli Stati Uniti dove, a causa dell’elevato tasso di reazioni allergiche (9-80%), l’antidoto viene utilizzato solo per i casi più gravi; la sindrome viene non a caso spesso trattata con la somministrazione di gluconato di calcio, oppioidi e benzodiazepine.
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