Le malattie sessualmente trasmissibili sono infezioni che si contraggono tramite un intimo contatto fisico e, purtroppo, ancora oggi sono molto comuni. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si verificano circa 499 milioni di nuovi casi ogni anno. La fascia d’età maggiormente interessata è quella compresa tra i 15 e i 49 anni. La Regione del Pacifico Occidentale conta il tasso di incidenza più alto (128 milioni di casi) seguita dalle Americhe (126 milioni) e dall’Africa (93 milioni). In Europa, la situazione non è molto diversa con circa 50 milioni di nuovi casi ogni anno. Un tempo erano note come “malattie veneree”, oggi sono state rinominate con la sigla IST (infezioni sessualmente trasmissibili) e la loro gestione sanitaria richiede ingenti risorse finanziare.
Quanto ne sappiamo sull’argomento e cosa potremmo fare per ridurre il rischio? Con questo articolo proveremo a fare luce sulle malattie maggiormente diffuse. Chi fosse interessato ad approfondire la tematica potrà trovare maggiori dettagli al seguente link.
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Quante e quali sono?
Gli agenti biologici responsabili delle IST sono più di 30 e includono: batteri, virus, protozoi, funghi ed ectoparassiti. Durante il rapporto sessuale, i microrganismi entrano in contatto con la cute, le mucose genitali e orali dove possono dare origine a infezioni.
Sifilide
La sifilide è causata dal Treponema pallidum, un batterio Gram negativo appartenente alla famiglia delle Spirochaetaceae con la caratteristica forma a spirale. Può essere acquisita tramite rapporto sessuale o trasmessa attraverso la placenta (congenita). Il rischio di contagio è del 30% per i rapporti sessuali e del 70% per la trasmissione transplacentare. Il T. pallidum, dopo aver preso contatto con le mucose, raggiunge i linfonodi per poi diffondersi in tutti gli altri distretti corporei.
Il termine sifilide deriva dal mitico pastorello Sìfilo che, dopo avere offeso Apollo, fu condannato a una terribile malattia che ne deturpò per sempre la sua bellezza.
La sifilide segue tre periodi clinici (primario, secondario e terziario) e il soggetto diventa contagioso durante i primi due. Ogni periodo è separato da una fase asintomatica latente. In generale, i sintomi includono ulcere genitali, lesioni cutanee, meningite e disturbi neurologici. Tuttavia, la sintomatologia varia a seconda della fase clinica.
Le tre fasi cliniche della sifilide
Durante la sifilide primaria si sviluppa una lesione, il sifiloma, nella sede in cui è avvenuto il contagio (solitamente ad essere interessata è la cute genitale ma anche labbra e bocca). Inizialmente si forma una papula rossa che sfocia rapidamente in ulcera indolore. Per questo motivo, il sifiloma passa inosservato e data la guarigione in tempi brevi la maggior parte delle persone affette non è consapevole di aver contratto l’infezione.
La sifilide secondaria è invece caratterizzata dalla diffusione della spirocheta nel sangue. Le lesioni mucocutanee, febbre, perdita di peso, mal di testa, nausea, stanchezza, perdita dell’udito e della vista sono i sintomi più frequenti. Le lesioni si presentano di forma circolare, di colore chiaro e sono particolarmente contagiose.
La sifilide terziaria si manifesta dopo diversi anni dall’infezione e può presentarsi sotto forma di sifilide gommosa (interessa cute e ossa), cardiovascolare (aorta e arterie) e neurosifilide tardiva (disturbi del sistema neurologico). Tra i sintomi:
- tosse
- dolore toracico
- difficoltà a respirare
- lesioni infiammatorie
- raucedine
- erosione delle ossa
Diagnosi e trattamento
La diagnosi avviene tramite test sierologici che identificano il batterio nel sangue e devono essere eseguiti non prima delle 3-6 settimane dall’infezione. La microscopia in campo oscuro, invece, viene eseguita osservando l’essudato del sifiloma su vetrino. In presenza di test positivi e in assenza di sintomi o di segni, la diagnosi è quella di una sifilide latente. Il trattamento di ogni forma di sifilide prevede l’impiego di penicilline.
Gonorrea
La gonorrea è causata dal batterio Neisseria gonorrhoeae, un batterio Gram negativo, immobile conosciuto anche come gonococco che infetta le vie uretrali maschili e quelle uro-genitali femminili. Anche per la gonorrea si hanno le forme acquisite tramite rapporti sessuali e quelle congenite tramite contagio transplacentare. Il contatto con le mucose consente al batterio di aderire alle cellule epiteliali e diffondersi nello spazio sub-epiteliale dove darà origine all’infezione.
Sintomi e complicanze
Negli uomini, i sintomi compaiono da due a trenta giorni dall’infezione mentre nelle donne è generalmente asintomatica. I soggetti maschili provano dolore o bruciore durante l’orinazione, gonfiore ai testicoli e perdite di colore bianco, verde o giallo.
Il fatto che nella maggior parte dei casi sia asintomatica non fa altro che aumentare il rischio di contagio e il mancato trattamento dei soggetti affetti. Le donne non trattate possono andare incontro ad un’infezione del tratto genitale superiore (malattia infiammatoria delle pelvi) che può danneggiare gravemente le tube di Falloppio e causare infertilità. Nell’uomo, invece, è l’epididimite la complicanza più grave. Si tratta di una dolorosa infiammazione che può portare alla sterilità. Le donne in gravidanza devono necessariamente subire un trattamento antibiotico per scongiurare qualsiasi rischio di trasmettere la malattia al bambino. Infatti, nei bambini può condurre a cecità, infiammazioni articolari e altre infezioni letali.
Diagnosi e trattamento
La diagnosi si basa su esami di laboratorio che prevedono l’osservazione al microscopio oppure analisi su prelievo eseguito con tampone. In alcuni casi, la gonorrea può essere diagnosticata anche attraverso le consuete analisi delle urine. Una volta diagnosticata, la gonorrea viene trattata con antibiotici come azitromicina e ceftriaxone.
Clamidia
Le infezioni da Clamidia delle mucose genitali interessano sia gli uomini che le donne e possono causare seri danni al sistema riproduttivo. L’agente batterico responsabile è la Chlamydia trachomatis, un Gram negativo che deve necessariamente essere presente all’interno di un organismo ospite per sopravvivere.
Sintomi
Alcuni casi sono asintomatici, altri includono dolore alle vie uro-genitali e soprattutto bruciore durante l’orinazione. Negli uomini, i sintomi compaiono dopo 7-28 giorni di incubazione e inizialmente sono molto lievi. Tuttavia, possono verificarsi casi in cui i sintomi iniziali sono molto più acuti accompagnati da un’abbondante secrezione purulenta. Nelle donne, invece, si riscontrano secrezioni vaginali, dolore pelvico e disuria. La Clamidia può raggiungere gli occhi dando origine a forme di congiuntivite acuta. I sintomi delle infezioni non trattate tendono a scomparire nel giro di un mese. Tuttavia, le conseguenze possono essere gravi quindi è bene sottoporsi a trattamento anche in presenza di lievi sintomi sospetti. Da notare che le donne affette da Clamidia possono contrarre l’HIV con un rischio cinque volte superiore al normale.
Diagnosi e trattamento
La diagnosi si basa su campioni vaginali, cervicali o essudati rettali o uretrali ma in alcuni casi bastano le comuni analisi delle urine. In commercio sono disponibili dei test che prevedono l’amplificazione di acidi nucleici specifici per la Chlamydia trachomatis ed evitano tutti i disagi legati al prelievo dei tamponi. I test di amplificazione sono impiegati soprattutto per le fasi di screening in pazienti esposti ad alto rischio. Lo screening coinvolge non solo il soggetto infetto ma anche i partner sessuali.
Il trattamento antibiotico prevede azitromicina, doxiciclina, eritromicina, levofloxacina e ofloxacina, a seconda dei casi. L’azitromicina in singola dose è considerata soprattutto per i trattamenti di quei casi che richiederebbero la somministrazione di antibiotico per più di sette giorni.

Infezione da HIV
L’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) è dovuta all’azione di due retrovirus molto simili tra loro chiamati HIV-1 e HIV-2. Per definizione, i retrovirus sono virus a RNA che si replicano (mediante retrotrascrizione) generando un nuovo DNA che andrà ad inserirsi nel genoma della cellula ospite infettata. La trascrittasi inversa, l’enzima coinvolto nella replicazione del DNA virale, produce una serie di errori che diventano mutazioni. Queste si accumulano nel corso del tempo generando ceppi sempre diversi e sempre più resistenti ai farmaci aumentando il rischio legato alla loro diffusione.
Ciclo virale e trasmissione

HIV-1 e HIV-2 hanno la funzione di attaccare e distruggere i linfociti T CD4+ inibendo, in tal modo, la risposta immunitaria della cellula. La conseguenza è l’aumentato rischio di contrarre infezioni o sviluppare forme tumorali. I linfociti T CD4+ infettati producono altri virioni (particelle del virus) mentre una piccola parte dei linfociti non infettati sopravvive e permane come serbatoio d’infezione latente da cui il virus può riattivarsi.
L’HIV si trasmette attraverso sangue, sperma, latte materno, secrezioni vaginali ed essudati provenienti da lesioni cutanee. Insomma, tutti quei fluidi corporei che possono essere “scambiati” durante un rapporto sessuale, ma anche attraverso punture con aghi infetti, trasfusioni, trapianti e allattamento. I soggetti affetti da altre IST sono molto più a rischio dato che le difese immunitarie risultano già compromesse.
Dall’HIV all’AIDS
La fase iniziale dell’infezione prende il nome di sindrome retrovirale acuta e non presenta sintomi o, se ci sono, possono essere facilmente confusi con altre malattie come la mononucleosi. Con il passare del tempo, il numero dei linfociti diminuisce e si delinea il quadro clinico dell’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita). L’AIDS è quindi la patologia che si origina dalla diffusione epidemica del virus HIV ed è caratterizzata da una serie di condizioni patologiche che portano al rapido peggioramento dello stato di salute. Tra tutte:
- infezioni batteriche ricorrenti
- candidosi
- cancro
- linfomi
- encefalopatie
- retinite
- polmoniti
- setticemia
- toxoplasmosi
I primi casi di AIDS furono descritti nel 1982 e fino ad oggi ne sono stati segnalati quasi 70.000, di cui oltre 44 mila deceduti fino al 2015. Una buona notizia c’è: negli ultimi anni si è registrata una lieve diminuzione dei casi. Anche il numero dei decessi è in forte calo grazie al maggiore accesso alle cure. Solo nel 2017, l’80% delle donne in gravidanza ha avuto la possibilità di sottoporsi a terapie antiretrovirali per prevenire la trasmissione del virus al feto.
La diagnosi si basa sulla ricerca di anticorpi anti-HIV e l’amplificazione genica che permette di quantificare la presenza dell’RNA del virus. La prima è molto specifica ma non può essere seguita nelle prime settimane di infezione. Ad oggi disponiamo di test molto più rapidi che permettono di eseguire la diagnosi in ogni tipo di struttura ospedaliera e di fornire l’esito al paziente in tempi brevi. Questi prevedono l’impiego di campioni di sangue o di saliva e l’esito del test deve necessariamente essere confermato da analisi di laboratorio.
Papillomavirus umano
I papillomavirus umani (Hpv) sono piccoli virus a DNA e oggi se ne conoscono più di 100. Quelli associati a patologie del tratto ano-genitale sono circa 40. La classificazione li distingue in virus ad alto e basso rischio di generare forme tumorali. Hpv 16 e Hpv 18 tendono a progredire in cervicocarcinoma mentre i tipi di Hpv a basso rischio sono associati a condilomi genitali che di fatto sono lesioni benigne.
La trasmissione del virus avviene per via sessuale e le piccole lesioni causate dal rapporto intimo potrebbero favorire la trasmissione. Il virus può infettare anche la cute non protetta dal profilattico pertanto l’uso del preservativo riduce il rischio ma non lo elimina del tutto.
La diffusione del virus è molto alta nella popolazione. Infatti, circa l’80% delle donne sessualmente attive si infetta nel corso della vita soprattutto nei primi 25 anni di età. L’infezione segue tre fasi cliniche: regressione, persistenza e progressione. Si parla di regressione perché nella maggior parte dei casi il virus viene eliminato dal sistema immunitario prima di manifestare gli effetti patologici.
Dall’infezione al cancro
Se l’infezione persiste tende ad evolversi in carcinoma con formazione di lesioni che progrediscono fino al cancro della cervice.
Lo sviluppo di cervicocarcinoma è un esito molto raro dell’infezione da Hpv, ma si configura comunque come il quarto tumore più diffuso nelle donne. I tipi di Hpv ad alto rischio sono responsabili di circa il 90% dei tumori anali, del 70% di quelli vaginali e del 50% di quelli del pene.
Fino a qualche anno fa, il pap-test era l’unico modo per prevenire il cancro cervicale. Il pap-test è uno screening delle cellule della cervice che identifica la presenza di lesioni per agire su di esse prima che progrediscano in carcinoma. Oggi, invece, si usa l’Hpv test che ricerca il DNA del virus ed è molto più efficace del precedente. La prevenzione primaria rimane sempre la vaccinazione che induce una risposta immunitaria del 90% e gli anticorpi permangono per almeno 9 anni.
Conclusioni
Nonostante i progressi della diagnosi e le terapie disponibili, la prevalenza delle IST è molto alta in tutte le regioni del mondo. La prevenzione basata sul controllo permette di ridurre il rischio di diffusione. Pertanto, rapporti protetti, test di screening e vaccinazione rappresentano i metodi più efficaci per prevenire l’insorgenza o comunque limitare la diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili.