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Malattie neurodegenerative – Un nuovo utilizzo del THC

Tema caldo dell’opinione pubblica e di molte campagne politiche, ormai la legalizzazione della cannabis è un argomento tanto recente quanto foriero di molte discussioni sui fattori positivi e negativi ad essa associati. Emerge però uno scenario nuovo sull’utilizzo del THC nelle malattie neurodegenerative.

Dai social network ai telegiornali, nessuno sembra esente da un parere sul tema, a volte anche poco supportato da concrete evidenze che possano sottolineare l’utile applicabilità della sostanza. Mentre in Italia sembra presto tornare sulla scena parlamentare un disegno di legge a riguardo, in molti altri paesi i cannabinoidi sono studiati nei loro effetti, anche positivi, da molti istituti di ricerca.

La ricerca

È proprio in California, infatti, che gli scienziati del Salk Institute sembrano aver gettato le basi per una nuova potenziale interessante scoperta: sembra infatti che alcuni elementi presenti nella marijuana possano migliorare il decorso altrimenti degenerativo di malattie come l’Alzheimer.

Come hanno già dimostrato studi pregressi, è risaputo che la principale causa di tale patologia degenerativa risieda nelle placche amiloidi. In particolare i ricercatori californiani hanno sottolineato come la proteina beta-amiloide, che sembra ampliare la sua concentrazione cerebrale all’aumentare dell’età, sia responsabile di conseguenze di deterioramento quando, se presente in una posizione intracellulare, genera un processo infiammatorio.

La risposta infiammatoria di natura tossica spinge successivamente all’atrofia del neurone, incapace di trasmettere segnali come accadeva precedentemente. Da ciò si evince dunque che il tasso di mortalità neuronale sia strettamente dipendente dagli alti livelli di proteina beta-amiloide.

La marijuana al centro delle ricerche sulle malattie neurodegenerative

Lo studio pubblicato nel Giugno 2016 si propone perciò di sottolineare come l’utilizzo di cannabinoidi possa compromettere positivamente il decorso del percorso infiammatorio. È stato infatti dimostrato che il tetraidrocannabinolo ha un effetto protettivo e contrastante l’infiammazione.

Il meccanismo

Esso abbassa la presenza della proteina nelle sezioni intracellulari. In questo modo la risposta scatenata dalla beta-amiloide può essere bloccata proprio attivando i recettori dei cannabinoidi.

Questa scoperta non è sicuramente la prima riguardante i potenziali effetti positivi di tali sostanze, ma, come sottolineato dagli stessi ricercatori, ha il pregio di analizzare uno specifico aspetto neuronale prodromico. Gli altri studi infatti si concentrano generalmente solo sul possibile utilizzo di sostanze legate alla marijuana per controllare o migliorare i sintomi manifesti della patologia degenerativa.

Il meccanismo scoperto purtroppo permette solo di rallentare e non di inibire completamente l’andamento iniziale dell’Alzheimer e non è stato ancora applicato in ambito clinico.
La sua innovazione potrebbe però costituire una nuova luce preventiva e forse rallentare il rapido sviluppo patogeno della malattia.

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