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Malattie correlate all’età: come invecchiare in salute

Le cause dell'invecchiamento e i benefici di uno stile di vita sano

Le malattie correlate all’età sono un insieme di patologie che riguardano il deterioramento del sistema immune associato ad uno stato infiammatorio cronico. Tra le malattie che più di frequente compaiono nel soggetto anziano, vi sono le patologie neurodegenerative, accomunate da un processo cronico e selettivo di morte a carico delle cellule del Sistema Nervoso Centrale (SNC), che in alcuni casi portano a deficits cognitivi, motori e comportamentali. L’aumento dell’aspettativa di vita ha portato a un aumento dell’incidenza di queste patologie che, ai giorni nostri, rappresentano uno dei problemi più diffusi e mettono in crisi il sistema sanitario, che ha investito tanto per migliorare l’aspettativa e la qualità della vita.

Nel corso della vita di un individuo si accumulano molteplici danni cellulari a causa di diversi meccanismi, esogeni ed endogeni. L’invecchiamento è, infatti, guidato dall’impatto dei danni molecolari accumulati nelle cellule, causa della comparsa della fragilità e dell’insorgenza di malattie correlate all’età. Ne sono un esempio quelle neurodegenerative, fra le quali ricordiamo la Malattia di Alzheimer, il Morbo di Parkinson e la Malattia di Huntington.

Fortunatamente il nostro organismo possiede importanti meccanismi di riparazione, geneticamente controllati, che permettono di rallentare l’esordio dell’invecchiamento e della morte. Oltre alla componente genetica, la loro insorgenza è dovuta anche ad una ridotta qualità della vita, ed in particolare dalla mancanza di un effettivo trattamento. Tra le malattie neurodegenerative più diffuse vi è la malattia di Alzheimer (MA), caratterizzata da un progressivo e inesorabile deterioramento delle funzioni cognitive del soggetto che ne viene colpito.

Quali sono le caratteristiche generali della Malattia di Alzheimer?

La MA è la forma di demenza più diffusa nella popolazione mondiale. Colpisce le cellule del SNC, aggredendo le aree del cervello deputate alla memoria e alle funzioni cognitive, come l’ippocampo, causandone la degenerazione e la conseguente morte. I markers patologici principali sono:

  • le placche amiloidi
  • i grovigli neurofibrillari

Le placche amiloidi sono formazioni proteiche fibrillari di materiale insolubile che si depositano a livello extraneuronale e che comportano infiammazione della zona cerebrale interessata con conseguente morte per apoptosi. La formazione delle placche si deve principalmente all’accumulo ed alla conseguente aggregazione del peptide β-amiloide (Aβ), un frammento proteico costituito da circa 42 amminoacidi che deriva da un taglio proteolitico della proteina di membrana APP (Amyloid Precursor Protein) da parte di due secretasi (β e γ). Questo peptide subisce un misfolding trasformando la sua struttura da alfa-elica a foglietti-beta che porta alla formazione di aggregati, fibrille e placche.

I grovigli neurofibrillari sono, invece, depositi intracellulari di materiale proteico fibrillare costituito dalla proteina tau. Questa proteina è associata ai microtubuli e svolge funzione di stabilizzazione della struttura citoscheletrica microtubulare. In condizioni patologiche, la proteina tau viene iper-fosforilata portando alla disgregazione della struttura dei microtubuli, i quali formeranno strutture fibrillari e quindi i grovigli (figura 1).

Figura 1: Tessuto nervoso di soggetti sani e con Alzheimer. Nei soggetti malati si osservano accumuli extracellulari di placche amiloidi e i grovigli neurofibrillari di proteina tau nei neuroni.

Ad innescare i processi neurodegenerativi non sono solo le placche amiloidi extracellulari, ma anche piccoli aggregati di Aβ che entrano all’interno della cellula e provocano diverse alterazioni come stress ossidativo, disfunzione mitocondriale e del reticolo endoplasmatico. Tutti meccanismi che portano anch’essi a morte per apoptosi.

Come si formano le fibrille amiloidi?

Il processo di formazione delle fibrille amiloidi, o fibrillogenesi, viene chiamato polimerizzazione nucleazione-dipendente perché sembra seguire le fasi di una cristallizzazione. Infatti nelle cinetiche di aggregazione si presentano tre fasi:

  • Lag: il tempo richiesto per la formazione del nucleo (gli oligomeri), un processo sfavorito termodinamicamente poiché consiste nel passaggio dalla struttura nativa alla struttura misfolded delle proteine e l’aggregazione di queste;
  • fase esponenziale di crescita: più monomeri di proteina contattano il nucleo che si è formato, in più punti, portando al processo di aggregazione proteica;
  • plateau: non si ha più formazione di nuovi aggregati (figura 2).
Figura 2: Processo di formazione delle fibrille amiloidi

L’accumulo di proteine sotto forma di aggregati amiloidi non è una caratteristica tipica solamente di patologie neurodegenerative. Studi in vivo hanno, infatti, dimostrato che danni significativi a tessuti e sintomi clinici appaiono prima che sia individuato alcun aggregato, il che implica la presenza di un intermedio nel pathway amiloidogenico che potrebbe essere la causa della patogenicità. A conferma di ciò, placche amiloidi sono state trovate anche in individui che non mostrano i sintomi clinici della MA.

Come prevenire la malattia?

Cosa possiamo fare per prevenire la malattia e raggiungere la vecchiaia mantenendo il cervello in forma? Come accennato in precedenza, l’accumulo di Aβ, sia sotto forma di placche amiloidi presenti extracellularmente nel cervello dei pazienti affetti dalla MA che a livello intracellulare, è responsabile della formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e stress ossidativo. Si pensa che questo sia uno dei principali meccanismi che attiva la cascata patogenica che porta alla malattia. Il tessuto cerebrale è particolarmente vulnerabile allo stress ossidativo, a causa del suo elevato tasso di metabolismo del glucosio e del basso livello di enzimi antiossidanti. L’utilizzo, quindi, di molecole antiossidanti, come quelle presenti nella dieta, potrebbe essere un’efficace strategia terapeutica. Tuttavia, al momento non esiste una cura efficace per tentare di intervenire sul decorso clinico.

I benefici della Dieta Mediterranea

Diverse evidenze indicano che una corretta alimentazione possa aiutare nella prevenzione e nel decorso di diverse patologie tra cui quelle neurodegenerative. I componenti di una dieta, meglio se quella Mediterranea, possono, infatti, singolarmente o sinergicamente intervenire in questo processo. Quando si parla di dieta si indica un modello nutrizionale associato allo stile di vita e alla cultura di un dato popolo. Fattori quali pasti consumati in famiglia, socializzazione, adeguato riposo, sonno e attività fisica possono significativamente alterare l’effetto di mortalità e morbilità della patologia. La stessa longevità sembra acquisisca un contributo efficace dallo stile di vita.

La Dieta Mediterranea, riconosciuta nel 2010 come Patrimonio Culturale Immateriale UNESCO, è un modello nutrizionale ispirato a quelli tradizionali dei popoli del bacino mediterraneo. Si basa su alimenti come frutta e verdura, cereali, carne, pesce, e soprattutto l’olio extravergine d’oliva (EVO). Quindi, la Dieta Mediterranea risulta essere ipocalorica e ricca di fitonutrienti sotto forma di antiossidanti e flavonoidi. Numerosi studi dimostrano che il regime dietetico mediterraneo contribuisce ad una migliore condizione di salute riducendo il rischio di sviluppo di malattie correlate all’età e, quindi, favorendo la longevità.

L’olio EVO e le sue proprietà

L’olio EVO è l’elemento comune tra i paesi mediterranei e può essere considerato un alimento nutraceutico (cioè che ha effetti benefici sulla salute) e funzionale, grazie ai suoi composti bioattivi. Può agire e modulare diversi processi legati all’invecchiamento e alle malattie correlate all’età caratterizzate da un basso grado di infiammazione cronica. A seconda della varietà di pianta coltivata (cultivar), delle condizioni di crescita, del periodo di raccolta, del processo produttivo e del tempo di conservazione del prodotto, l’olio EVO potrebbe contenere diverse quantità di componenti vegetali (figura 3).

 Figura 3: Olio extravergine d’oliva (OEVO)

L’olio EVO ha mostrato notevoli capacità nel prevenire patologie come quelle neurodegenerative, cardiovascolari e il cancro. Questo grazie alla sua composizione in acidi grassi mono e di-insaturi e la rimanente parte insaponificabile (2%) contenente squalene (50%), steroli e polifenoli, i quali risultano essere effettivi antiossidanti e antiinfiammatori nei confronti di malattie correlate all’età. Trials clinici e studi sulla popolazione hanno evidenziato, infatti, che i composti fenolici dell’olio EVO sono i principali responsabili degli effetti protettivi contro il deterioramento cognitivo associato all’invecchiamento e le malattie neurodegenerative come la MA.

Inoltre, sono anche capaci di migliorare le prestazioni cognitive. I polifenoli dell’olio EVO partecipano direttamente al bilancio redox della cellula con diversi effetti. Ad esempio, l’idrossitirosolo e l’oleurepina possono contrastare la formazione di ROS ed esercitare un’azione protettiva contro la generazione e deposizione di placche amiloidi agendo come antiossidante.

Sembra, inoltre, che anche il suo alto contenuto in acidi grassi, come omega-3, influenzi il pathway non-amilogenico del processamento dell’APP, che porta alla mancata formazione del peptide Aβ. Un effetto antiossidante simile è stato anche riportato per l’oleocantale evidenziando la sua capacità di contrastare la formazione degli oligomeri di Aβ interagendo con i suoi stati di aggregazione e agendo come molecola neuroprotettiva.

Gli studi sperimentali sull’olio EVO

Diversi lavori scientifici hanno dimostrato la funzionalità dell’oleocantale. Un team di ricercatori ha studiato gli effetti del composto fenolico in vitro su cellule endoteliali di cervello di topo e ha dimostrato che esso è in grado di up-regolare l’espressione della glicoproteina P ed LRP1, proteine responsabili della clearance di Aβ attraverso la barriera emato-encefalica (BEE). Inoltre, attraverso esperimenti in vivo su topi alimentati con diverse dosi di oleocantale, hanno valutato l’eliminazione di Aβ dal cervello (in termini di percentuali) tramite lo studio dell’indice di efflusso cerebrale utilizzando la proteina marcata con un isotopo radioattivo.

Ancora è stato dimostrato in vivo, su un modello animale della MA, che l’oleocantale è in grado di ridurre significativamente la concentrazione del peptide amiloide nel parenchima e nei microvasi dell’ippocampo, riduzione associata ad una maggiore clearance cerebrale di Aβ attraverso la BEE. Un effetto antinfiammatorio dell’oleocantale era visibile a livello degli astrociti, dimostrata dalla riduzione dell’espressione della citochina proinfiammatoria IL-1β e della loro stessa attivazione.

Infine, studiando in neuroni ed astrociti gli effetti di questo polifenolo sulla modulazione di eventi patologici scatenati dagli oligomeri di Aβ, è stato dimostrato che nei neuroni è in grado di prevenire l’infiammazione indotta dagli oligomeri di Aβ e downregolare l’espressione di proteine implicate nelle sinapsi come SNAP-25 e PSD-95. Negli astrociti sembra, inoltre, regolare l’espressione di GLT1, trasportatore di glutammato, principale neurotrasmettitore eccitatorio, e GLUT1, responsabile dell’uptake del glucosio.

Analizzando gli alimenti che compongono la Dieta Mediterranea, si è visto che la maggior parte di questi, come frutta, verdure, spezie, contengono alte quantità di diversi polifenoli come: l’acido caffeico, l’acido ferulico, l’acido p-cumarico, l’acido rosmarinico, il tirosolo, l’idrossitirosolo, il tocoferolo. Tutti hanno dimostrato di possedere potere antiossidante, antiinfiammatorio e non solo. Essi hanno altre azioni:

  • antimicrobica: inibiscono lo sviluppo di determinati ceppi batterici antibiotico-resistenti;
  • antitumorale: rallentano la proliferazione delle cellule tumorali;
  • anti-iperglicemizzante: riducono l’attività della G6Pase e PEPCK, enzimi chiave che controllano la gluconeogenesi.
  • lipidemizzante: abbassano i livelli di lipidi nel plasma, quelli del colesterolo epatico, down-regolano l’attività dell’HMG-CoA reduttasi epatica, ed up-regolano quella degli enzimi antiossidanti epatici SOD e GSH.

Mens sana in corpore sano

Oltre un’alimentazione sana, che riveste un ruolo determinante sulla salute dell’organismo, anche la costante attività fisica risulta fondamentale per raggiungere il medesimo scopo: invecchiare in buona salute. Innumerevoli studi hanno infatti dimostrato i benefici che si ottengono dalla coesistenza di entrambi nella quotidianità di un individuo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per attività fisica si intende “qualunque sforzo esercitato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un consumo di energia superiore a quello in condizioni di riposo”. La sedentarietà è un fattore di rischio per le malattie neurogedenerative, cardiovascolari, il diabete e i tumori. Quindi, un’attività fisica regolare è uno degli elementi più importanti per mantenersi in buona salute da più punti di vista che elenchiamo:

  • cardiovascolare, infatti, migliora la funzionalità cardiaca poiché aumentano le pareti di atri e ventricoli e il cuore pompa più sangue ad ogni contrazione, migliora lo scambio, il trasporto e l’utilizzo dell’ossigeno riducendo l’insorgenza di patologie cardiovascolari, quali l’ipertensione arteriosa e l’ictus
  • muscolo scheletrico ritarda l’insorgenza dell’osteoporosi e ne rallenta l’avanzamento
  • a livello del metabolismo e della composizione corporea previene patologie metaboliche, quali il diabete mellito e la sindrome metabolica
  • psicologico riduce i livelli di stress e di tensioni nervose e favorisce e potenzia il riposo notturno.

Tutti questi elementi che rientrano in uno stile di vita sano permettono di allontanare l’insorgenza di malattie correlate all’età, particolarmente quelle associate a infiammazione e stress ossidativo (come le malattie neurodegenerative), aumentando l’aspettativa di vita.

Le Blue Zones

Esistono delle aree del nostro pianeta, chiamate “Blue Zones” (California, Italia, Giappone, Grecia, Costa Rica), nelle quali il tasso di longevità è più alto rispetto alle altre zone del mondo. Gli ultracentenari che le abitano godono di una salute, fisica e mentale, invidiabile. Questi soggetti posseggono una notevole fiducia in se stessi, una grande positività e riescono ad adattarsi alle circostanze che cambiano. L’aspetto più importante è che non hanno paura della morte perché sono consapevoli del fatto che è inevitabile e poi perché hanno vissuto la propria vita in piena salute. Inoltre, l’attività fisica fa parte delle loro giornate e la loro dieta è a base di cibi genuini, presi direttamente dalla natura e poco lavorati, come frutta, verdura, noci, legumi o cereali integrali, alimenti tipici della Dieta Mediterranea.

Questi centenari provengono da diverse zone del mondo e sono molto differenti gli uni dagli altri, poiché appartengono ad etnie diverse. Diversi studi hanno voluto analizzare se il patrimonio genetico fosse in parte responsabile dell’invecchiamento in buona salute. Dai risultati ottenuti sembra che la componente genetica sia poco rilevante nella longevità. L’invecchiamento non deve, quindi, essere necessariamente associato alla sofferenza o all’insorgenza inesorabile di malattie dato che sembra che una dieta sana, l’attività fisica e una visione positiva della vita siano i segreti per una vita lunga e, soprattutto, in salute.

Referenze

  • Nutritional Factors Affecting Adult Neurogenesis and Cognitive Function – Shibu M Poulose et al., 2017
  • Soluble protein oligomers in neurodegeneration: lessons from the Alzheimer’s amyloid β-peptide – Christian Haass and Dennis J. Selkoe 2007
  • Differential Regulation of Dynein and Kinesin Motor Proteins by Tau – Ram Dixit et al., 2008
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  • Amyloid-fibril formation. Proposed mechanisms and relevance to conformational disease – Zerovnik E., 2002
  • Clinical, pathological, and neurochemical changes in dementia: a subgroup with preserved mental status and numerous neocortical plaques – Katzman et al., 1988
  • The amyloid hypothesis of Alzheimer’s disease: progress and problems on the road to therapeutics – J. Hardy et al., 2002
  • A radical hypothesis for neurodegeneration – Olanow CW 1993
  • Lifestyle-related factors in predementia and dementia syndromes – Solfrizzi V et al., 2008
  • Effect of Extra Virgin Olive Oil and Table Olives on the ImmuneInflammatory Responses: Potential Clinical Applications – Caterina M. Gambino, Caruso C. et al., 2017
  • Olive-oil consumption and cancer risk – L. Filik et al., 2003
  • The impact of olive oil consumption pattern on the risk of acute coronary syndromes: The Cardio 2000 case-control study – M.D. Kontogianni et al., 2007
  • Olive oil phenolic compounds affects the release of aroma compounds – A. Genovese et al., 2015
  • The potential role of nutritional components in the management of Alzheimer’s Disease – Van der Beek EM et al., 2008
  • Antimicrobial potential of caffeic acid against Staphylococcus aureus clinical strains – Małgorzata Kępa et al., 2018
  • Antihyperglycemic and antioxidant properties of caffeic acid in db/db mice – Un Ju Jung et al., 2006
  • Anticancer Efficacy of Polyphenols and Their Combinations – Aleksandra Niedzwiecki et al., 2016
  • Dietary Caffeic Acid, Ferulic Acid and Coumaric Acid Supplements on Cholesterol Metabolism and Antioxidant Activity in Rats – YEN-HUNG YEH et al., 2008

Bibliografia

  • La malattia: dagli sciamani alla medicina di precisione – Un’introduzione alla Patologia generale – C. Caruso, G. Candore. Medical Books 2016

Collegamenti esterni

  • Gli effetti biologici dei polifenoli dell’olio d’oliva – svi.med
  • Prevenire con l’attività fisica – My Personal Trainer
  • Attività fisica – Cuore Iss
  • Zone blu: i paradisi terrestri dove vivono i centenari – L’indro
  • Precursore della proteina amiloide e malattia di Alzheimer: nuove ipotesi e possibili terapie per contrastare “una relazione pericolosa”  AIRInforma
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