La malattia da virus Marburg è causata, come dice il nome, dal virus Marburg marburgvirus (MARV) che appartiene alla famiglia dei virus dell’Ebola, i Filoviridae. Esattamente come l’Ebola, anche la malattia di Marburgo si manifesta con eventi emorragici e ha un tasso di mortalità molto elevato, ma è bene sottolineare che si tratta di due malattie distinte. La malattia di Marburg può manifestarsi a carico degli essere umani e di altri primati.
Fu descritta per la prima volta nel 1967 in seguito a casi clinici che si manifestarono in alcuni laboratori a Marburg (da qui il nome del virus) e a Francoforte, in Germania. Tuttavia furono osservati dei casi anche in Jugoslavia[1, 2]. Successivamente a questi episodi sono stati descritti eventi sporadici, prevalentemente in persone che rientravano da viaggi effettuati in Africa Subsahariana.
La malattia ha un’incidenza elevata in molte regioni dell’Africa, in particolare in Angola, in Congo e in Uganda. Anche in Kenya e in Zimbabwe si registrano casi con minore frequenza. Tuttavia è da considerarsi una malattia rara con casi diagnosticati dal 1967 soltanto poche centinaia di casi, di cui però la maggior parte ha avuto esito letale[4, 9, 10].
Cause
La malattia di Marburgo è una zoonosi, pertanto la trasmissione all’uomo avviene attraverso il contatto con animali infetti. In particolare, attraverso alcuni studi è stata evidenziata la presenza del virus nei pipistrelli, quindi questi animali fanno da reservoir per il virus, anche se non è l’unica specie animale in cui è stato riscontrato.
La trasmissione, come tutte le zoonosi, avviene per contatto diretto con questi animali attraverso ferite oppure in generale tramite le mucose (occhi, naso e bocca). Anche il contatto con fluidi corporei di persone infette può essere causa di contaminazione (esempio: sangue, urine, saliva, feci)[3, 5].
Essendo questa una patologia di tipo emorragico, il contatto con il sangue è particolarmente frequente. Il consumo alimentare di animali morti infetti è un’ulteriore fonte di contaminazione. Le infezioni di questo virus può anche essere causa di epidemie, come accadde in Congo e in Angola all’inizio degli anni 2000[3].
Sintomi
La sintomatologia emerge inizialmente con segni aspecifici associabili a qualsiasi infezione, con:
- febbre alta;
- cefalea;
- brividi;
- malessere;
- dolori muscolari.
Dopo circa 3 giorni dall’insorgenza dei sintomi, questi possono evolvere con comparsa di vomito, diarrea e dolori addominali. Dal quinto al settimo giorno possono comparire i sintomi emorragici, come la formazione di petecchie, emorragie mucosali e gastrointestinali.
L’evoluzione dei sintomi può proseguire con manifestazioni di tipo neurologico, come disorientamento, convulsioni e coma. Il tempo di incubazione dal momento dell’infezione è variabile ma può essere compreso tra 5 e 21 giorni. Il tasso di letalità in media può superare anche il 50%. La mortalità avviene generalmente per disidratazione e insufficienza multiorgano. Il trattamento precoce risulta essere un buon deterrente per abbassare la probabilità di decesso.
Diagnosi
La diagnosi di questa malattia avviene attraverso indagini di laboratorio perché, come detto, molti sintomi risultano essere aspecifici. Il test maggiormente utilizzato è l’indagine attraverso RT-PCR, che consente di identificare il genoma e/o gli antigeni del virus, anche nelle prime fasi della malattia. Sono utilizzate poi delle tecniche sierologiche, come ELISA e IFA, per identificare gli anticorpi nel sangue.
La presenza di IgM nel sangue indica un’infezione recente e si possono infatti evidenziare già 2-4 giorni dopo l’infezione. La presenza di IgG, invece, indica un’infezione di più vecchia origine e questi anticorpi possono permanere nel circolo sanguigno anche dopo qualche anno dall’infezione, mentre la comparsa avviene circa 8-10 giorni dal contagio.
Purtroppo essendo una malattia ad alto tasso di letalità, spesso queste analisi non possono essere effettuate per mancanza di campioni. Le analisi ematologiche possono evidenziare:
- leucopenia;
- piastrinopenia;
- neutropenia.
La sofferenza multiorgano indotta dall’infezione può manifestarsi con proteinuria, aumento delle transaminasi e azotemia[7].
Trattamento
Il primo approccio che dev’essere messo in pratica di fronte a un paziente è l’isolamento. Questa patologia potrebbe diffondersi fino a generare delle epidemie, quindi circoscrivere l’infezione il più possibile è un intervento fondamentale. Le terapie farmacologiche purtroppo al momento non prevedono interventi mirati a debellare il virus, ma soltanto al controllo della sintomatologia.
Potrebbero essere effettuate delle trasfusioni di sangue e ossigenoterapia al bisogno. Nei casi in cui si manifestano eventi di coagulazione può essere somministrata eparina. Uno studio pubblicato nel 2006 evidenzia i risultati ottenuti, testando un vaccino sperimentale, su alcuni esemplari di macachi.
Da questo studio si evidenzia che l’utilizzo di questo vaccino ricombinante ha un duplice effetto:
- è in grado di agire in maniera preventiva sull’insorgenza della malattia;
- riduce la sintomatologia dopo aver contratto l’infezione[6].
Approfondimento sui Filovirus
I filovirus appartengono alla famiglia dei Filoviridae e sono dei virus a RNA che provocano nell’uomo e nei primati gravi manifestazioni emorragiche. L’esito di queste infezioni è solitamente letale.
Di questa famiglia di virus ne sono stati identificati 3 generi:
- Marburg
- Ebola
- Cueva
Mentre i primi due hanno origine soprattutto in Africa, il terzo è stato riscontrato in Europa. Il virus Ebola a sua volta si presenta in diverse specie, mentre degli altri due è nota soltanto una specie. Il nome associato a questi virus deriva dalla loro forma poiché si presentano come vere e proprie strutture filiformi.
Sono classificati come virus zoonotici, infatti tendono facilmente a passare da animale ad uomo. La loro diffusione è molto rapida, infatti sono molto contagiosi. In presenza di infezioni è assolutamente fondamentale limitare i contatti con i pazienti ammalati. Qualora si ritenga di essere stati contagiati è bene informare il medico alla comparsa dei primi sintomi per poter attuare un intervento rapido[8].
Il virus di Marburg si presenta a forma di bastoncello e ha una lunghezza di circa 665 nm e un diametro trasverso di 80 nm. Il nucleocapside, di forma esagonale, contiene al suo interno un filamento di RNA a polarità negativa e ha una dimensione di 19kb. Dal nucleocapside si dipartono dei filamenti proteici (omotrimeri) della glicoproteina di superficie. Il genoma del virus sembra essere formato dalle seguenti regioni: una regione 3′ non tradotta, una regione codificante per una nucleoproteina, quattro regioni codificanti per le proteine definite VP30, VP35, VP40 e VP24, una regione codificante la glicoproteina importante per le infezioni, una regione codificante una RNA polimerasi RNA dipendente e infine una regione 5′ non tradotta.
Vi sono delle aree di sovrapposizione, in particolare tra i geni VP30 e VP24. Il recettore con cui il virus sembra legarsi, tramite la glicoproteina (molto ricca di glicani), non è noto. I decessi avvengono principalmente in seguito a deficit multiorgano. Eventi infiammatori di varia natura possono promuovere questi deficit ed i meccanismi molecolari sottostanti non sono del tutto noti[11].
Referenze
- Malattia da virus di Marburg – epicentro.iss.it
- Marburg virus – salute.gov.it
- Febbre emorragica di Marburg – nurse24.it
- Infezioni da virus di Marburg ed ebola – msdmanuals.com
- Malattia di Marburg – bag.admin.ch
- D’addario et all – Cross-Protection agains Marburg Virus strains by using a live, attenuate recombinant vaccine – ncbi.nlm.nih.gov
- Panoramica sulle infezioni da arbovirus, arenavirus e filovirus – msdmanuals.com
- Filovirus – issalute.it
- Zehender et all. – Distribution of Marburg Virus in Africa: an Evolutionary approach – air.unimi.it
- Towner et all. – Marburg Virus infection detected in a common African Bat – journals.plos.org
- Kortepeter et all. – Marburg Virus Disease: A summary for clinicians – ncbi.nlm.nih.gov