La Community italiana per le Scienze della Vita

Lotta contro l’AIDS: intervista a Giusi Giupponi

Presidente della Lega Italiana per la Lotta all'AIDS

Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) causa l’infezione più diffusa al mondo. La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), indotta dall’HIV, ancora oggi porta a più di mezzo milione di morti l’anno. Diventata pane quotidiano per i media di tutto il mondo negli anni Ottanta del secolo scorso, la sua comunicazione soffre ancora di storici appellativi quali “cancro dei gay” e “punizione divina”.

Le scienze biomediche a oggi hanno compiuto notevoli passi in avanti tanto da rendere la vita delle persone con HIV in cura assimilabile a quella della popolazione generale. Bisogna solo prendere uno o due farmaci al giorno ed effettuare controlli periodici con le analisi del sangue. Controlli che d’altronde dovrebbero essere eseguiti di routine dall’intera popolazione. Per aiutare nel processo di prevenzione e far chiarezza su aspetti tabù e contribuire alla “normalizzazione” dell’infezione, oggi molto meno invalidante di patologie ben più accettate, intervistiamo la neopresidente della Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS (LILA), Giusi Giupponi.

LILA è una federazione nazionale con sedi in tutto il territorio italiano. Attiva da 35 anni e fondata il 21 gennaio 1987, è un’associazione che assiste le persone che ne fanno richiesta in tutte le fasi della gestione dell’infezione da HIV, dalla diagnosi alle terapie, e offre servizi di prevenzione.

Ringrazio la Presidente per il tempo che ci ha dedicato. Vuole illustrarci le attività principali dell’associazione?

Grazie a voi per averci dato un altro canale con cui arrivare a sempre più persone. Il punto fondamentale è che si può avere una vita assolutamente “normale” anche con l’infezione in corso. Il termine “normale” sicuramente porta varie accezioni anche negative però ad oggi bisogna cercare di far rientrare la condizione di sieropositività nel sentire comune così da esorcizzare convinzioni errate che purtroppo ancora oggi sono radicate nella coscienza generale. Le nostre sedi assistono persone che non vogliono fare il test da sole o che cercano informazioni attendibili su qualsiasi aspetto riguardante HIV e AIDS.

Mensilmente offriamo anche test salivari e capillari, con prenotazione, e assistiamo chi ci contatta nella scoperta del responso. Inoltre effettuiamo anche test per la sifilide e per epatite C. Il tutto garantendo l’anonimato di chi ne fa richiesta. Per esempio nell’ultimo anno sono stati offerti 4108 test. In aggiunta i nostri centralini helpline rispondono dal lunedì al venerdì per aiutare chiunque ne abbia bisogno. Il servizio è di puro volontariato sostenuto grazie a volontari e volontarie che sono ovviamente formati e formate per garantire un’assistenza valida.

Che tipo di domande vi vengono rivolte, in genere?

Si può andare da dubbi sul rischio in determinate situazioni alle incertezze di chi magari convive con persone positive e vuole capire come comportarsi. A volte cercano semplicemente supporto emotivo in seguito a un responso positivo al test. Il servizio è attivo dal 1990 e nel 2002 è partito Lila chat, un forum in cui le persone possono interagire e creare così una comunità di supporto aperta, ovviamente a chiunque indipendentemente dallo stato sierologico.

Come la fa sentire essere la portavoce di un’associazione così impegnata nell’aiutare una comunità poco rappresentata mediaticamente?

La responsabilità è molta, in quanto non è solo una questione di supportare e sostenere le persone, ma bisogna affrontare le conseguenze che una scarsa comunicazione ancora oggi comporta. Per esempio definire l’infezione da HIV una malattia, fondamentalmente è sbagliato. Oggi infatti le terapie permettono una buona qualità della vita. Bisognerebbe cominciare a definirla infezione e basta. Senza una corretta prevenzione si può arrivare invece all’AIDS che rappresenta un ostacolo più complesso da affrontare, ma comunque meno letale grazie alle innovazioni biomediche cui siamo arrivati. L’importante è capire che il primo passo da fare è prevenire ed informare. Negli anni Novanta dovevi prendere 15 o 20 pastiglie al giorno, oggi ne basta una o addirittura la long acting che permette un’iniezione ogni due mesi.

Con la prevenzione oltretutto non solo le persone evitano l’infezione o eventuali conseguenze più difficili a lungo termine, ma anche il sistema sanitario ne guadagna, giusto?

Sì, esatto. Le terapie preventive come la PrEP hanno un costo molto minore di quelle continuative post infezione. Noi abbiamo lanciato la campagna “U=U” che è stata riconosciuta a livello scientifico dal Ministero della Salute: una persona in trattamento con una carica virale azzerata non può trasmettere il virus. Purtroppo non è un concetto così diffuso proprio per la mancanza di comunicazione. Eppure ha permesso alle persone con HIV di poter vivere in maniera più tranquilla anche la propria intimità sessuale. Anche facendo sesso non protetto, se la persona ha una carica virale soppressa, non trasmette il virus.

Alla fine non è nemmeno una questione solamente sessuale.

No, infatti. Grazie alle moderne innovazioni anche il parto naturale è possibile. In paesi in cui i sistemi sanitari non sono sviluppati o sono difficilmente accessibili sono ancora molto presenti le infezioni madri-figli/figlie nel momento del parto. Oggi questo problema, se sussistono le condizioni sanitarie idonee, è superato. 10 anni fa tutto ciò non era possibile da nessuna parte, anche nei paesi più sviluppati.

Oggi si può programmare e avere una vita di qualsiasi tipo, indipendentemente dalla diagnosi. Per questo prima parlavo di “normalità”. Bisogna arrivare a un punto in cui sia totalmente privo di ambiguità e timori parlarne in TV o da qualsiasi altra parte. Io nel 2009 ho fatto la scelta di dichiarare di avere l’HIV ritenendo che sia importante parlarne rispettando però chi sceglie di non farlo.

Effettivamente non sempre l’ambiente sociale in cui ci troviamo è favorevole a questa “normalità”.

I “grandi media” riportano solo i casi eclatanti di individui irresponsabili che hanno trasmesso il virus a persone inconsapevoli. Questo tinge sempre la discussione di toni allarmanti e fa arretrare il dibattito e la lotta che ogni giorno ci impegniamo a portare avanti.

Legalmente ci sono forme di tutela per chi ha l’HIV?

Sì, la legge 135/90 tutela la dignità delle persone affette da HIV/AIDS. Spesso ci scrivono persone preoccupate a causa dei datori o delle datrici di lavoro che chiedono loro di effettuare il test o di conoscere il loro stato sierologico. Questa cosa è assolutamente illegale e vietata dalla 135/90. LILA offre un costante supporto anche a coloro che si sentono rivolgere queste richieste illecite.

Se ci pensiamo bene d’altronde esistono patologie croniche molto più invalidanti. Patologie che richiedono terapie più complesse e con molti effetti collaterali.

Il punto è esattamente questo. Come ha detto lei esistono patologie croniche più complesse da gestire e che anche lavorativamente parlando causano molti più impedimenti. Eppure si parla con toni positivi e protettivi di quelle stesse malattie attribuendo invece sempre un alone tetro e oscuro all’HIV quando paradossalmente si vive meglio con questa infezione che con tantissime altre condizioni croniche più note al pubblico.

Quindi lei concorda con l’opportunità dell’anonimato nelle fasi di diagnosi e trattamento dell’infezione?

Certamente. Ritengo fondamentale che ogni persona possa sentirsi libera di valutare il contesto in cui vive e decidere se e come comunicare l’eventuale positività. Come dicevo io ho scelto di rendermi visibile, ma rispetto assolutamente coloro che scelgono di non farlo essendo un loro diritto. È importante, se si è corso un rischio, fare un test e avere una diagnosi precoce. Accedendo tempestivamente alle terapie infatti, la carica virale si azzera nell’arco di 6 mesi. Anche se esiste la giornata del primo dicembre, fondamentale per la risonanza mediatica, noi, come le altre associazioni, lavoriamo ogni giorno per cercare di essere vicini e vicine a chiunque ne abbia bisogno.

Nelle nostre sedi viene offerto il test gratuito anonimo così come anche in molti ospedali. Esistono anche gli autotest che si comprano in farmacia. Dal 2020, con la pandemia da covid offriamo supporto da remoto a chi effettua l’auto test in casa e da maggio 2022 grazie a un progetto europeo, Just LILA, possiamo spedire a domicilio kit per il test a chi ne faccia richiesta.

In tutto ciò siete aiutati e aiutate da enti pubblici e privati?

LILA si regge totalmente su donazioni. Per mantenere attivi i nostri servizi sono fondamentali gli aiuti di privati e aziende. Sarebbe ancora più importante però ricevere aiuti dalle istituzioni.

In che rapporti siete con il Ministero della salute?

Il rapporto è continuativo. Infatti siamo presenti nella consulta delle associazioni di lotta all’HIV/AIDS, in seno al ministero della salute. Facciamo continue richieste per aumentare e intensificare le campagne informative insieme a tutte le alte associazioni.

A cos’è dovuta la mancanza di comunicazione che vi complica il lavoro e rende difficile la condizione di sieropositività? C’entra il retaggio culturale che ci portiamo dietro dagli anni Ottanta?

Sicuramente quegli stereotipi sono ancora presenti. All’inizio si parlava di “peste dei gay” e purtroppo ancora oggi l’HIV viene visto come un pericolo solo per omosessuali e persone che usano sostanze per via iniettiva. In realtà l’infezione è diffusa maggiormente tra le persone eterosessuali e l’orientamento sessuale non influisce sul rischio di contrarla. La prevenzione vale per tutte e tutti.

In Nord America, terapie preventive come la PrEP sono molto diffuse grazie ai social media e a vere e proprie campagne statali. Secondo lei c’è differenza tra la mancanza di comunicazione delle forme di prevenzione rispetto a quella delle terapie post infettive?

Sicuramente il retaggio culturale di cui lei parlava prima è molto importante soprattutto nella prevenzione. Oggi parlare pubblicamente di sesso e sessualità è complesso e soprattutto farlo senza stereotipi o tabù. Una campagna informativa più strutturata anche da parte dello Stato aiuterebbe sicuramente a ottenere una maggiore consapevolezza.

Tendenzialmente le persone omosessuali sono sempre più consapevoli riguardo queste tematiche.

Purtroppo si ragiona ancora per compartimenti, come se un’infezione davvero facesse distinzioni di ogni sorta. Solo la consapevolezza di tutti e tutte ci porterà a ridurre le nuove infezioni. Per esempio le donne pensano ancora di essere meno a rischio degli uomini e questo mito va sfatato.

Collaborate con scuole per la divulgazione di tutte queste informazioni fondamentali?

In genere o ci chiamano direttamente loro o ci proponiamo noi. Comunque siamo stati e state in diversi licei a parlare di prevenzione. Generalmente dal quarto anno in poi, dato che parlare ai minorenni di sesso e sessualità non è ancora una pratica accettata. Oggi si matura sessualmente molto prima, dobbiamo accettare che le nuove generazioni sappiano molto di più e facciano sesso da età precoci rispetto a prima. Di conseguenza anche l’educazione a questi temi dovrebbe essere permessa a età più basse.

La pandemia da COVID-19 che impatto ha avuto sulle persone con HIV?

Sicuramente non è stato un periodo semplice. Nel senso che i virologi hanno, giustamente, concentrato le loro forze sull’emergenza. Così facendo le persone non hanno avuto modo di monitorare la loro salute, ma chiariamo che in ogni caso l’accesso ai farmaci per le varie terapie è restato costante e non si è mai interrotto. Il problema principale è stato che si sono ridotti i test diagnostici. Infatti i dati del 2020 non sono affidabili: mostrano una netta diminuzione di nuove diagnosi, ma sicuramente è dovuto a questa difficoltà nell’effettuare test. I dati relativi al 2021 mostrano, invece, come ci si attendeva, un rialzo nei contagi. Ma soprattutto sono aumentate le diagnosi tardive che erano già molto alte. Nel 2021 il 63.2% delle nuove diagnosi ha riguardato persone che erano già in AIDS o prossime a questa condizione. Comunque, ci sarà l’impatto della pandemia da considerare per un confronto con i dati pre-Covid.

Sitografia

Articoli correlati
Commenta