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È vero che lo stress fa ingrassare?

Panoramica degli effetti dello stress sul peso corporeo

Molte volte ho sentito dire dai miei pazienti queste frasi: “Dottoressa non riesco a seguire la dieta per colpa dello stress” oppure “è vero che lo stress fa ingrassare?”. Molti penserebbero che sia una scusa per mascherare una mancata aderenza alla dieta. Invece, la scienza ci dimostra che esiste un legame tra stress e peso corporeo. Lo stress può quindi modulare il nostro peso corporeo? Se sì, in che modo? Cerchiamo di capire insieme cosa si intende davvero per stress e come quest’ultimo può influire sul nostro percorso di dimagrimento.

Lo stress: cos’è?

Lo stress ha un significato diverso per persone diverse in condizioni diverse. La prima definizione di stress fu quella proposta da Hans Selye: “Lo stress è la risposta non specifica del corpo a qualsiasi richiesta“. La definizione di Selye è applicabile alla risposta allo stress in tutti e tre i domini filogenetici di organismi che vanno dai batteri all’uomo. Secondo Selye solo la morte elimina lo stress, in quanto finché si è in vita, l’uomo è esposto a stimoli e sollecitazioni continue.

Da un punto di vista etimologico il termine inglese “stress” è correlato col il termine latino “strictus”, suggerendo metaforicamente una stretta, un’angustia (e quindi una possibile angoscia). Lo stress può essere definito come un’esperienza soggettiva che si manifesta quando una persona è sottoposta, dall’ambiente, a pressioni che gli richiedono un cambiamento. Le fonti di stress possono avere natura fisica come:

  • la fame
  • la deprivazione di sonno
  • una temperatura non adeguata
  • l’esposizione a vibrazioni elevate
  • il rumore eccessivo
  • turni di lavoro prolungati (soprattutto se distribuiti nelle fasce orarie notturne)
  • eventi traumatici
  • accadimenti della vita
  • difficoltà e conflitti

Gli avvenimenti della vita, sia positivi che negativi, richiedono quindi sostanziali adattamenti e aggiustamenti del comportamento che possono essere assai impegnativi e stressanti. Dunque potremmo dire che lo stress corrisponde a un insieme di stimoli ambientali ai quali il nostro corpo deve rispondere per adattarsi alle nuove condizioni.

Lo stress può essere di due tipi:

  1. eustress, o stress buono, è quello indispensabile alla vita, che si manifesta sotto forma di stimolazioni ambientali costruttive e interessanti. Un esempio può essere una promozione lavorativa, la quale attribuisce maggiori responsabilità ma anche maggiori soddisfazioni.
  2. distress, lo stress cattivo, quello che provoca grossi scompensi emotivi e fisici difficilmente risolvibili. Un esempio può essere il licenziamento inaspettato oppure la morte di una persona cara.

Gli agenti “stressanti” determinano un’alterazione dell’omeostasi interna dell’organismo. Questa alterazione attiva il “sistema dello stress” che mette in atto delle risposte adattative di tipo fisiologiche (risposte periferiche) e comportamentali (risposte centrali).

Lo stress e l’adattamento

Quando l’uomo è sottoposto ad uno stress, di qualsiasi tipo, applica dei meccanismi che gli consentono di adattarsi al nuovo stimolo. L’adattamento avviene in un processo composto da 3 fasi:

FASE 1 – ALLARME. L’ipotalamo riceve il segnale dalla corteccia cerebrale che una data situazione è impegnativa o minacciosa. Il sistema nervoso simpatico reagisce aumentando lo stato d’allerta dell’organismo attraverso modificazioni degli organi di senso, del battito cardiaco, del sistema respiratorio e digestivo, della tensione muscolare. Per mantenere lo stato d’allerta il SNS stimola la produzione di adrenalina che per un breve periodo fornisce energia aggiuntiva sotto forma di glucosio. In contemporanea, l’ipotalamo attiva l’ipofisi a produrre un’ampia gamma di sostanze chimiche, tra cui il cortisolo (che aiuta a sedare il dolore e a contrastare l’invasione di sostanze estranee) e gli ormoni surrenali (che influenzano l’equilibrio dei sali minerali e in particolare la trasformazione del cibo in energia). In questa fase è chiara la discrepanza tra le risorse che l’individuo ritiene di possedere e la richiesta posta dagli eventi esterni.

FASE 2 – RESISTENZA. È la fase più lunga, in cui l’individuo oppone tutta la propria forza all’emergere delle sensazioni negative. Se non si è riusciti ad eliminare gli stressors (fattori stressanti), il sistema endocrino fornisce maggiori quantità di minerali e ormoni per mantenere lo sforzo.

FASE 3 – ESAURIMENTO. Rappresenta il fallimento dei meccanismi difensivi per resistere allo stress. L’organismo perde la capacità di autoregolazione mantenendo una risposta inadeguata che predispone allo sviluppo di malattie, anche croniche, sia fisiche che psichiche.

Ipotalamo: centro di controllo dello stress

Gli agenti stressanti, indipendentemente dalla loro natura, stimolano l’ipotalamo, una piccola area dell’encefalo implicata nel mantenimento dell’omeostasi interna.

Gli effetti principali della sua attivazione sono:

  • stimolazione delle ghiandole surrenali attraverso la via nervosa ORTOSIMPATICA e ORMONALE
  • stimolazione di vari organi viscerali (vasi, muscoli, ghiandole) e inibizione di altri (stomaco, vescica, intestino) per via nervosa ORTOSIMPATICA
  • produzione di beta-endorfine: sono antidolorifici endogeni che, tramite l’innalzamento della soglia del dolore, consentono di resistere a tensioni emotive, traumi fisici o sforzi più intensi di quanto sarebbe normalmente sopportabile.

Il sistema nervoso autonomo quindi stimola la zona midollare del surrene. La midollare del surrene produce adrenalina e noradrenalina (Figura 1).

L’adrenalina e noradrenalina agiscono perifericamente determinando un aumento della frequenza cardiaca, della pressione e dello stato di vigilanza predisponendo così l’organismo alla risposta di attacco/fuga.

Il fatto che questo sistema sia sotto il controllo nervoso consente una risposta rapida e immediata dell’organismo alla situazione d’emergenza. Quando il pericolo viene percepito come superato, si attiva il sistema nervoso PARASIMPATICO ed il suo effetto calmante si sostituisce a quello stimolante dell’ortosimpatico. Quando è attivato, l’ipotalamo produce CRH (ormone di rilascio della corticotropina). Il CRH stimola l’ipofisi a produrre ACTH (ormone adrenocorticotropo). L’ACTH agisce sulla zona corticale del surrene che produce CORTISOLO. Il cortisolo agisce perifericamente determinando proteolisi, gluconeogenesi (sintesi del glucosio a partire da fonti non glucidiche), lipolisi (mobilizzazione dei grassi di riserva) e quindi mobilizzando le riserve energetiche necessarie a sostenere la reazione di attacco/fuga (Figura 2). Questa risposta di tipo ormonale è successiva a quella nervosa che invece è immediata.

Lo stress prolungato e i suoi effetti

In caso di stress prolungato, la sovrapproduzione di cortisolo provoca:

  • riduzione della massa muscolare
  • riduzione della massa ossea (osteoporosi) e del connettivo
  • disregolazione e inibizione del sistema immunitario
  • alterazione del metabolismo di zuccheri e grassi (obesità)
  • effetti sul cervello (danni soprattutto all’ippocampo)
  • alterazioni della coagulazione e della pressione arteriosa
  • disregolazione di altri assi ormonali (gonadico, tiroideo, della crescita)

Ipotalamo: centro di fame e sazietà

L’ipotalamo non ha un ruolo soltanto nella regolazione dello stress ma anche nel controllo della fame. La regolazione dell’assunzione di cibo negli esseri umani è complessa e principalmente  regolata dai cosiddetti meccanismi “omeostatici” ed “edonici”.

Per mantenere un corretto bilancio energetico, ciascun individuo dovrebbe alimentarsi seguendo i cicli della fame e della sazietà che si sviluppano durante la giornata. A generare lo stimolo della fame e la percezione della sazietà contribuiscono numerosi meccanismi nervosi, ormonali e sensoriali che si attivano, sia a livello del sistema nervoso centrale che in organi e tessuti periferici e che sono strettamente correlati fra loro.

Il centro della fame riceve diversi stimoli biologici (es.ormoni) e sensoriali (es. odore di un cibo). Gli stimoli biologici includono segnali periferici che provengono dall’intestino, dal sangue e dal fegato. L’intestino in base ai nutrienti presenti, secerne una moltitudine di mediatori ormonali della sazietà (colecistochinina, GLP-1, ossintomodulina, il peptide YY) che hanno sull’ipotalamo un’azione anoressizzante. Lo stomaco produce la grelina, che funziona come segnale di fame, i cui livelli sono inversamente proporzionali a quelli della distensione gastrica. La secrezione di grelina aumenta in corso di digiuno e di ipoglicemia e si riduce dopo il pasto. Stimola inoltre neuroni NPY, AgRP  e aumenta l’appetito e la deposizione di grassi negli adipociti. Negli individui obesi è ridotta la soppressione post-prandiale di grelina.

I livelli circolanti di insulina prodotta dal pancreas endocrino e della leptina, secreta dagli adipociti, forniscono all’ipotalamo importanti informazioni sul bilancio energetico. La leptina è un ormone prodotto dal tessuto adiposo (leptos in greco significa magro, sottile) e la concentrazione ematica è direttamente proporzionale alla massa grassa del singolo individuo. La quantità di grasso indica quindi un bilancio energetico positivo, che determina una soppressione del centro della fame. In sinergia con la leptina agisce l’insulina, il primo ormone storicamente coinvolto nel controllo dell’appetito. Livelli ematici elevati di insulina hanno un’azione anoressigena. Recenti dati fanno peraltro ritenere che lo stimolo incretorio più rapido per la leptina sia costituito dal livello dei trigliceridi circolanti.

Questi ormoni sono differentemente ma reciprocamente correlati: la presenza dell’insulina è necessaria per determinare la risposta secretoria di leptina da parte degli adipociti ai rapidi cambiamenti dell’introito di cibo. Quindi la leptina e l’insulina agiscono sull’ipotalamo segnalando un bilancio energetico positivo, inducendo quindi il senso di sazietà.

L’ipotalamo, in particolare il nucleo arcuato (ARC), dopo aver ricevuto le informazioni dai segnali periferici le integra e regola il senso di fame e sazietà. All’interno dell’ARC, ci sono due popolazioni di neuroni: neuroni primari e quelli di secondo ordine. I cosiddetti neuroni primari, con effetti opposti sull’assunzione di cibo:

  1. i neuroni oressigeni che co-esprimono NPY e AgRP e stimolano l’assunzione di cibo;
  2. i neuroni anoressigeni che co-esprimono POMC (da cui deriva la melanocortina α-MSH) e CART, che inibisce l’appetito.

I neuroni primari proiettano informazioni sui neuroni di secondo ordine, anch’essi localizzati nell’ipotalamo, ad esempio nell’area ventromediale (VTA). Qui altri neuroni oressigeni (ad esempio, orexina) e anoressigeni (per esempio, CRH e TRH, che influenzano anche il tasso metabolico) modulano questa rete complessa che alla fine determina il corretto comportamento alimentare per mantenere l’omeostasi.

Il nucleo ventromediale, se stimolato, induce sazietà e, se inibito, induce iperfagia. Il neuropeptide NPY può indurre iperfagia in seguito all’inibizione del nucleo vetromediale.

Come lo stress altera il senso di fame e sazietà

Nonostante il meccanismo omeostatico descritto sopra, quando il consumo del cibo per noi è gratificante, siamo spinti a mangiare indipendentemente dal nostro senso di fame e dal nostro bilancio energetico. Il cibo, in particolare se altamente appetibile, ricco di grassi e zuccheri stimola il sistema dopaminergico di ricompensa, lo stesso implicato nella dipendenza da alcool e droghe. Il circuito della ricompensa (include l’area tegmentale ventrale o VTA, il nucleo
accumbens o ACC e lo striato dorsale) si sovrappone anche all’area limbica (amigdala, cingolato, ippocampo, insula) legata alle emozioni.

Le emozioni negative favoriscono il consumo edonico di grassi e zuccheri mentre quando siamo felici siamo soddisfatti anche da cibi meno appetitosi. Appare chiaro che il controllo omeostatico dell’assunzione di cibo e il  “sistema di stress” condividono la stessa anatomia e convergono al nucleo dell’ipotalamo. Lo stress agisce da fattore destabilizzante che potrebbe aumentare o diminuire l’assunzione di cibo. Ciò è parzialmente dovuto agli effetti opposti sull’assunzione di cibo esercitata dai due ormoni principali dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), cioè corticotropina (CRH) e cortisolo (GC).

Per sua natura, la risposta allo stress sopprime l’appetito: quando l’omeostasi è minacciata, il senso di fame, la ricerca del cibo e l’attività digestiva (motilità, secrezione e assorbimento) sono inibiti perché non sono una priorità. Gli ormoni dello stress, l’adrenalina e il cortisolo, aiutano a migliorare i livelli di glucosio nel sangue stimolando la secrezione di insulina. Gli alti livelli di insulina nel sangue agiscono come un segnale di sazietà.  D’altra parte, i GC stimolano l’appetito. Innanzitutto, il cortisolo opera un controllo di feedback negativo sulla secrezione di CRH, riducendo quindi il segnale anoressigeno. Agisce anche direttamente sul nucleo arcuato dell’ipotalamo (ARC) stimolando l’espressione di NPY e AgRP tramite la protein chinasi attivata dalla segnalazione AMP.

Inoltre, alti livelli di cortisolo aumentano la produzione di grelina, che stimola la fame. Il cortisolo ha un’emivita più lunga nel sangue rispetto a CRH, ed esercita effetti a lungo termine attraverso l’interazione con specifici recettori intracellulari (GR). Questo meccanismo è ottimizzato per recuperare l’energia spesa per affrontare gli eventi stressanti, secondo un perfetto meccanismo omeostatico. Tuttavia, in caso di stress cronico o se ci sono più stressors sequenziali, i livelli di GC possono essere mantenuti cronicamente elevati, portando ad aumentare l’alimentazione e di conseguenza l’obesità.

Studi su modelli animali mostrano che i ratti, quando sono esposti a stress cronico aumentano l’assunzione di cibo se hanno accesso ad alimenti a elevato potere calorico. I glucocorticoidi (cortisolo), sembrano dunque, stimolare, in particolare, l’appetito verso il cibo molto appetibile e ipercalorico. Il “cibo appagante” e il cortisolo, insieme, attivano direttamente i circuiti di ricompensa della dopamina; gli alti livelli di dopamina contribuiscono a estinguere, come parte di una regolazione di feedback negativo, l’attività dell’asse HPA.

Inoltre, mentre promuovono il rilascio di leptina dal tessuto adiposo, i glucocorticoidi (GCs) contribuiscono alla resistenza della leptina perché diminuiscono la sensibilità dell’ipotalamo all’ormone, riducendo così l’azione saziante. La leptina inibisce anche il nucleo dell’accumbens, area dell’encefalo coinvolto nei processi cognitivi di ricompensa (ACC); quindi, nasce un circolo vizioso che porta ad un costante aumento nell’assunzione di cibo “confortevole” per mantenere l’effetto piacere/premio.

Come nel caso della leptina, i glucocorticoidi (GC) stimolano anche la secrezione di insulina dal pancreas, che normalmente riduce sia l’assunzione di cibo che i circuiti di ricompensa. Tuttavia, livelli cronici elevati di GC contribuiscono all’insulino-resistenza. È stato osservato che negli esseri umani lo stress cronico causa un aumento del consumo di cibo in circa il 40% dei soggetti, ma una diminuzione in un altro 40%, mentre in un 20% degli individui non altera il comportamento alimentare. Questi risultati variabili possono dipendere non solo dal tipo di stressor (fisico, mentale, emotivo, sociale) e dalla sua durata, ma principalmente dai tratti della personalità, alla relazione emotiva con il cibo e alla resilienza personale.

A questo proposito, decenni di ricerca in questo campo hanno dimostrato che anche le esperienze stressanti e i fattoti ambientali fisici o psicologici ostili nel periodo pre- e peri- natali esercitano a lungo termine conseguenze sulla salute attraverso un’alterata regolazione epigenetica. Uno studio ha rilevato un aumento del rischio di obesità e un aumento dell’assunzione di cibo in adulti e bambini sottoposti a stress pre e peri-natale come malnutrizione, separazione dai genitori, abuso fisico e psicologico.

Concludendo

La risposta allo stress del corpo è una risposta stereotipata altamente adattiva che consente all’organismo di prepararsi, rispondere e affrontare lo stress fisico ed emotivo. Tuttavia, lo stress cronico e/o eccessivo causa impatti negativi sulla salute. Il corpo accumula “Carico allostatico” solo nel tentativo di adattarsi alle continue sfide ambientali e per mantenere l’allostasi. Lo stress cronico sembra promuovere un cambiamento del comportamento alimentare e della regolazione dell’assunzione di cibo, favorendo l’iperfagia edonica a discapito della regolazione omeostatica.

In effetti, l’attivazione del sistema dopaminergico meso-cortico-limbico da parte del cortisolo e del cibo “gratificante” agisce come un meccanismo di sollievo dei sintomi di stress, ma a lungo andare questo comportamento costituisce ovviamente un fattore di rischio per l’aumento di peso. L’iperattivazione della risposta di stress induce anche alcuni squilibri metabolici (a carico, per esempio, dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide e del tessuto adiposo bianco e bruno) che potrebbero rallentare il dispendio energetico, promuovendo al contempo l’accumulo di grasso viscerale. Lo stress cronico determina, inoltre, anche un aumento della risposta infiammatoria a cui si aggiungono le citochine infiammatorie secrete dal grasso viscerale.

Questo quadro va ad aumentare non solo il rischio di obesità, ma anche di altre malattie metaboliche e immunitarie. L’aumento di peso legato allo stress può anche essere sostenuto da cambiamenti nella composizione e nell’attività del microbiota intestinale, che è altamente sensibile agli ormoni dello stress nonché al tipo di cibo che mangiamo.

Nei paesi occidentale, gli alti livelli di stress, la mancanza di sonno, gli inquinanti e gli interferenti endocrini, l’abbondanza di cibi altamente appetibili e densi di energia e la scarsa attività fisica contribuiscono allo stabilirsi di un “ambiente obesogenico”, che impone molte difficoltà nel mantenere un peso corporeo costante. In tale contesto ritenendo valido il meccanismo del sistema di stress e la teoria dell’allostasi, l’accumulo di grasso può essere percepito come una risposta allostatica dell’organismo che prova a ottenere un compenso fisiologico per uno stile di vita non salutare.

Referenze

  • Demori I, Grasselli E (2016) Stress-Related Weight Gain: Mechanisms Involving Feeding Behavior, Metabolism, Gut Microbiota and Inflammation. J Nutr Food Sci 6: 457.
  • Nocera A. (2011). Lo stress nelle organizzazioni. Dossier Ambiente. Pg 1-14.

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