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Lo strano caso degli uccelli velenosi

­La capacità di produrre veleno si è sviluppata indipendentemente in moltissimi animali. I gruppi più noti per la presenza di specie velenose sono sicuramente quelli dei serpenti, meduse, scorpioni, imenotteri e anfibi. Poco conosciuta al pubblico è invece la tossicità di certe specie di “uccelli velenosi”, una delle quali presente anche in Italia.

Specie che vai, tossina che trovi

C’è da chiarire che “veleno” è un termine usato per descrivere sostanze organiche molto differenti fra loro in composizione; l’unica cosa che hanno in comune tutti i veleni è il loro effetto, ossia danneggiare lo stato dell’organismo colpito. Il veleno animale viene spesso chiamato tossina, e la sua presenza può essere localizzata (es. ghiandole boccali di serpenti e insettivori) ma anche essere presente in interi tessuti (es. pelle di alcuni anfibi).

Le piume dei pitohui

I pithoui sono un insieme di uccelli della Nuova Guinea, appartenenti alla famiglia degli oriolidi. Il più conosciuto è il pitohui incapucciato (Pitohui dichrous), al quale spetta il titolo di primo volatile velenoso mai documentato. Si tratta di uccelli delle dimensioni di un merlo e possiedono una potentissima tossina, la batracotossina, la stessa prodotta dalle rane Dendrobatidae.

Esemplare adulto di Pitohui.
Esemplare adulto di Pitohui. Crediti: Frédéric Pelsy

Il veleno non viene prodotto dall’uccello, ma viene acquisito mangiando insetti tossici del genere Choresine; la tossina viene poi concentrata nelle cellule epidermiche e l’eventuale esfoliazione cutanea rende velenoso anche il piumaggio. La quantità del veleno prodotto dipende quindi dalla percentuale di insetti tossici mangiati, rendendo certe popolazioni più velenose di altre.

Non si conosce ancora l’utilizzo del veleno, ma sicuramente si tratta di un metodo di difesa dai predatori e/o parassiti. Grazie all’esfoliazione cutanea, il pitohui riesce a rendere tossico anche il suo nido e le sue uova. Per avvertire della sua velenosità, il pitohui possiede anche una colorazione aposematica.

Oca spinosa e tossica

L’oca armata (Plectropterus gambensis), è una specie di anseriforme dell’Africa subsahariana. Sono uccelli di grandi dimensioni e possono raggiungere anche i 10 kg di peso. Entrambi i sessi possiedono dei grossi speroni sulla mano, usati principalmente per la lotta intraspecifica, ma anche per difendersi dai predatori. Come se non bastasse, l’oca accumula nei tessuti un veleno, la cantaridina, prodotto usato spesso per il trattamento delle verruche; come nel pitohui, il veleno deriva dalla sua dieta basata su insetti velenosi, stavolta dei meloidi (Meloidae). La cantaridina è una biotossina discretamente forte: bastano soli 10 mg per uccidere un uomo adulto in salute.

Oca armata in volo
Oca armata in volo; sono ben visibili gli speroni sull’ala. Crediti: Jacques de Speville

La velenosa migrazione della quaglia

Pochi sanno, ma anche una specie conosciuta al pubblico come la quaglia comune (Coturnix coturnix) può risultare tossica. Questo piccolo galliforme, a differenza dei precedenti uccelli, acquisisce le tossine da materia vegetale. Non si conosce però ancora con certezza quale pianta e quale parte della pianta causano questa velenosità nella quaglia; la tossina in questione è la coniina, prodotta da piante come l’elleboro (Helleborus sp.), la canapetta (Galeopsis ladanum) e la cicuta (Conium maculatum).

L'ingestione di semi di cicuta potrebbero essere la causa della tossicità della quaglia
L’ingestione di semi di cicuta potrebbero essere la causa della tossicità della quaglia

La tossicità dell’animale è limitata però ad un solo periodo dell’anno, ossia quello delle migrazioni, quando ha la possibilità di nutrirsi di queste specie di piante. Non è detto inoltre che tutti gli individui diventino velenosi, rendendo il rischio di intossicazione molto basso. Se mangiate, le quaglie avvelenate possono provocare il coturnismo, che può causare forti dolori muscolari, rabdomiolosi (rottura delle cellule del muscolo scheletrico) e anche morte. C’è da dire però che i casi di coturnismo sono ormai scomparsi, sia per la presenza degli allevamenti di quaglie che per il numero molto ridotto della specie rispetto al passato.

Il rigurgito del fulmaro

Il fulmaro boreale (Fulmarus glacialis) è un uccello nordico imparentato con i grandi albatri. Questa specie produce una sostanza repellente dallo stomaco, alla stregua di una puzzola; se irritato, l’animale rigurgita un olio dall’odore nauseabondo (composto da trigliceridi ed esteri), che fa perdere l’impermeabilità del piumaggio degli avversari. Spesso gli uccelli colpiti si spostano in acqua per dilavare l’olio, finendo affogati. Questo permette ai fulmari di migliorare la protezione del nido da parte di predatori. Studi più ampi suggeriscono che questa abilità non sia ristretta ai soli fulmari, ma che sia presente anche in alcune specie di petrelli e albatri.

Veleni estinti

Grazie a scritti storici, abbiamo le prove che un uccello estinto fosse stato velenoso. Si tratta del parrocchetto della Carolina (Conuropsis carolinensis), uno dei pochi pappagalli nativi degli USA, estintosi nel 1918. Le uniche testimonianze della sua velenosità le possediamo grazie al famoso pittore ornitologo John James Audubon; egli notò che i gatti che si nutrivano di questo uccello morivano misteriosamente senza cause apparenti. Anche il suo cane, dopo averne incautamente mangiato uno, morì di stenti in poco tempo.

Esemplare impagliato di Parrocchetto della Carolina
Esemplare impagliato di Parrocchetto della Carolina presso il Museum Wiesbaden, in Germania

Si ipotizzò dunque che le carni di questi uccelli fossero in qualche modo tossiche. Non si conosce in modo sicuro l’origine della sua velenosità, ma è noto che questo parrocchetto si nutrisse dei semi tossici di nappola (Xanthium sp.). Con buone probabilità, l’uccello acquisiva la sua tossicità da questa pianta.

Leggi anche: Evoluzione: Il “furto del veleno” da parte dei Nudibranchi

Bibliografia

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  • LIBRO – “L’orologiaio miope”, 2012. Lisa Sigorile
  • Blog – Death by toxic goose. Amazing waterfowl facts part II
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